Uno studio nazionale, condotto dal Consiglio Nazionale delle Ricerche e dal Club Alpino Italiano, approfondisce pratica e prospettive della terapia forestale che sempre più studiosi fanno rientrare fra i tanti benefici resi da boschi e foreste all’uomo.
Terapia forestale
(quando il benessere è green)
di Alessandro Paolini
(pubblicato su piemonteparchi.it il 15 marzo 2021)
Che la natura sia fonte di benessere psicofisico per l’uomo non è certo una novità e affermarlo equivale a sfondare la classica porta aperta. Altra cosa però è approfondire scientificamente alcuni aspetti del rapporto tra natura e salute umana, arrivando a conclusioni suffragate da esperimenti sul campo, studi e dati statistici. In Italia il primo lavoro che ha adottato questo approccio è riportato nel volume dal titolo “Terapia forestale“, pubblicato nel 2020 da Consiglio Nazionale delle Ricerche e Club Alpino Italiano, in collaborazione con il CERFIT (Centro Regionale di Riferimento in Fitoterapia presso l’ospedale Careggi a Firenze). Partendo dalla descrizione delle qualità “note” delle foreste , come fornitrici di benefici ecosistemici, lo studio passa ad esaminare il loro ruolo di “barriere” rispetto al diffondersi di epidemie e pandemie di origine zoonotica, fino a investigarne alcuni effetti benefici sulla salute dell’uomo. Lo studio è interessante anche per chi diffida istintivamente di questi argomenti perché consente di scoprire – ad esempio – cosa sono i terpeni o qual è la differenza fra un “bagno di foresta” e la “terapia forestale”.
Funzioni ecosistemiche e protezione della salute umana
I servizi resi al nostro pianeta dalla natura in generale, e dagli alberi in particolare, sono tanti: dal “sequestro del carbonio” (le foreste immagazzinano quasi il 30% di tutta l’anidride carbonica, il più importante gas a effetto serra emesso dalle attività umane) alla produzione di ossigeno, dalla conservazione del suolo alla regolazione del ciclo delle acque. Gli alberi inoltre sostengono i sistemi alimentari naturali e umani e provvedono un riparo per innumerevoli specie, uomini inclusi (che utilizzano il legno come materiale da costruzione). Sempre di più gli esperti concordano sull’ipotesi che la maggior parte delle epidemie e pandemie di origine animale che hanno colpito l’umanità negli ultimi decenni abbia un minimo comun denominatore: l’interferenza umana con gli ambienti forestali naturali, in termini di deforestazione, frammentazione, pressione antropica ai margini delle foreste, soprattutto nelle aree tropicali e semi-tropicali ricche di biodiversità. È il caso, per esempio, di Ebola, Dengue, malattia di Lyme e Leishmaniosi.
David Quammen, giornalista e autore di numerosi libri tra cui “Spillover”, finalista per il Scientific American Book of the Year, spiega in questo video come le pandemie della storia, originate dal passaggio di virus dagli animali all’uomo, siano dovute alla nostra interferenza con gli ecosistemi e agli atti distruttivi nei confronti della natura come, ad esempio, l’abbattimento di alberi.
Oggi circa metà della popolazione mondiale vive e lavora in aree metropolitane e intrattiene con la natura un rapporto saltuario ed episodico. Questo può essere causa di stress, sia per l’incessante esposizione agli stimoli urbani e tecnologici che per il mancato contatto con gli ambienti naturali. La semplice frequentazione degli spazi verdi urbani è un elemento migliorativo per la qualità della vita, come abbiamo tutti potuto sperimentare negli ultimi mesi.
Una ricerca australiana ha calcolato che il valore economico delle aree naturali protette, considerandone gli effetti sulla “sola” salute mentale dei visitatori, ammonterebbe a circa l’8% del Pil mondiale, pari a 5 trilioni di euro. Una cifra enorme, mille volte superiore al budget delle stesse aree protette. Benefici per la salute personale, dunque, ma anche per la società nel suo insieme, considerando le possibili ricadute economiche per le aree rurali e montane, i risparmi economici per il sistema sanitario e la maggiore produttività delle persone.
I terpeni, questi sconosciuti
Le piante e il suolo forestale emettono in atmosfera alcuni composti organici volatili biogenici (COV), tra cui i terpeni. Noti anche come isoprenoidi, sono il più grande gruppo di COV, con almeno 20.000 molecole aromatiche emesse principalmente dalle chiome degli alberi e in particolare dalle foglie, ma in realtà da tutti gli organi e tessuti vegetali e persino dal suolo.
Foglie, fiori e frutti, li rilasciano direttamente in atmosfera, mentre radici, legno e corteccia li liberano nel terreno, dal quale si volatilizzano in tempi più lunghi. Tra i terpeni più noti residenti nell’atmosfera forestale si contano i monoterpeni alfa-pinene e limonene, emessi da molte piante e soprattutto dalle conifere (con il Pino silvestre probabilmente l’albero più efficiente), e molti altri prodotti in abbondanza – in montagna – dal faggio, e nei boschi mediterranei per esempio del leccio. Questi monoterpeni rappresentano anche i componenti base degli oli essenziali ampiamente utilizzati anche a casa in aromaterapia ed estratti a scopi commerciali sia da foglie che, tra altri materiali vegetali, da bucce di agrumi.
Sempre più studi, tra cui specificamente quelli del CERFIT, attribuiscono ad alcuni monoterpeni, primi tra tutti proprio alfa-pinene e limonene, attività ansiolitiche, di miglioramento dell’umore e della qualità del sonno e di riduzione del dolore, proprietà anti-infiammatorie e antiossidanti, regolatorie del sistema metabolico e di protezione cardio-vascolare e potenziamento delle difese immunitarie.
Le proprietà di questi composti – oli essenziali che fanno della foresta una vera e propria dispensatrice di aromaterapia naturale – contribuiscono in modo decisivo alla funzionalità della terapia forestale, cui è dedicata la maggior parte del rapporto del CNR e CAI.
Ma che cos’è la terapia forestale?
Il rapporto dedica un capitolo (il quinto, “Immergersi nella foresta: istruzioni per l’uso”) alla distinzione tra “bagno di foresta” e “terapia forestale”. Il primo termine è la traduzione dall’inglese forest bathing e dal giapponese Shinrin-Yoku, e prevede brevi camminate e semplici attività rilassanti, con o senza guida. La “terapia forestale” invece è più strutturata e comprende itinerari guidati presso siti specifici e lo svolgimento di precise attività, quali camminata consapevole, meditazione, esercizi del respiro, yoga, esercizi o semplici attività manuali. Spesso è organizzata in programmi a lungo termine con sessioni ripetute in foresta e dirette a specifici gruppi di persone ed è condotta da professionisti secondo protocolli strutturati, in stretta collaborazione con operatori sanitari. In alcuni Paesi asiatici, come Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Cina, le pratiche di bagno di foresta e terapia forestale sono da tempo diffuse e previste dal sistema sanitario come terapie mediche preventive con “prescrizioni verdi”.
La terapia forestale, in particolare, può essere praticata sia in via preventiva (per soggetti sani) che curativa (per soggetti affetti da specifiche patologie), e i relativi esiti clinici devono essere sostenuti – come per qualsiasi terapia – da evidenze statistiche su campioni di sufficiente numerosità e secondo metodologie comprovate dalla comunità scientifica. Soltanto dopo aver dimostrato tali evidenze, separatamente per qualsiasi sito e persorso candidato, è possibile parlare di terapia forestale.
Lo studio del CNR e del CAI e le prospettive della terapia forestale
CAI e CNR hanno organizzato e condotto alcune sessioni sperimentali di terapia forestale a partire da agosto 2020, sotto la guida di psicoterapeuti e psicologi, secondo un protocollo definito e con il coinvolgimento di alcuni rifugi e sezioni CAI della Toscana e dell’Emilia-Romagna e di gruppi di volontari, fino a interessare quasi 200 persone. Non sono state effettuate valutazioni rispetto ai benefici fisici, ma i risultati hanno indicato che gli indici di ansia, depressione, ostilità e confusione, in seguito alle sessioni di terapia forestale sono significativamente e considerevolmente diminuiti, spesso anche più che in altre esperienze riportate nella letteratura scientifica internazionale.
“L’aspetto più importante del nostro studio è costituito dal fatto che attraverso sperimentazioni sul campo e verifiche scientifiche abbiamo cercato di dare un inquadramento rigoroso alla materia, anche grazie alla collaborazione del Cerfit, Centro di riferimento per la Fitoterapia dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi di Firenze” spiega Francesco Meneguzzo, dell’Istituto per la BioEconomia del CNR e Referente tecnico nazionale del Comitato Scientifico Centrale del CAI.
Quali possono essere gli sviluppi dei vostri studi?
“Intanto occorre che anche nel nostro Paese la terapia forestale venga considerata una vera e propria terapia medica – prosegue Meneguzzo – con l’inserimento di questa pratica nei protocolli fitoterapici e di medicina naturale e complementare, fino all’adozione di prescrizioni verdi da parte del SSN. Noi possiamo contribuire a identificare e qualificare i percorsi e le stazioni di terapia forestale che accoglieranno pazienti a fini preventivi e terapeutici. Gli stessi percorsi, in prospettiva, potrebbero poi accreditarsi presso gli enti di certificazione, penso ad esempio al RINA, l’ex registro navale italiano”.
Come avviene la qualificazione dei percorsi?
“Abbiamo previsto quattro fasi: la prima di prevalutazione di elementi strutturali come la distanza dalle fonti di inquinamento, la lunghezza del percorso – non superiore a 5 km – e la sua accessibilità, il dislivello che non deve superare i cento metri, la presenza di corsi d’acqua e di strutture di accoglienza come i rifugi, il fascino e la luminosità dell’assetto forestale. Sono condizioni importanti affinché il percorso sia rilassante perché il fine non è svolgere attività sportiva. Successivamente rileviamo la concentrazione totale dei composti organici volatili biogenici rilasciati dalle piante nell’atmosfera forestale con l’utilizzo di un fotoionizzatore, e più in dettaglio la relativa composizione mediante metodi più avanzati. In base a questa analisi riusciamo a definire la funzionalità ambientale del percorso, anche in dipendenza dalle condizioni meteorologiche, dalla stagione e dall’ora del giorno. Seguono le verifiche dirette della funzionalità psicologica e fisiologica su gruppi di volontari, spesso soci del CAI ma non solo. La terza fase è quella di analisi di tutti i dati raccolti e l’eventuale qualificazione del percorso per la pratica della terapia forestale. La quarta e ultima fase consiste nella preparazione e formazione degli operatori, come psicologi, psicoterapeuti e altri operatori CAI di supporto, e nella comunicazione ai soci CAI e ai frequentatori della montagna, che intendiamo portare avanti già quest’anno”.
Avete già individuato delle aree candidate per la terapia forestale?
“Per il momento abbiamo qualificato siti importanti quali il Bosco del Respiro presso Fai della Paganella in Trentino, la foresta di Pino silvestre a Monte Duro sul basso Appennino Reggiano, l’Alto Appennino Reggiano nella zona dell’Abetina Reale, un percorso nella Foresta Modello delle montagne fiorentine sul territorio del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi in Toscana e un bosco mediterraneo sulle colline toscane tra i Comuni di Empoli e Montespertoli. Il progetto intende coinvolgere ulteriori rifugi e sezioni del CAI in aree forestali: quelli potenzialmente interessati sono circa 120, distribuiti principalmente nel Centro e Nord Italia. In Piemonte abbiamo già individuato come sito candidato per una stazione sperimentale la zona del Rifugio Levi Molinari presso Exilles, in Val di Susa, che fa riferimento alla Sezione CAI Torino”.
Le basi scientifiche della Terapia Forestale
Ma qual è il fondamento scientifico dei benefici derivanti dalla terapia forestale?
“Le esperienze fatte finora hanno riguardato i parametri psicometrici e quindi gli effetti benefici sulla psiche, ad esempio sull’umore, che sono stati documentati attraverso la raccolta di dati” spiega Franco Finelli, Presidente della Commissione centrale medica del CAI.
“Tuttavia esistono lavori e studi che affermano l’utilità di questo tipo di terapia anche nella regolazione della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca e perfino nel combattere lo stress grazie ad un’azione di riduzione del cortisolo, il cosiddetto ‘ormone dello stress’. Si tratta però di sviluppi per i quali occorre fare ulteriori ricerche e sperimentazioni, così come la possibile azione di aiuto, in termini di miglioramento della qualità della vita, per i pazienti che stanno guarendo da neoplasie e per le donne in gravidanza. La Commissione medica del CAI non ha un ruolo di ricerca, dunque per questi aspetti dovremo appoggiarci ad autorità mediche e scientifiche oltre che etiche. L’approdo finale, speriamo, è che anche in Italia la terapia forestale possa essere prescritta dai medici come terapia, anche solo di supporto a certe patologie, come già avviene in alcuni Paesi europei” conclude Finelli.
Esperienze in Piemonte
Nella nostra regione sono state avviate altre esperienze di valorizzazione di percorsi naturali per il benessere personale. Ecco due esempi. Nell’ area protetta del Parco della Mandria è attivo dal settembre 2020 il nuovo percorso sensoriale di Cascina Brero, il cui slogan è “la foresta in punta di piedi”. Si tratta di un itinerario, con uno sviluppo di circa 600 metri, da percorrere a piedi nudi con postazioni e giochi che mirano a sviluppare i cinque sensi. Adatto alle famiglie con bambini piccoli e grandi, anziani, persone con disabilità e sportivi, è stato realizzato nell’ambito del Progetto Nat.Sens (Naturalmente a spasso con i sensi) all’interno del Programma Europeo di Cooperazione Transfrontaliera tra Francia e Italia Interreg V-A Francia-Italia (ALCOTRA).
Un altro esempio virtuoso è il percorso esperienziale attivato presso l’Oasi Zegna, in Alta Val Sessera, all’interno del Bosco del Sorriso, che offre la possibilità di sperimentare i benefici del “bagno di foresta” e dell’inalazione dei monoterpeni emessi dal fogliame dei faggi.
Per approfondimenti
http://www.piemonteparchi.it/cms/index.php/natura/piante/item/3466-boscoterapia-per-quando-torneremo-alla-normalita;
“Terapia forestale” – Una collaborazione tra il Club Alpino Italiano e il Consiglio Nazionale delle Ricerche – a cura di Francesco Meneguzzo e Federica Zabini – © Cnr Edizioni, 2020 P.le Aldo Moro, 7 00185 Roma ISBN 978 88 8080 430 7;
Boscoterapia, per quando torneremo alla normalità (su Piemonte Parchi del 19 marzo 2020).
Ripeto sinteticamente quanto ho già scritto in altri risvolti degli spazi web gestiti da Gogna: da statistiche ISTAT di qualche tempo fa (pre-pandemia, per cui non saranno certamente migliorate nel frattempo), pare che il 30% circa dei bambini italiani fino ai 10 anni NON sia mai stato in un bosco. Ovviamente la responsabilità è dei genitori, che preferiscono trascinare i pargoli nei centri commerciali o a far lo struscio in centro città. E’ chiaro che con un tasso così elevato di infanti non abituati al bosco (e quindi, per estensione, all’ambiente naturale nel senso più ampio), la popolazione è stressata fin dai primi anni, è una popolazione di disadattati rispetto all’ambiente naturale, perché sono abituati al cemento e alle luci al neon e non ai suoni e agli odori del bosco e della natura. Ben venga la foresta terapia, ma essa andrebbe addirittura inserita- preventivamente – nei programmi scolastici, come altre importanti materie (tipo la conoscenza della Costituzione) cui non prepariamo adeguatamente le giovani generazioni.