di Paolo Crosa Lenz
(pubblicato su Lepontica n. 20, giugno 2022)
A Premosello, proprio dove inizia la strada per Colloro, una scultura di granito raffigura un alpigiano con la sua capra: il volto è rivolto in alto, verso quella montagna che si perde nel cielo, fonte di fatica ma anche di vita. I colloresi furono gli ultimi pastori a inalpare l’alta Val Grande (in Val Gabbio, in Valrossa, in Portajola e in Serena), resistendo lassù anche quando i malisch (i pastori vigezzini di Malesco) e i truntàn (quelli ossolani di Trontano) se ne erano già andati. Spinti da una strenua e infinita fame d’erba, i pastori di Premosello e Colloro continuarono caparbiamente a “caricare” quegli alpi lontani e poveri fino agli anni ’50 e ’60 del Novecento. Mi ricordava tempo fa l’amico Pierantonio Ragozza: “Non tutti gli alpi sono uguali: ci sono quelli ricchi e facili e ci sono quelli dei disperati“. Sopra Premosello l’alpicoltura, attività povera di uomini poveri, era ancora più povera: non i grandi alpeggi di Trontano o Beura, le distese d’erba della Vigezzo, ma piccoli alpetti incollati alla montagna, casere incassate fra i dirupi; non prati, ma scivoli d’erba che per lo sfalcio richiedevano doti di equilibrismo. “Le nostre erano mucche alpiniste. Le allenavamo già da manze“, ricorda un alpigiano di Premosello. L’alpe Stavelli, Stavéi, è un po’ il simbolo dell’alpicoltura di questi villaggi, anche se è un paradiso rispetto ad altri “alpeggi estremi”, abbandonati da oltre mezzo secolo e a cui non porta più alcun sentiero. A 1493 m di quota, sul ripido pendio che precipita dalla Colma, Stavéi è un pugno di rustici in precario equilibrio su uno scivolo d’erba. Lungo il pendio, mucchi semicircolari di sassi accuratamente impilati (come nuraghe alpini) sono il frutto dello spietramento del pascolo. I pastori tolsero i sassi per guadagnare pochi centimetri quadrati d’erba e per permettere un miglior lavoro della ranza, la falce fienaia, durante lo sfalcio. Solitamente in montagna i sassi derivati dallo spietramento vengono gettati alla rinfusa in mucchi informi che si notano nei pascoli o al loro margine.
A Stavéi hanno dovuto impilarli perché diversamente sarebbero rotolati a valle. Salendo alla Cima Saler, al Curtett, una decina di rustici in larga parte degradati, il senso dell’abbandono è forte. Le porte aperte delle baite lasciano intravedere gli oggetti di una vita d’alpeggio che sembra finita in un attimo. Una roncola arrugginita, uno sgabello per la mungitura, una cassapanca sfondata, una scodella sbrecciata. È come se l’ultimo pastore avesse detto “Basta!” e d’improvviso fosse sceso a valle. Senza più tornarvi.