Chi era Mario Rigoni Stern

100 anni fa la nascita di uno tra i più atipici e originali scrittori italiani.

Chi era Mario Rigoni Stern
di Eraldo Affinati

(pubblicato su ilriformista.it del 29 ottobre 2021)

È stato lungo e faticoso il ritorno a baita di Mario Rigoni Stern, nato cento anni fa (1 novembre 1921) ad Asiago e qui scomparso nel 2008 dopo una vita abbastanza atipica per uno scrittore, peraltro fra i più originali nel variegato panorama italiano: alpino combattente su tre fronti della Seconda guerra mondiale (Francia, Albania e Russia), era innanzitutto un uomo d’azione, che aveva studiato poco, potendo vantare soltanto lo scarno titolo di Scuola di Avviamento al Lavoro (la medie inferiori di oggi), eppure nella sua opera letteraria si conquistò con ogni merito i gradi, imprevedibili, sorprendenti, inaspettati, dello stilista più prezioso.

Io che lo conobbi personalmente e gli fui amico, posso confermarlo a ragion veduta: non c’era nessuna cesura fra l’uomo e lo scrittore. Quando sull’Ortigara mi mostrava gli scheletri dei suoi penati (giovani militari trucidati sulle creste della Grande Guerra), avevo l’impressione che stesse componendo un testo. E se ancora oggi lo rileggo in certi scorci a me cari, ho l’impressione di ritrovarlo al mio fianco in Val Bersaglio dove mi portava a raccogliere i funghi: una volta trovammo un porcino. E lui mi disse: «Basta così, è sufficiente per condire la pasta. Abbiamo prelevato. Adesso torniamo a casa». Non c’era forse modo migliore per spiegarmi quale dovrebbe essere il rapporto armonico fra uomo e natura. Greta ante litteram. E tuttavia senza scrittura la vita non avrebbe senso.

Mario Rigoni Stern

Se egli sopravvivrà nel canone sempre mobile e aureo del nostro Novecento, non sarà a causa della straordinaria avventura bellica che gli toccò affrontare, riuscendo a sopravvivere, sottufficiale della Tridentina, insieme agli uomini che gli erano stati affidati, al micidiale contrattacco sovietico, bensì per la qualità del suo dettato, al tempo stesso asciutto e carico di umori, in equilibrio permanente fra documento e fiaba, con un controcanto interno garantito dal respiro epico in presa diretta o differito nel filtro dolce della memoria. Difficile trovare nei suoi coetanei più celebrati un’uguale autenticità, nella conoscenza profonda, viscerale, dei temi trattati: guerra, prigionia, Resistenza, animali, montagne e boschi fin quanti ne vuoi.

Scorriamo, ancora una volta, in una sintetica carrellata bibliografica, i titoli più significativi: Il sergente nella neve (1953), classico tradotto in tutto il mondo, sulla disastrosa campagna di Russia, massimo esempio di narrativa bellica anche nel confronto con altri campioni internazionali, da Ernest Hemingway a Norman Mailer; Quota Albania (1971), diario intimo e cronaca universale, nell’intreccio fantasmatico tra radici autobiografiche e dimensione collettiva; Ritorno sul Don (1973), composto a tasselli, come lo specchio più fedele del suo modo espressivo, perno strutturale dell’esistenza spezzata nella responsabilità del salvato; Storia di Tönle (1978), capolavoro di eccelsa stringatezza lirica, quasi un medaglione di cristallo, sullo sfondo di una civiltà al tramonto; L’anno della vittoria (1985) e Le stagioni di Giacomo (1995), tranche di vita vissuta nell’Altopiano dei Sette Comuni, con il fascino della cartolina popolare, dal 1918 alla nascita del fascismo; Sentieri sotto la neve (1998, dove c’è uno dei risultati più alti: Che magro che sei fratello!, sull’arrischiato ritorno a piedi da Graz ad Asiago), Inverni lontani (1999), Stagioni (2206), veri lasciti spirituali, nel momento in cui il vecchio sergente stava sentendo il tempo venirgli meno.

Questa è, come dire, la spina dorsale. L’asse portante. Il nucleo primario. Ma poi ci sono i grandi racconti di taglio breve, la misura preferita, il suo passo di marcia, compresi in Il bosco degli urogalli (1962), Uomini, boschi e api (1980), Amore di confine (1986), Aspettando l’alba (1994), Tra due guerre e altre storie (2000), dove forse potremmo trovare le migliori sorprese. Alla fine di queste vicende di soldati e prigionieri, bambini e anziani, amici e reduci, cacciatori e vagabondi, nevi e malghe, api e cani, piante e foreste, a restare nella mente del lettore resta il timbro di voce del narratore: affettuoso, bonario ma tristemente consapevole del male umano, come di chi, alla maniera di Primo Levi, pur avendo visto la Medusa, non era rimasto impietrito. All’opposto: dopo aver sperimentato lo scempio, frutto dei totalitarismi ma anche della nostra tracotanza, aveva sentito l’urgenza e la responsabilità di raccontarlo: senza enfasi né retorica. Nella speranza, forse vana ma ineludibile, di rendere omaggio ai sommersi. Questo orientamento esistenziale protesse Mario Rigoni Stern da ogni cromatismo romanzesco legittimandone la pronuncia alta e solenne, eppure mai stentorea.

A spiegarne l’attività non basta la nozione di realismo. Bisognerebbe tener presente la caratura etica della sua prosa nel rapporto profondo con l’esperienza evocata. C’è lo scrittore organico e naturale di Arboreto salvatico (1991), capace di ricavare intensità descrittiva da una semplice voce enciclopedica; il memorialista rivolto ai giovani, nei cui confronti nutriva una fiducia infinita, come volendo ad ogni costo consegnare a loro il testimone, di L’ultima partita a carte (2002). Siamo di fronte a un’opera solo apparentemente frammentaria, in realtà dotata di una grande coerenza. Quando si trattò di tirare le fila, nel tentativo di presentarla al pubblico per la prima volta in modo organico, Mario Rigoni Stern non indugiò neppure un istante nello scegliere, fra i possibili criteri, quello cronologico relativo agli eventi tematici: infatti nel Meridiano della Mondadori, che quasi vent’anni fa ebbi l’onore di curare, le sue opere non sono presentate, come di solito accade, nell’ordine di pubblicazione, ma secondo la sequenza dei fatti narrati. «Ritenni giusto mettere per primo Storia di Tönle», scrisse Mario nella nota introduttiva, «Infine quello che vado raccontando è come un unico libro. Di questo sono certo: la mia terra, la mia gente, la guerra e io dentro un’unica storia».

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