di Marika Moreschi, pubblicato su The Vision in data 1 ottobre 2020
Osservando con attenzione il mappamondo, come ci invitano a fare il diplomatico Grammenos Mastrojeni e il fisico Antonello Pasini nell’ultima edizione di “Effetto serra, effetto guerra”, ci accorgeremo che da un punto di vista geografico l’Europa non è un continente. Infatti non è altro che un’appendice dell’Asia. Tuttavia, da sempre, consideriamo quest’area come una zona geopolitica a sé stante a causa dei tratti caratteristici del suo clima.
Dopo la fine dell’ultima era glaciale, poco meno di 10mila anni fa, l’Europa è stata graziata da un clima temperato ed estremamente prevedibile che ha permesso la rivoluzione agricola e quindi la nascita della civiltà. L’alternanza delle stagioni ha consentito di pianificare i raccolti e di sostenere così l’aumento della popolazione, ponendo le basi per gli intensi scambi commerciali e culturali tra le varie popolazioni che occupavano quest’area. Possiamo quindi affermare che il clima ha segnato – e continua a segnare – l’evoluzione dei Paesi che abitiamo, definendone interessi economici ma anche caratteristiche sociali. Già Montesquieu d’altronde nella sua “teoria dei climi” sosteneva che le circostanze climatiche fossero in grado di influenzare i connotati di un popolo. Questa tesi non si limita ad affermare che chi vive in un clima caldo sia più cordiale, ma evidenzia in generale come il clima finisca per modellare la stessa organizzazione sociale. Basti pensare a come la disponibilità di materie prime e l’attività agricola siano strettamente legate al clima e ai suoi cambiamenti, e come a loro volta influenzino il modello economico e culturale di una società. Se prendiamo come esempio l’Italia è evidente che nella nostra cultura sia centrale la convivialità e questo probabilmente, oltre al clima mite, dipende anche dal ruolo importante che ha avuto nella nostra storia la produzione di vino.
Lo stesso Montesquieu per questi motivi era arrivato a parlare di un’identità climatica europea, basata su una produzione più o meno comune di materie prime tra i Paesi del “continente” e su un’analoga disponibilità di risorse naturali che aveva quindi anche portato allo sviluppo di modelli di civiltà abbastanza simili. Tuttavia, surriscaldamento globale e maggiore imprevedibilità del clima rischiano di frantumare l’identità europea accentuando la divisione che già viviamo tra i ricchi Paesi del Nord e i più poveri del Sud. Gli interessi economici all’interno dell’Unione potrebbero differenziarsi molto più di oggi a causa del clima. Un esempio è la nascita in questi anni di numerose aziende vinicole nell’area scandinava. Paesi come la Svezia, la Danimarca e la Norvegia, stanno approfittando delle temperature sempre più miti per avviare nuovi mercati, mentre il meridione è schiacciato dalla gestione dei fenomeni migratori e dal calo di fertilità del terreno.
l collasso climatico sta già avendo effetti sulla produzione di vini in Italia e in Spagna, su quella di grano e di orzo – e quindi anche della birra – e sulla stessa sicurezza della filiera agricola a causa di batteri ed organismi che riescono a sopravvivere a inverni sempre più miti. Inoltre il cambiamento di temperature sta rendendo sempre più arida la terra nel Sud del mondo con il rischio di mobilitare fino a 3 miliardi di migranti climatici in Europa entro il 2050. I cambiamenti climatici dell’area mediterranea sono riportati in uno studio del 2019 di MedECC (Mediterranean Experts on Climate and Environmental Change). Quest’area si sta riscaldando a una velocità del 20% maggiore rispetto al resto del pianeta. Ed entro il 2040 si prevede un innalzamento della temperatura media di 2.2 C°, ben oltre quello che gli scienziati chiamano “punto di non ritorno”. Le conseguenze saranno devastanti sulla disponibilità di acqua – che diminuirà del 15% nei prossimi 20 anni – e di cibo, sul numero di incendi e l’imprevedibilità delle precipitazioni, sull’aumento del livello del mare – che si alzerà di 1 metro entro la fine del secolo – e sui fenomeni migratori.
È stato il climatologo italiano Andrea Alessandri a evidenziare per la prima volta come il clima mediterraneo sia particolarmente fragile rispetto ai cambiamenti per via delle sue intrinseche caratteristiche e a mostrare le prove scientifiche del suo spostamento verso il Nord e il Nord Est dell’Europa nel corso del Ventunesimo secolo. Il suo studio, pubblicato su Nature Scientific Reports, contiene importanti previsioni sui Paesi del Sud Europa come Italia, Spagna e Grecia, che rischiano di diventare sempre più simili all’area nordafricana. Secondo un report dell’Ispra, infatti, la temperatura media nazionale in Italia nel corso del Ventunesimo secolo nello scenario più ottimistico aumenterà tra l’1.9 C° e i 3.3 C°, mentre l’ipotesi peggiore è che l’aumento arrivi a ben 5.7 C°. Regioni come la Sicilia, la Puglia e la Calabria affronteranno estati sempre più lunghe e inverni più miti, con effetti che potrebbero essere devastanti per la produzione agricola e tutto ciò che ne deriva. Lo scorso febbraio, il presidente di Confagricoltura Catania si diceva particolarmente preoccupato per la sempre minor quantità di piogge, che sta già avendo ricadute sul settore dei cereali. La produzione agricola è centrale non solo per la Sicilia ma per tutto il Sud dell’Italia che rischia quindi gravissime conseguenze economiche e sociali mano a mano che le sue terra si asciugano.
Il diverso modo in cui i cambiamenti climatici si ripercuoteranno sui vari Paesi europei mette a repentaglio il già fragile equilibrio tra il Nord e il Sud dell’Unione. Si rischia una frattura identitaria senza precedenti, considerando che gli Stati che si affacciano sul Mediterraneo potrebbero improvvisamente riconoscersi in condizioni molto più simili a quelle di Libia, Marocco e Algeria. Se come aveva intuito Montesquieu, e come oggi prova la storia climatologica, sono state le temperature simili e l’alta prevedibilità delle precipitazioni a consentirci di sviluppare culture e modelli di civiltà tra loro compatibili, allora la rottura della nostra identità climatica dovrebbe iniziare a preoccuparci anche per quanto riguarda il nostro futuro come Unione.