di Emi Sanna
(pubblicato su camoscibianchi.wordpress.com l’11 settembre 2025)
Hanno attrezzato due sassi, ai bordi dello Schuss dell’Olympia delle Tofane, ai quali si arriva con gli impianti fino al rifugio Duca d’Aosta, con panorama sui trattori che stanno lavorando in vista delle Olimpiadi del 2026. Ci sono le scalette, gli immancabili ponti sospesi e tutto il necessario per garantire il divertimento. Una specie di palestra per utenti anche di giovane età (famiglie con bambini), come recita il sito www.impianticortina.it, che illustra le due ferrate, relativamente nuove “Ra Pegna” e “Ra Bujela” allestite per arricchire e completare l’offerta di attività escursionistiche estive dell’area.
Arricchire e completare. In Dolomiti. In mezzo alle Tofane. Dove gli antichi sentieri aperti e attrezzati dagli alpini ti conducono attraverso cavalcate di creste dai panorami spezza fiato. Luoghi dove chi ama le ferrate non ha che da scegliere tra la Olivieri, la Lipella, la Aglio, la Bovero, la Tomaselli o le più semplici Formenton e Astaldi. Senza parlare degli innumerevoli sentieri che portano alle vette, delle passeggiate fondovalle, degli anelli e concatenamenti possibili nello stesso massiccio. Percorsi storici che recano ancora in evidenza le ferite e le testimonianze della Grande Guerra, percorsi nati per arrivare in cima, per collegare una valle, per potersi spostare con una maggiore facilità, percorsi dove la ferrata, il tratto attrezzato, è il mezzo non il fine.
Ma il mezzo è spesso fatica, il mezzo è spesso dislivello, il mezzo è spesso lungo, il mezzo a volte non è per tutti. Più facile allestire allora il luna park dove è sufficiente un buon allenamento fisico, la mancanza di vertigini e in un’ora, massimo due, si va e si torna, così non bisogna preoccuparsi del meteo, e le guide ringraziano. Massimo risultato, con foto di rito sul ponte o in bilico sulla scaletta, e minimo sforzo.
E’ solo un esempio, uno tra i tanti di quanto è accaduto e sta accadendo nelle nostre montagne, salvo poi far finta di lamentarsi dell’overtourism. Perché diciamolo senza ipocrisia, le file di escursionisti che salgono a Piz Boè, dopo aver usufruito della funivia per evitare 600 massacranti metri di salita su ghiaia fino a Forcella Pordoi, fanno comodo a tutti: ai gestori dell’impianto, ai rifugisti del Sass Pordoi e della Capanna di Fassa, al mega parcheggio a pagamento in basso. Ed è giusto che sia così. Che chi vive e lavora in montagna debba anche vivere del lavoro in montagna.
Basta ammetterlo. Basta smetterla di criticare i turisti che con 38 euro andata e ritorno arrivano comodamente ai 3265 metri di Punta Rocca in vetta alla Marmolada e passeggiano su quel che resta del ghiacciaio, pietosamente coperto dai teli geotessili per preservare quel poco che ne resta, in jeans e scarpe da ginnastica, pieni di una gioia e di uno stupore che sarebbe ingiusto negare.

Se rendi le cose facili è normale che le persone ne usufruiscano. E sarebbe grave (e antieconomico) se non lo facessero. E quindi piantiamola di indignarci per i pullman alle Tre Cime di Lavaredo o al Lago di Braies, per i tornelli al Seceda o per i merenderos sulle rive del Sorapiss. Si è creato il brand Dolomiti Unesco e il brand funziona alla grande. Per non incapparvi basta partire molto presto, scegliere un altro versante di salita, un sentiero più faticoso, una ferrata più lunga, una vetta meno celebre. E anche lì tra i Monti Pallidi si può camminare a fine agosto da soli, incontrando sporadici compagni di viaggio, e provare, ancora e sempre, emozioni diverse e immutabili che nessuna moda potrà mai portarci via. Senza fare i puristi e lamentarci.










Anche il lavoro è un mezzo da subordinare al fine di proteggere la montagna. Chi vive in montagna ha l’obbligo morale e sociale di garantire a tutti i cittadini la contemplazione della bellezza. Come viceversa spetta ai cittadini la cura e la tutela dei monumenti per i montanari in gita nelle città dell’arte.