Il vuoto tra gli atomi

Silvia Petroni
Edizioni ETS

Sette racconti, sette sguardi sulla vita di Silvia, dottore in fisica e valente alpinista. Una vita ad ostacoli, una sfida costante alla fragilità che fin dall’infanzia la porta a preferire alla vita di città, Pisa, la libertà della casa di Col Falcón tra le dolomiti Feltrine. “Provavo un’eccitazione unica a Col Falcón: tutto mi piaceva di quel luogo“. Nelle lunghe estati delle vacanze infantili corre per i boschi, raccoglie fragole, beve l’acqua fresca delle sorgenti, ma soprattutto sta ore a guardare le montagne, respirando aria buona, che, come dice la nonna Franca, è la cosa più importante.
Una comunità eterogenea, talora bizzarra, ma affiatata, la famiglia, che la fa sentire protetta e felice, un ricordo che ritorna spesso, con nostalgia e tenerezza, quando i tempi delle vacanze con i nonni appartengono inesorabilmente al passato.
E quando l’infanzia con il suo piccolo mondo rassicurante finisce, inizia la voglia di salire più in alto, di sfidarsi, sfidando la vita. “Avvertivo solo il desiderio di spingermi oltre le lunghe camminate e le vie ferrate; volevo imparare a salire su una montagna come vedevo fare a quella specie di uomini ragno sulle pareti delle Dolomiti.
Ma un po’ di famiglia la accompagna, quando, già adulta, conosce lo zio Gabriele, alpinista e rinomata guida nelle Pale di San Martino, amico di Dino Buzzati e di re Leopoldo del Belgio.

Silvia ha iniziato a scalare le montagne per istinto, un istinto di sopravvivenza, perché l’affrontare vie sempre più dure e il superare pericoli e difficoltà impreviste trasforma la sua fragilità e le sue paure in forza titanica, in ferrea determinazione.
Probabilmente quello che provo mentre scalo è talmente fisico, personale e solitario, che rimane fuori da ogni coinvolgimento con il mondo. Forse è questa la ragione per cui la sola immagine di una montagna è ciò che mi tiene ancorata alla vita“.

Salendo al Bishorn Silvia cade nei crepacci del ghiacciaio per ben due volte e uscirne non è semplice: ai piedi ha le ciaspole e non i ramponi, in mano una “picozza trabiccolo”. Nonostante ciò è “enormemente incuriosita dal fatto di non essere spaventata; in fondo si trattava di un’opportunità unica per studiare le mie reazioni“.
E anche il bivacco non previsto sulla cresta delle Alpi svizzere (un freddo cane e la surreale telefonata con la vicina di casa), la via del Cuore (attenti alle scariche di sassi!), la Vinatzer alla III Torre del Sella (con la febbre) sono per Silvia momenti di reale rilassamento: “mentre scalo sono veramente in pace, calma e serena; concentrata su quello che faccio e felice di farlo“.
Sicuramente più serena e felice che nell’impresa, quella sì impossibile, di rammendare un calzino.

Luisa Raimondi

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