Ricerca italo-spagnola: ecosistemi ad alta naturalità sono più resilienti rispetto a eventi estremi causati dal clima in mutamento.
Le antiche foreste del Pollino resistono alla crisi climatica
di Rudi Bressa
(pubblicato su huffingtonpost.it il 18 ottobre 2021)
È l’ulteriore conferma di come gli ecosistemi ad alta naturalità e con un’elevata biodiversità siano in grado di rispondere e resistere ai cambiamenti climatici. Conferma che arriva dai boschi vetusti del Mediterraneo, nello specifico dal parco nazionale del Pollino: gli alberi secolari, nonostante la loro ragguardevole età, continuano a mostrare una crescita stabile o addirittura più sostenuta ad alta quota.

La scoperta è stata pubblicata in uno studio pubblicato recentemente sulla rivista internazionale Science of Total Environment e condotto da un gruppo di scienziati italiani e spagnoli. E’ risultato che le foreste del Sud Italia stanno rispondendo bene agli eventi estremi causati dai cambiamenti climatici, come prolungati periodi di siccità e l’aumento delle temperature medie.
“Grazie ad analisi approfondite abbiamo dimostrato che le quattro specie studiate hanno una crescita stabile, nonostante l’età avanzata, che si attesta dai trecento ai cinquecento anni”, spiega ad HuffPost Francesco Ripullone, docente di Ecologia all’università della Basilicata e uno degli autori dello studio. Continuando a crescere, gli alberi inoltre mantengono il ruolo fondamentale di assorbimento delle emissioni di CO2. A dimostrazione che le piante secolari o comunque di una certa età assorbono bene le sollecitazioni climatiche, mostrando una certa resistenza e tolleranza.
Partendo dagli 800 metri di altitudine e arrivando fino ai 2 mila metri, i ricercatori hanno analizzato quattro specie: il cerro, l’abete bianco, il faggio e il pino loricato. “Nelle varie popolazioni abbiamo confrontato la crescita degli alberi adulti e di quelli più giovani, scoprendo inoltre che questi ultimi non mostrano la stessa resistenza, perché le piante giovani, essendo più sollecitate dai cambiamenti climatici, mostrano una sorta di accelerazione nella crescita, fattore non positivo per questi esemplari”. Più c’è questa accelerazione, più gli individui giovani soffriranno in futuro e difficilmente arriveranno alle età dei propri “antenati”.
Laboratori naturali a cielo aperto
I boschi vetusti costituiscono un patrimonio di inestimabile valore dal punto di vista ecologico ed ambientale in quanto somigliano molto alle foreste primordiali europee. Si stima che oggi le foreste vetuste europee occupino solo lo 0,7% dell’area boschiva totale. “Sebbene vi sia una crescente attenzione per questi ecosistemi ad alta naturalità, la conoscenza degli impatti a lungo termine dei cambiamenti climatici in ambiente Mediterraneo è ancora limitata”, afferma Gianluca Piovesan, docente di Ecologia forestale presso l’Università della Tuscia.
Per questo motivo le foreste vetuste delle aree temperate sono considerate dei veri e propri laboratori a cielo aperto. Oltre ad aumentare e proteggere la biodiversità “sono una cassaforte per il carbonio”, spiega Giorgio Vacchiano, ricercatore in Gestione e pianificazione forestale presso l’Università Statale di Milano. “Inoltre sono un modello scientifico per capire come funzionano le foreste in assenza di impatto umano e come impostare una gestione che imiti i processi naturali nelle foreste gestite. Ad esempio, solo qui possiamo capire in quali condizioni le specie amano riprodursi. Infine singoli alberi così vecchi possono essere degli parlanti che ci raccontano il clima del passato”.
Nel massiccio del Pollino sono stati trovati alcuni degli alberi più longevi: Italus (P. leucodermis) che con 1.235 anni è l’albero datato più vecchio d’Europa; Michele e Norman di oltre 620 anni, i faggi vecchissimi nella faggeta del Pollinello recentemente dichiarata patrimonio mondiale. Motivo in più per conservare e proteggere queste aree. Soprattutto in vista della nuova strategia europea sulla biodiversità che prevede, entro il 2030, di creare una rete di zone protette ben gestite comprendenti almeno il 30% della superficie terrestre e marina dell’Unione europea.