902 Km attraverso il Sahara in Ciad

di Lorenzo Barone

Da tempo sognavo di raggiungere e attraversare un luogo che osservavo sulle mappe satellitari: la depressione di Bodelè, nel cuore del Sahara, in Ciad. Considerata una delle zone più inospitali della Terra, è anche una delle più misteriosamente influenti. Ogni anno, da quel punto preciso, si alzano milioni di tonnellate di polvere sottilissima che, sospinte dai venti, attraversano in parte l’oceano Atlantico e si depositano nella foresta amazzonica. Un viaggio silenzioso, invisibile e vitale, che collega due mondi.

Ho deciso di andare a vederlo con i miei occhi e di attraversarlo con le mie forze.

Ho proposto l’idea a Davide, un amico conosciuto durante un evento sportivo in Liguria. Ha accettato. Insieme abbiamo affrontato settimane di preparativi: permessi speciali, equipaggiamenti, burocrazia, logistica. Poi il volo per N’Djamena, la capitale del Ciad. Da lì abbiamo pedalato per giorni in fatbike, attraversando il Sahel tra piste sabbiose, villaggi remoti, sguardi curiosi e animali “interessanti”.

Abbiamo raggiunto Kouba Olanga, l’ultimo avamposto abitato prima del nulla. Davanti a noi, 278 chilometri senza piste né tracce, studiati su immagini satellitari e trasformati in una linea immaginaria sul GPS. Nessuna sorgente d’acqua, nessun riparo. Solo sabbia, vento contrario, temperature prossime ai 50°C e il rischio di imbattersi in possibili campi minati, residui degli scontri con la Libia. Davide non se la sentiva di continuare, da lì in poi ci ho provato da solo. Ho caricato sulla fatbike 52 litri d’acqua, cibo essenziale e attrezzatura minima. Ogni grammo contava.

Appena partito, il deserto è diventato totale. Seguivo la traccia del GPS scrutando l’orizzonte. Di notte per mantenere la direzione corretta mi orientavo con le stelle, di giorno cercavo di non perdermi tra dune e orizzonti infiniti. Quando il caldo diventava insostenibile, montavo un telo sottile per un po’ di ombra.

La sabbia mutava costantemente. A tratti pedalavo, a tratti spingevo la bici per ore. La velocità crollava a 3 km/h. Il pannello solare non riusciva a caricare: il calore faceva impazzire i dispositivi elettronici. Ho iniziato a bagnare dei calzini per infilarci dentro le batterie: l’evaporazione le raffreddava quanto bastava per farle funzionare. In un ambiente così estremo, ogni dettaglio diventa questione di sopravvivenza.

Poi, finalmente, ho raggiunto la depressione vera e propria. Un fondale marino fossile, piatto, bianco, battuto dal vento e composto solo da polvere. È difficile spiegare cosa si prova lì dentro: isolamento totale, paura di non uscirne più, ma anche un senso profondo di connessione con qualcosa che va oltre ogni barriera fisica e temporale. Ho prelevato un campione di quella polvere, che voglio far analizzare e confrontare con i sedimenti che raccoglierò nella foresta amazzonica, dove la sabbia sahariana termina il suo viaggio e alimenta la vita, contribuendo a nutrire il terreno.

Il 21 giugno 2025 ho completato la traversata della depressione di Bodelè. Secondo tutte le fonti disponibili ed i racconti locali, si tratta della prima traversata a propulsione umana mai compiuta, ma non è questo l’importante. Desidero capire più a fondo e successivamente dimostrare quanto tutto sia connesso, su questo piccolo pianeta che condividiamo.

Questa traversata di Bodelè, in fondo, è solo il primo granello di un sogno molto più grande. A ottobre partirò per una spedizione molto più ambiziosa: un’idea che rincorro da quasi due anni e che finalmente prende forma.

Dust – La via della sabbia” ha un obiettivo tanto semplice quanto complesso: ripercorrere questo viaggio intercontinentale a piedi, in bici, in barca a remi e in canoa. Attraverserò quattro dei più grandi ecosistemi del pianeta, proprio come una particella di polvere: il Sahara, l’Atlantico, l’Amazzonia e le Ande. Racconterò, passo dopo passo, come anche i luoghi più lontani siano legati da fili invisibili: la sabbia, il vento, l’acqua, la terra, la vita. E le persone. Dai rifugiati Saharawi nel Sahara ai popoli indigeni dell’Amazzonia.

Ci lavoro da tempo e la parte più dura non è fisica: è organizzativa, burocratica, economica. Sento che il momento è arrivato. Non sarà facile, ma proprio per questo, indimenticabile.

Mi chiamo Lorenzo Barone, nato a Roma nel 1997 e cresciuto in Umbria, a San Gemini.

Oggi vivo in una casa immersa nei boschi dell’Appennino, senza una macchina, a contatto con la natura. Da oltre dieci anni compio spedizioni e attraversamenti di luoghi remoti, a volte interi continenti, con l’ausilio della sola propulsione umana: in bicicletta ovviamente, ma anche a piedi, con gli sci, in kayak e presto anche in barca a remi oceanica. Ho percorso oltre 110.000 chilometri, e ogni mia avventura è un modo per esplorare, raccontare e testimoniare la bellezza, la fragilità e l’interconnessione del nostro pianeta.

Sono convinto che non bisogna sempre e per forza sapere il 100% prima di partire. Anche perché è proprio imparare cose nuove e mettermi alla prova ciò che mi entusiasma e mi spinge a esplorare.

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3 Comments

  1. says: Fabio Bertoncelli

    Nella vita c’è di bello che ciascuno di noi si fa del male come meglio crede. Moltissimi lo dicono dell’alpinismo…

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