Comprensibile il dolore e anche la reazione “rabbiosa” dei famigliari della vittima. Ma se entriamo nella logica (come io temo da tempo) che in montagna si denuncino ex post le autorità per loro decisioni (o “non decisioni”) assunte ex ante, non ne usciamo più. Nessuno si assumerà più alcuna responsabilità, assisteremo al proliferare indiscriminato di divieti e saremo noi i responsabili di tale fenomeno.
Nella fattispecie o verranno sterminati tutti i predatori pericolosi per l’uomo (così si stronca il rischio all’origine) o si vieterà l’accesso umano a specifiche zone, che saranno riservate esclusivamente ai predatori.
In entrambi i casi, sarà una sconfitta per la visione “illuminata” dell’andar in montagna.
La montagna non è l’habitat naturale della specie umana: possiamo inoltrarci, ma non siamo i padroni di casa. Dobbiamo imparare a muoverci nell’ambiente ostico, sapendo che ci sono pericoli anche mortali.
Per le nostre montagne un pericolo, che fino ad oggi non era compreso in tale elenco, è quello di eventuali incontri con i predatori. Si tratta della conseguenza dei ripopolamenti, che abbiamo accolto con gioia: la montagna è “viva” se è piena di cervi, di caprioli, di falchi, ma anche di lupi e di orsi.
Non eravamo abituati a ragionare in questi termini, dobbiamo tarare il nostro mood. I pericoli della montagna non sono solo valanghe, crolli, frane, ma anche incontri complicati. Oltre a prenderne coscienza, dovremo mettere in conto anche una adeguata formazione, che potrebbe aiutarci a limitare i danni in casi del genere (Carlo Crovella).
Abruzzo e Trentino, orsi (e gestioni) a confronto
a cura della Redazione di lastampa.it
(pubblicato su lastampa.it/la-zampa il 9 aprile 2023)
Perché gli orsi in Trentino sembrano essere un problema, mentre quelli in Abruzzo (più specificatamente nel Palm, il parco nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise) non sembrano esserlo? La risposta la si trova analizzando alcune differenze fra le due realtà: il numero degli orsi nei due territori, il diverso comportamento dei plantigradi e la diversa gestione della convivenza dell’uomo con questo animale.
In Trentino ci sono più orsi
Sono quasi duecento gli orsi presenti in Italia, un po’ di meno se si considerano i dati ufficiali dei censimenti, ma molto vicino a quel numero secondo le proiezioni che considerano gli esperti in base alle nuove cucciolate. La maggior parte sono in Trentino, circa un centinaio (cuccioli esclusi che, secondo le ultime stime potrebbero essere una trentina), mentre gli alti 50-60 si trovano nel territorio del Palm. E qui c’è già la prima differenza: questo maggior numero aumenta la probabilità di poterli incontrare in Trentino, dove tra l’altro c’è anche una maggiore densità di turisti rispetto al Palm.
L’orso bruno delle Alpi ha un comportamento diverso dall’orso bruno marsicano
L’orso bruno nell’area alpina deriva dalla reintroduzione effettuata tra il 1999 ed il 2000 con il progetto Life Ursus. Questa popolazione è “fisicamente” collegata con quella dell’Europa centro-orientale, in particolare con quella slovena, da cui sono arrivati soggetti che hanno frequentato il territorio italiano. L’orso bruno marsicano, che popola il territorio del Palm, è una sottospecie dell’orso bruno: estinta nella gran parte dell’Europa occidentale a causa della persecuzione dell’uomo, è sopravvissuta anche grazie alla tutela che l’Italia assicurò alla specie fin dal 1924. Analizzando i comportamenti delle due tipologie di orsi, quelli marsicani sono risultati avere un comportamento meno aggressivo e più schivo dei loro “cugini” del Trentino. Secondo alcuni esperti questo diverso tipo di comportamento potrebbe derivare proprio dalla provenienza dagli orsi sloveni degli esemplari presenti in Trentino: gli orsi sloveni sono abituati a un territorio poco antropizzato, con bassa probabilità di incontrare esseri umani e possono quindi manifestare un atteggiamento meno tollerante in caso di incontri. Gli orsi marsicani invece convivono da sempre in una zona molto antropizzata e, causa anche del bracconaggio, sono riusciti a sopravvivere solo quelli più mansueti che hanno tramandato alla loro prole questo atteggiamento schivo.
Una diversa gestione dell’orso
Quello che emerge dalle parole di molti esperti è che una delle carenze del Trentino è stata la comunicazione della presenza dell’orso. Andrea Mustoni, zoologo e uno padre del progetto Life Ursus, ha detto: “In Trentino non è stata mai fatta una comunicazione seria, a scienza e cultura si è anteposta la strategia politica della paura. Il primo piano comunicazione è del 2002, l’ultimo del 2016: mai attuati” e oggi quel tipo di carenza ha portato a un approccio profondamente negativo nella convivenza uomo-animale: “La politica ha usato e sfrutta l’orso in modo ideologico, a fini di propaganda. Nel 1999 il 75% dei trentini era pro-orso. Lo scorso anno il 75% si è dichiarato contro” ha detto Mustoni a Repubblica.
L’approccio nel Palm è stato diverso, non facile, ma diverso: con molti progetti di comunicazione la presenza dell’orso è stata valorizzata, è diventata un simbolo del territorio, un’attrazione turistica. Non facile nel senso che i momenti di tensione non sono mancati con la popolazione locale, soprattutto con il mondo degli allevatori e dell’agricoltura. Ma quando ci sono stati dei danni sono sempre stati ripianati e spesso sono stati finanziati dei progetti per evitare che gli orsi diventassero un problema anzi trasformandoli in opportunità con marchi specifici. Per il turista poi sono previste delle regole di comportamento molto ferree proprio perché si riducano al minimo le possibilità di incontro e, quindi, di problemi: il turista ha il divieto di uscire dai sentieri nelle zone di riserva integrale e di riserva generale e deve seguire particolari regole per entrare nelle quattro aree del Parco (in alcune si può andare liberamente, anche portando il cane, sempre al guinzaglio, o il cavallo e la bici; in altre il turista non può uscire dal tracciato, portare i cani al seguito, far entrare cavalli, muli e asini e qualsiasi mezzo meccanico incluse le mountain bike).
Trento, il presidente Fugatti: “Non mi preoccupa come verranno catturati gli orsi e se dovessero sbagliare animale nelle identificazione dell’esemplare”
Il Trentino, al di là delle questioni politiche con la popolazione locale, sembra aver avuto un approccio, anche nei confronti del turismo che sembra non trovare adeguate informazioni sul comportamento da avere in montagna o, quanto meno, in alcune zone della montagna. Ed è su questo elemento sembra puntare la denuncia della famiglia del runner nei confronti di Provincia di Trento e Stato come racconta la madre della vittima: “Nessuno ci ha vietato di andare nel bosco. Se un ragazzo che va a camminare sulla montagna sopra casa viene ucciso da un orso forse qualcuno delle responsabilità se le dovrà assumere”.
Quel difficile rapporto fra uomo e orso
A cura della Redazione di lastampa.it
(pubblicato su lastampa.it/lazampa il 7 aprile 2023)
La morte di Andrea Papi verrà ricordata la prima di sempre in Italia causata da un orso. La tragedia si è consumata nel pomeriggio di mercoledì 5 aprile 2023 quando il runner si è recato tra i boschi della sua Caldes, località della Val di Sole in Trentino, per allenarsi. Due giorni dopo è arrivata la conferma dell’esame autoptico che Papi è morto a seguito dell’aggressione subita dal plantigrado. La presenza degli orsi in Trentino è diventata da curioso richiamo per turisti, anche un problema sociale, un motivo di un forte e confuso dibattito sfociato in denunce, querele, ordinanze di cattura e abbattimenti. Sempre molto accese le proteste con lettere, ricorsi, sit-in da parte delle tante associazioni di animalisti e ambientalisti.
Era il 1996 quando sulle montagne del Brenta iniziò il progetto ‘Life Ursus’ finalizzato alla tutela della popolazione di orso bruno. La fase operativa del progetto iniziò nel 1999 con la liberazione dei primi due esemplari: Masun e Kirka. Tra il 2000 e il 2002 vennero liberati altri otto plantigradi per un totale di dieci esemplari complessivi. In quest’ultimo gruppo c’erano anche Joze e Jurka, catturati in Slovenia e considerati tra i pionieri del progetto di reintroduzione sulla catena alpina. Jurka era la madre di JJ1 ‘Bruno’, ucciso in Baviera nel 2004 e adesso esposto al museo ‘Mensch und Natur’ all’interno del Castello di Nymphenburg a Monaco di Baviera.
La comunità di plantigradi in Trentino è attualmente di circa un centinaio di esemplari, una quarantina in più rispetto al 2017. Gli orsi del Trentino negli ultimi anni tante volte sono saliti agli onori delle cronache per le loro incursioni soprattutto notturne anche nei centri abitati, per aver ferito escursioni: mai c’erano state vittime. Tra attacchi ma anche catture, fughe rocambolesche, visite notturne nei centri abitati, danneggiamenti ad arnie e pecore sbranate, i plantigradi sono stati molto attivi. Grande protagonista era stato l’orso ‘M49’ che l’allora ministro dell’Ambiente Sergio Costa aveva ribattezzato ‘Papillon’. Tra il 2019 ed il 2020 era considerato l’orso più ricercato d’Europa tanto da essere stato l’argomento più seguito dagli italiani nell’estate 2019, l’ultima senza il coronavirus.
‘M49’ venne catturato la sera del 14 luglio del 2019 ma la notte successiva fuggì dal recinto del centro faunistico del Casteller alla periferia di Trento. Dopo una latitanza di 289 giorni che lo vide emigrare anche nel vicino Alto Adige (nella zona del Butterloch ad Aldino terrorizzò un giornalista bolzanino), il problematico plantigrado venne catturato il 29 aprile 2020. Restò ‘tranquillo’ al Casteller fino al 27 luglio, giorno della seconda rocambolesca evasione. Il successivo 7 settembre la terza cattura nella zona del Vanoi. Scorrendo l’ormai lungo elenco degli attacchi all’essere umano, il primo risale alla mattina del 14 agosto 2014 quando Daniele Maturi, un fungaiolo di 38 anni tra i boschi di Pinzolo in Valrendena venne ferito alla schiena e ad una gamba da ‘Daniza’. L’orsa morì meno di un mese dopo a seguito dell’anestesia eseguita durante la cattura.
Il 30 maggio 2015 tra i boschi di Zambana a Fai della Paganella, l’orsa ‘KJ2’ ferì alle gambe Marco Zadra, un quarantaduenne che stava correndo per allenarsi. Qualche giorno dopo nei pressi di Cadine, Wladimir Molinari, 45 anni, podista, durante una passeggiata con il cane si ritrovò a tu per tu con la stessa orsa riportando varie lesioni. La lista prosegue con l’attacco del 22 luglio 2017. Il 70enne idraulico di Cadine, Angelo Metlicovec, durante una passeggiata con il suo cane tra Terlago e i laghi di Lamar, venne attaccato da ‘KJ2’ che lo ferì ad un braccio e ad entrambe le gambe. L’allora governatore di centrosinistra Ugo Rossi firmò l’ordinanza di abbattimento che venne eseguita il successivo 13 agosto.
A fine maggio del 2020 un bambino d i 12 anni, Alessandro, durante una passeggiata con la famiglia sulle Dolomiti del Brenta, ad una quota di circa duemila metri si è trovato faccia a faccia con un orso ma è stato bravo ad allontanarsi senza effettuare movimenti bruschi. Il 22 giugno 2020 l’orsa ‘JJ4’ (Gaia), figlia di Joze e Jurka, sul Monte Peller in Val di Non aveva ferito alle gambe due persone, padre e figlio. L’ordinanza di abbattimento del governatore trentino Maurizio Fugatti venne sospesa da un provvedimento del TAR. Due mesi esatti dopo un’altra aggressione sempre in quell’area del Trentino.
È la sera del 22 agosto quando il carabiniere Diego Balasso di 24 anni viene aggredito ad Andalo dall’orso M47 poi catturato e trasferito in Ungheria. Il militare, che si trovava libero dal servizio assieme ad un’amica, è stato ferito alla schiena.
Il 5 marzo scorso a Rabbi nell’omonima vallata trentina, Alessandro Cicolini, 39 anni fratello del sindaco, a circa 1.800 metri mentre stava compiendo una passeggiata con il suo cane, è stato ferito alla testa e al braccio dall’orso Mj5, nato nel 2005 figlio di Maja e Joze, due orsi sloveni portati in Trentino per avviare l progetto ‘Life Ursus’.
Il 5 aprile 2023il primo attacco con esito mortale.
La pena di morte per gli orsi è una soluzione? Di sicuro siamo lontani dalle leggi della natura
A cura di Mountain Wilderness Italia
(pubblicato su ilfattoquotidiano.it l’11 aprile 2023)
Ci sono attività sportive nelle quali il rischio di un incidente mortale viene messo in conto. I piloti di Formula 1 o i motociclisti, chi pratica il base jumping, gli stessi alpinisti che affrontano pareti verticali al limite dell’impossibile sono consapevoli di questa eventualità, anche se si cerca di ridurre al minimo i fattori di rischio.
Andrea Papi correva lungo i sentieri, era un runner, non si aspettava certo una fine così atroce e violenta. Per certi versi è come un infortunio sul lavoro o un incidente stradale, può essere frutto di una disattenzione, di un errore umano o di un fattore imponderabile, sta di fatto che accade. Mettiamo in atto tutte le possibili precauzioni, ma accade quando meno te lo aspetti ed è troppo tardi.
Probabilmente nemmeno l’orso se lo aspettava. Non è un animale aggressivo, lo diventa quando si sente minacciato, a torto o a ragione, è dotato di dimensioni e di armi naturali tali da diventare pericoloso, non siamo in grado di difenderci; non è cattivo, la cattiveria è una prerogativa tipicamente umana, segue un istinto, nulla di premeditato.
Il simbolo del Parco Adamello-Brenta è proprio l’orso. Incontrarlo non è certamente frequente, ma è possibile. Ricordare che le probabilità di un evento simile sono molto basse non serve a nulla, soprattutto non rincuora i familiari e gli amici che hanno perduto un affetto. E non offre soluzioni.
All’epoca della Convenzione di Berna del 1979 il problema era diverso: difendere l’orso dall’uomo, e non viceversa. “Se fino al XVII secolo la presenza dell’Orso bruno sulle Alpi era ancora abbondante e diffusa, dal secolo successivo il progressivo disboscamento e la trasformazione agricola delle aree montane, sommati alla costante persecuzione dell’uomo, hanno determinato la progressiva rarefazione della specie. Alla metà del XX secolo l’orso era estinto in quasi tutte le Alpi, ad eccezione del piccolo nucleo residuo del Trentino occidentale, anche questo interessato però da un progressivo calo numerico che lo portò quasi all’estinzione alla fine degli anni ’90, quando fu quindi iniziato il programma di reintroduzione” (AA.VV., 2010 – Piano d’Azione interregionale per la Conservazione dell’Orso bruno nelle Alpi centro-orientali – PACOBACE. Quad. Cons. Natura, 33, Min. Ambiente – ISPRA). La reintroduzione degli orsi in Trentino tra il 1999 e il 2002 da un lato ha sortito l’effetto sperato riportando la popolazione all’attuale numero di circa un centinaio di esemplari, dall’altro ha riproposto le antiche difficoltà di convivenza alle quali non si era più abituati da tempo.
Gli strumenti a disposizione per la gestione degli orsi “problematici” prevedono in casi estremi anche l’abbattimento dell’animale, non staremo qui a disquisire su chi è favorevole o contrario ad una pena di morte che è istituzione del tutto umana e non esiste nel mondo animale, regolato invece da quelle leggi della natura che di frequente non comprendiamo essendoci sempre più allontanati da essa. La montagna non è solo un paesaggio ma anche e soprattutto un ambiente naturale, del quale spesso dimentichiamo le regole cercando di piegarle ai nostri più o meno legittimi interessi; quando non ci riusciamo, il risultato assume i contorni della disgrazia. Come in Marmolada lo scorso anno, come oggi, come ancora purtroppo succederà.La deportazione o lo sterminio degli orsi è una soluzione? Lasciamo il dibattito agli esperti veri e a quelli presunti tali, che esternano le loro convinzioni attraverso i libri o le pagine dei giornali. Certo dovremmo sterminare non solo orsi e lupi ma anche le vipere ed altri animali pericolosi, perfino i rottweiler e i pitbull che alcuni scelgono come compagni di vita pur essendo protagonisti sulle cronache di tragedie anche mortali.
Ora si cercano le responsabilità. Il PACOBACE rappresenta il documento di riferimento dello Stato Italiano e di Regioni e Province Autonome in materia di gestione e conservazione dell’Orso bruno sulle Alpi, anche in relazione ai criteri e procedure d’intervento in situazioni critiche e d’emergenza. Sta agli Enti preposti cercare di dare attuazione ai suoi contenuti e di dare risposte, se possibile non solo sul piano emotivo ma anche scientifico. Purtroppo da anni questo progetto è stato abbandonato dalla politica locale, l’area protetta non ha più guardiaparco, mancano i controlli (solo tre orsi hanno il radiocollare), non si è investito in educazione ed informazione.
Nel frattempo piangiamo la morte di un ragazzo, che correva in montagna.
Su orsi e dintorni: meno animalismo, più totemismo
Meno animalismo, più totemismo
di Riccardo Paccosi
(pubblicato su ariannaeditrice.it il 12 aprile 2023)
Fonte: Riccardo Paccosi
Col repentino venir meno d’un numero sempre maggiore di specie animali, noi esseri umani cosa stiamo perdendo?
La risposta a questa domanda, penso richieda uno sforzo di riflessione antropologica.
Ritengo positivo che, nell’era contemporanea, sia sorta una coscienza intorno agli animali relativa al loro essere creature capaci di provare felicità e sofferenza e, di conseguenza, relativa al loro essere latrici del diritto a non venire maltrattate o torturate.
Ritengo deleterio, però, che la questione animale finisca ridotta alla valorizzazione delle caratteristiche che avvicinano animali e uomini. In questo senso, l’animalismo – invocando i diritti degli animali sovente in ragione delle loro caratteristiche intellettive e affettive similari a quelle umane – si rivela essere una forma di antropocentrismo mascherato.
La comprensione dell’importanza del rapporto uomo-animale, non passa dall’individuazione della somiglianza ma, al contrario, dall’esaltazione della completa alterità.
L’animale rappresenta infatti quella relazione col cosmo che nell’uomo, come diceva Ernesto De Martino, genera una “crisi di presenza”: l’uomo intuisce l’infinito intorno a sé, si interroga su di esso, ma se ne sente anche separato. L’invenzione del sacro e della ritualità – generatrice, secondo i padri dell’antropologia, di ogni patto sociale originario – si declinava per molti popoli nella sacralizzazione totemica di quegli esseri che, al contrario degli uomini, vivevano connessi al cosmo circostante, ovvero gli animali.
Questa sacralizzazione tanto più si esprimeva con forza, quanto più il rapporto uomo-animale era avvolto entro un concatenamento di morte e sopravvivenza: l’animale che veniva ucciso per nutrirsi, era sacro; parimenti, nell’animale ucciso per gli olocausti, si riteneva incarnarsi lo spirito divino celebrando il ciclo indissolubile della vita.
Perdere gli animali, dunque, significa perdere la relazione misterica col cosmo, significa perdere ulteriori elementi di connessione simbolico-rituale della comunità umana.
La riscoperta di una relazione tra uomini e animali, quindi, o sarà totemica o non sarà.
Venendo alle discussioni da social network sugli orsi del Trentino, la vita di questi ultimi va difesa non perché essi siano pelosi e carini, ma perché se gli orsi cessassero di esistere verrebbe meno un archetipo, un elemento di connessione simbolica e ancestrale, fra gli esseri umani e l’Universo.