Scalare?

di Marcello Luppi
(pubblicato sul suo profilo fb il 7 marzo 2022)

Scalare? Salire con l’ansia addosso, cercando vie per gradi, scrutandone i movimenti per trovarne di congeniali, “di soddisfazione”.

Inseguendo un numero per poter dire “chiuso”.

Arrampicare per un pubblico immaginario, con mille occhi addosso, ma che osservano dall’interno: giudici corrotti di noi stessi.

Quel tiro non va bene, troppo facile, quella cascata troppo ripetuta, quella via troppo conosciuta.

Tornare a casa delusi, sconfitti, abbattuti e smorti per uno spit non raggiunto.

Soli, con altre persone, senza aver scambiato parole.

Liberi prigionieri della performance, dei social, dell’abito che ci siamo cuciti addosso.

Quante volte… scalare perché sì. Perché bisogna. Perché altrimenti divento una sega, o quantomeno sembro una sega.

Dimentico il valore della scalata DI PER SE’. Dimentico perché voglio e pretendo, troppo, sempre. Tralascio i dettagli: la melodia della neve sotto gli scarponi, l’odore acre delle foglie appena cadute, i profumi della flora dopo il gelo e i mille scintillanti colori della roccia, illuminata dal sole di mezzogiorno;

salire attraversando le stagioni, inseguendo talvolta il ghiaccio, talaltra il fiorire delle primule, un giorno il calore confortante di una placca solare e il successivo il freddo pungente di una valle remota;

arrampicare senza paraocchi, con lo sguardo saturo di panorami ed esperienze: storie da raccontare alla luce tremolante di un falò, scherzando con gli amici che di montagna, forse, sognano ancora. E ridono, tanto.

Salire vie perché “mi piace il nome”.

Tornare a casa stanchi “per la troppa libertà”.

Lo scrivo per poterlo studiare, ripetere, e non dimenticare mai.

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