Nel mondo da tempo ci sono più tigri in cattività che selvatiche. In Sud Africa il nuovo business dell’allevamento che, secondo gli animalisti, incentiva il traffico illegale in cui è coinvolta anche l’Italia. Lav: «Chiediamo al governo di intervenire».
Tigri a rischio estinzione
(il commercio illegale e il ruolo dell’Italia)
di Beatrice Montini
(pubblicato su corriere.it/ il 1 marzo 2002
Si stima che al mondo siano rimaste al massimo 3.900 tigri selvatiche. Circa la metà di quelle allevate in cattività (8mila). Ma la mancanza di dati certi non permette alle autorità di avere un adeguato controllo su traffici illeciti e sfruttamento commerciale di questa specie a rischio estinzione.
I dati parlano da soli: in India – che ospita il 75% della popolazione mondiale di tigri in natura – nel 1947 gli esemplari erano 40mila. Nel 2018 ne erano rimaste 2.967, un numero bassissimo eppure definito «storico» dal premier Narendra Modi.
Caccia, distruzione dell’habitat, paura, superstizioni: da secoli il felino più grande del mondo viene costantemente minacciato dall’uomo. Secondo alcune culture, le loro ossa tritate rendono più forti, mentre per altre, gli organi genitali possono aumentare la virilità e gli occhi sono in grado di curare malattie della vista. La pelliccia è ancora considerata una merce pregiata, simbolo di lusso e di potere. Così come i vari «trofei». Mentre i cuccioli vengono venduti come animali da compagnia.
L’allevamento in Sud Africa
Al centro del traffico internazionale della tigre c’è oggi il Sud Africa che, secondo un recente rapporto dell’organizzazione animalista tedesca Four Paws (leggi qui) – sta «palesemente violando gli accordi internazionali sul commercio di specie selvatiche» (ndr, convenzione di Washington – Cites). Non essendo native del Paese, spiega l’organizzazione animalista, le tigri non godono di protezione legale e proprio grazie a tali vuoti legislativi l’allevamento delle tigri sta diventando ancora più lucroso di quello dei leoni (che lo scorso anno il governo ha annunciato di voler proibire). Il rapporto afferma che la mancanza di normative efficaci riguardanti l’allevamento privato e il commercio commerciale di grandi felini vivi da questo Paese sta «incentivandone il commercio illecito e sta contribuendo al declino delle popolazioni di grandi felini in tutto il mondo». Il Sud Africa esporta ogni anno un gran numero di tigri vive allevate in cattività, ma anche parti di esse. Tra il 2011 e il 2020, almeno 359 tigri vive sono state esportate dal Paese principalmente in Vietnam, Cina e Thailandia, noti punti caldi per la domanda di parti di tigri e per il commercio illegale destinato alla produzione di medicine tradizionali e pellicce. Circa 255 di queste sono state vendute agli zoo. Ben 54, invece, i « trofei» esportati dal Paese.
Il ruolo dell’Italia
«Sebbene il focus del rapporto sia sull’industria sudafricana, le evidenze che ne emergono sottolineano la necessità di un cambiamento globale e urgente, per proteggere dall’estinzione i grandi felini come le tigri», spiega la Lav che sottolinea come l’Europa e anche l’Italia abbiano, purtroppo, un ruolo non indifferente in questi traffici. Basti pensare che – sempre secondo i dati diffusi dall’associazione – l’Italia e la Francia sono infatti responsabili, da soli, del 50% del traffico europeo.
Come è possibile? «Italia e Francia sono i Paesi con la presenza maggiore di aziende circensi– spiega al Corriere Andrea Casini, responsabile Animali Esotici della Lav – che sono autorizzate a detenere e allevare le tigri e quindi di fatto sono uno dei centri “di produzione” di questi animali». Le tigri possono in questo caso essere anche legalmente vendute ad altri circhi. «Ma il risultato è che non si ha idea di quante ce ne siano e spesso dove finiscano – sottolinea ancora Casini – Anche perché non esiste un registro unificato e un database degli animali esotici presenti sul territorio. Quindi è impossibile fare i controlli».
Un caso esemplare recente è quello delle dieci tigri trasportate da Latina alla Russia. «La fine di questi animali venduti e trafficati – spiega sempre Casini – è purtroppo quella di diventare medicina tradizionale cinese: e quindi di essere uccisi e smembrati». Se una tigre viva vale dai 3mila ai 5mila euro, il guadagno per una tigre morta va infatti dai 15mila ai 20mila euro.
La soluzione possibile
Uno dei problemi nel definire il ruolo dell’Italia nel traffico del commercio illegale di tigri è – ancora una volta – l’impossibilità di ottenere dati univoci. Ad esempio: secondo i dati ufficiali le tigri dichiarate in Italia sono 24 . Ma il numero «reale» (ottenuto incrociando evidenze della presenza di questi animali in circhi, zoo etc.) è almeno di 400.
La soluzione? «Oggi in Italia siamo di fronte ad un possibile cambiamento positivo per le tigri e gli animali esotici, in generale – sottolinea ancora la Lav – Entro l’8 maggio, infatti, il ministero della Salute è chiamato ad approvare il Decreto Attuativo della Legge 53 che vieterà totalmente la riproduzione, la detenzione e il commercio di animali selvatici ed esotici, comprese le tigri. Le disposizioni contenute in esso, se rispetteranno come dovrebbero l’Articolo 14 lettera q) della Legge 53 votata e approvata dal nostro Parlamento, avranno impatti importanti sui circhi e sugli allevamenti privati di tutti gli animali selvatici. Solo attraverso questi cambiamenti epocali si potrà tornare, ma non come prima».