di Francesca Cassi
Foto di Gabriele Ruffato
“Un collettivo di attivisti climatici convinti che la chiave della transizione ecologica stia nella comunicazione e nel contatto, nella diffusione di messaggi onesti e responsabili, nella creazione di sentimento di coesione e positività”. Così si presentano i membri di Ci Sarà Un Bel Clima. Il collettivo vuole dare più rilevanza all’attivismo climatico italiano: sono loro ad aver convocato gli “Stati Generali dell’Azione per il Clima” al Campo Base Festival tenutosi a Oira (VB) lo scorso 1° settembre, per trovare una voce corale e fondare una comunità coesa e cooperativa. Ne abbiamo parlato con Clara Pogliani, portavoce del collettivo.
Ci parli brevemente del vostro progetto?
Siamo un collettivo di attivisti che è nato circa tre anni fa, dopo il primo periodo di pandemia. Abbiamo lanciato una chiamata aperta a diverse persone che ci occupavano di clima e ambiente: l’obiettivo era capire cosa poteva tenerci insieme. Il Covid ha avuto un forte impatto sugli spazi della crisi climatica – sullo spazio mediatico, ovviamente, ma anche sullo spazio fisico, a causa del social distancing. Così ci siamo trovati in montagna, in Val grande, per incontrarci e capire cosa fare. Due giorni, cinquanta persone: in cinque abbiamo deciso di portare avanti il progetto, facendolo diventare un collettivo stabile. Le diverse direzioni verso le quali abbiamo deciso di muoverci sono le grandi mobilitazioni, anche se ci sono movimenti che già lo fanno molto bene; e soprattutto un lavoro sui linguaggi da una parte e l’organizzazione di eventi dall’altro. Questo per fare rete, per unire le diverse realtà che si occupano di attivismo. Il nostro perché rimane la connessione con la natura. Per questo la maggior parte dei nostri eventi si svolgono o si sono svolti in montagna. Quest’ultima è un vero e proprio laboratorio della crisi climatica e sociale. Grazie a tutti questi elementi, abbiamo deciso di lavorare su una proposta comune per il clima.
Come sono andati gli Stati Generali?
Direi che è andata bene. Non si sono ovviamente conclusi con questi primi tre giorni: si tratta di un processo partecipativo che è iniziato al Campo Base Festival, ma che continuerà tutto l’anno. C’erano oltre 70 aderenti a organizzazioni di attivisti e almeno altri 40 osservatori di varie realtà italiane che si occupano di clima e ambiente. Abbiamo avuto una bellissima risposta e percepito grande volontà di partecipazione. C’è stato anche tanto entusiasmo per la proposta che abbiamo fatto: ovvero, quella di lavorare insieme per definire la nostra richiesta alla politica da un lato e per capire come avere un impatto maggiore sulla società civile e la civilizzazione sulle sfide che ci aspettano i prossimi anni dall’altro.
Quali sono queste sfide di cui parli?
Le avete identificate insieme? Non le abbiamo ancora definite internamente; però si inizierà con la COP28, che si terrà nei prossimi mesi a Doha (Qatar) – un petrol-Stato – e con la consapevolezza che vogliamo portare su queste tematiche. Un’altra sfida importante è quella che ci impone il governo attuale, che non sta agendo per contenere il cambiamento climatico e che anzi spesso si muove in direzione opposta alla nostra. Poi, indubbiamente bisognerà affrontare la questione delle elezioni europee del 2024: l’Unione Europea è stata una delle grandi possibilità che abbiamo avuto, uno dei fari per affrontare il problema del clima in questo contesto che ha visto negli ultimi giorni lo zero termico fisso a Capanna Margherita. Si tratta di salvare le nostre vite, e l’umanità come la conosciamo.
Avete organizzato altre azioni oltre agli Stati Generali?
Al momento questo aspetto non è ancora stato definito, ma è un format di lavoro che gli Stati Generali vogliono avere. Il processo vuole essere, come ho già accennato, partecipativo, a partire dai temi che sono emersi in questi tre giorni. Abbiamo chiesto a diversi candidati di esprimersi su come portare avanti la transizione e l’obiettivo generale è di proseguire in questo percorso su un modello di “assemblea di cittadini”, che prevede: una formazione per tutti gli aderenti per capire a quali argomenti ci si sente più affini e per avere una conoscenza comune come fondamenta – e come Stati Generali vogliamo proprio lavorare sulle cose che ci accomunano, al di là delle differenze; più tavoli di lavoro, scelti in base alle proprie affinità di cui sopra, per definire in ognuno un documento che il gruppo andrà a redigere; e un passaggio finale in un’assemblea generale che proporrà poi il documento alla società civile e politica.
Con quali enti o figure collaborate maggiormente?
Al momento, l’obiettivo è di trattare con i rappresentati dei vari movimenti di attivisti italiani; poi, ovviamente, desideriamo raggiungere i cittadini e la politica. Tra i nostri sostenitori annoveriamo Patagonia e abbiamo anche organizzato una rassegna dal titolo “Un’ora per acclimatarsi” nel contesto del Trento Film Festival – tra i cui supporter c’è Montura – insieme a Protect Our Winters Italia, il Dolomiti e il blog Altorilievo. Tutte le sere, prima del festival, si teneva un talk su una tematica ambientale. Ne siamo molto contenti perché grazie a questa collaborazione abbiamo anche avuto un palco in centro a Trento, avendo così la possibilità di coinvolgere molte più persone, sia gente che era già informata che solo passanti. Abbiamo inoltre coinvolto alpinisti, scienziati e vari esperti su tante tematiche.
Perché vi muovete molto nel contesto alpino?
Le Alpi sono uno di quei luoghi che sono stati identificati come hotspot climatici: ovvero, zone dove anche a partire da fenomeni metereologici si possono vedere direttamente gli effetti della crisi climatica. Ci si confronta con le conseguenze tangibili, davanti agli occhi di tutti. Per esempio, lo scioglimento dei ghiacciai – si stima che entro fine secolo i ghiacciai alpini potrebbero scomparire se non limitiamo le emissioni di gas serra – e la scarsità d’acqua. Tutto il nostro approccio alla montagna sta crollando: non è più quel luogo dove andiamo a cercare il fresco anche d’estate. E oltre a queste evidenze fisiche, si notano anche quelle socio-economiche: il sistema economico che abbiamo costruito crolla e ci porta a domandarci più cose. Come possiamo mitigare la crisi climatica, partendo dalla limitazione delle emissioni? Come possiamo vivere la montagna in un contesto così cambiato?
Si tratta di un ambiente ricettivo?
Sì, molto, soprattutto negli ultimi due anni. Abbiamo lanciato in questo contesto un’idea e un progetto. L’idea è quella che Giovanni Ludovico Montagnani ha chiamato “Allontanare le montagne”. Si basa sul progetto “Avvicinare le montagne” promosso dall’Alpe Devero e si muove verso un paradigma opposto. Si tratta di chiedersi come arriviamo in montagna – in auto, in treno, o con i trasporti pubblici? È magari possibile andare in posti anche meno lontani e selvaggi, ma con mezzi meno inquinanti, e magari non per forza dover arrivare sulle vette più remote? E si tratta di chiedersi anche quanto siamo dipendenti dagli impianti di risalita. Siamo soddisfatti perché ha avuto risonanza in tanti gruppi. Il progetto è invece “L’occhio del Gigiat”, di Michele Argenta. Si tratta di una pagina su Instagram che vuole essere collettrice di sguardi sui cambiamenti della montagna. Pubblica moltissimo ed è molto cresciuta negli ultimi anni. Raccoglie gli sguardi e le voci di tutte quelle persone che vedono la crisi climatica, che vogliono parlarne e vogliono approfondire i vari temi.
Perché bisogna continuare a fare attivismo? E come possiamo renderla un’attività alla portata di tutti?
Bisogna fare attivismo perché i prossimi anni saranno quelli cruciali per decidere se possiamo continuare a vivere su un pianeta che è sicuramente cambiato, ma che è ancora abitabile. Sono gli anni in cui bisogna spingere di più e di coinvolgere più persone possibili intorno a questo tema. L’attivista oggi è chiunque si occupi di portare l’attenzione della società sulle urgenze e che non sono ancora interamente percepite dalla maggior parte delle persone. È una tematica emergente nella sensibilità generale, ma non è mai stata così impellente come in questo momento. Poi, l’attivismo non è un mestiere, non è un ruolo ma una postura che possono assumere tutti, e che ognuno può vivere con le proprie sensibilità e come proprio momento creativo. L’attivismo lavora tanto con immaginazione e immaginari. Chiunque di noi, avvicinandosi a queste tematiche, può fare attivismo con modi e ispirazioni propri che non sono ancora stati usati.
Ti va di lanciare un appello finale?
Certo. Durante quest’estate abbiamo già visto le conseguenze sulle nostre montagne e sul nostro ambiente di cosa significa vivere in un mondo che si avvicina sempre di più a quello dei 1,5 gradi – che rappresenta la soglia vivibile stabilita dagli scienziati. È necessaria un’analisi su quello che abbiamo vissuto in questa stagione. Tutto è già cambiato e si impone un esame di coscienza per capire cosa fare e quanto è importante fare qualcosa. È fondamentale affrontare tutto ciò subito, senza che questa necessità rimanga nella sensibilità di poche persone.
Gli “Stati Generali” di “Ci sarà un bel clima” sanno che, per contrastare il riscaldamento globale (di origine antropica, ovviamente) e per una “decrescita felice”, non possono piú permettersi il cellulare?
E con il cellulare – beninteso – centinaia di altre cose.