La leggenda delle Dolomiti
Paolo Martini
Neri Pozza, 2018
E’ un libro che si legge in fretta non tanto perché è piccolo di dimensioni, piuttosto invece per la sua gradevole scorrevolezza.
Notevole è la mole d’informazioni contenute nelle sue 124 pagine: queste sfrecciano sotto agli occhi del lettore perché disposte sapientemente una dietro l’altra senza intervalli, una continua serie di piccoli fuochi d’artificio che, pur non pretendendo l’approfondimento, si accavallano uno sull’altro costringendoci a una lettura continua, senza sosta.
Il libro è un misto di giornalismo, storia e fantasia. Abbraccia la bellezza di 250 anni di storia e quasi non ce ne accorgiamo, in questo continuo saltare da uno spazio temporale a un altro, con legami logici che non appartengono a processi troppo razionali, ma sono efficaci, eccome.
Sono cinque capitoli che hanno solo di nome un titolo, dunque un tema. E ciascuno di loro è preceduto da una lettera di pura fantasia scritta da personaggi storici ad altri, qualche volta vissuti addirittura in epoche diverse.
Il regista e faccendiere Luis Trenker scrive all’attrice, fotografa, regista e amante del Führer Leni Riefenstahl; l’eroe-martire Cesare Battisti scrive allo scrittore austriaco Karl Kraus; Déodat Gratet de Dolomieu scrive a Nicolas-Théodore de Saussure (figlio del più noto Horace-Bénédict de Saussure, terzo salitore del Monte Bianco); Dino Buzzati scrive al giornalista Rolly Marchi.
Il capitolo E le stelle stanno a guastare è preceduto dalla lettera dell’eroe nazionale tirolese Andreas Hofer scritta nientemeno che a Papa Luciani (Giovanni Paolo I). In ventitré pagine è descritto come la figura del “liberatore” sia diventata, nei tempi moderni, un testimonial, la cui effigie o le iniziali sono presenti ovunque come l’immagine del Cervino lo è in Svizzera, con la consequenziale svalutazione totale del mito: un mito che non è più “ereditato” ma “corrotto” ad uso e consumo di un turismo livellato dal marketing che ormai nelle Dolomiti del Sud-Tirolo è invasivo al punto da ridurre sempre più la residua autenticità a dispetto delle definizioni e delle feste in costume.
Il libro poi brilla per alcuni neologismi davvero arguti, tipo distrut-turismo, eco-egoturismo, Dolo-mitologia, ecc. che rafforzano l’accorata descrizione dell’attuale panorama appiattito. Un’esperienza uguale a quella di altre zone montuose, dove il “divertimento”, meglio se organizzato, ha sostituito le serate con gli albergatori in grado di affabulare, la ricerca della natura semplice, i pernottamenti nei rifugi che nel frattempo sono diventati alberghetti. Un’esperienza che corre il rischio concreto di scivolare nella noia, uno stato mentale dal quale giustamente cerchiamo di rifuggire, ma con il risultato di riempire quel vuoto con la competizione. Da qui il grande successo dell’eliski ma soprattutto delle competizioni d’ogni tipo, eventi popolari di grande successo, dalla mitica Marcialonga alla Maratona ciclistica delle Dolomiti. Manifestazioni in se stesse innocue che, nel panorama culturale assai scarso di autenticità e di stile, rischiano di appiattire maggiormente ogni nostra vacanza, per non parlare della vita degli abitanti.
In conclusione riportiamo un brano di Alex Langer, non certo a caso ripreso anche da Paolo Martini proprio nell’ultima pagina del suo libro. Brano che riassume in maniera perfetta quella che in definitiva, al di là della curiosità che Martini ci ha destato, è la summa filosofica dell’intero lavoro:
«Sinora si è agito all’insegna del motto olimpico “citius, altius, fortius” (più veloce, più alto, più forte), che meglio di ogni altra sintesi rappresenta la quintessenza dello spirito della nostra civiltà, dove l’agonismo e la com-petizione non sono la nobilitazione sportiva di occasioni di festa, bensì la norma quotidiana e onnipervadente. Se non si radica una concezione alternativa, che potremmo forse sintetizzare, al contrario, in “lentius, profundius, suavius” (più lento, più profondo, più dolce), e se non si cerca in quella prospettiva il nuovo benessere, nessun singolo provvedimento, per quanto razionale, sarà al riparo dall’essere ostinatamente osteggia¬to, eluso o semplicemente disatteso».