di Chiara Baù
(pubblicato su imperialecowatch.com il 5 aprile 2022)
Sono trascorsi pochi giorni dall’equinozio di primavera. La terra si risveglia con il suo profumo. Come gli animali sono andati in letargo, anche la terra è rimasta silente sotto la coltre nevosa. Il calore del sole e l’umidità della neve donano alla terra un nuovo abito, e un nuovo profumo intenso e deciso si diffonde nell´aria.
Una fragranza presente solo in questi giorni, che coglie il delicato momento in cui la terra si concede nuovamente alla luce del sole. Ben presto il calore asciugherà il terreno e il profumo di erba novella misto a quello dei primi fiori primaverili prenderà il sopravvento. Questo odore di terra e di natura è un gran messaggio di vita. La sera, prima di rientrare a casa dal lavoro, costeggio i prati spogli e respiro a pieni polmoni quell’acuto odore di terra, mentre ascolto la voce del torrente che pian piano si sveglia.

Tra le foglie secche e i primi steli d’erba nuova un blu intenso spicca dal terreno, come fosse un avviso “Guardatemi e ammiratemi”. Sono le genziane che con il loro colore sembrano specchiare il cielo, tanto intenso è il loro colore. Se appena ci si avvicina alla corolla, si ha l’impressione di entrare in un caleidoscopio. In realtà la fioritura di questo fiore avviene a maggio. Ma come in una favola voglio giá immaginare questi fiori sui prati. In particolare mi riferisco alla genziana di Koch (Gentiana acaulis) una pianta perenne che cresce nelle praterie alpine su suolo acido ad altitudini comprese tra gli 800 e i 3000 metri di quota.
I fiori sono praticamente privi di gambo. La corolla a forma di campana è screziata all´interno di verde, come se un ingenuo pittore fosse entrato delicatamente nel calice a punteggiarla con un pennello. Forse un bombo l’autore di tale dipinto. All’interno della corolla si trovano quasi sospese le antere giallo-oro, cinque in numero. Ognuna è sorretta da un filamento blu e tutti i filamenti insieme vanno a formare una sorta di gabbia che protegge l’ovario nascosto nella parte interiore. Esternamente la corolla è abbracciata da un calice che presenta delle estremità acuminate. Si tratta di una specie protetta e come ogni fiore la sua esistenza va preservata.

Di questa specie botanica, nota per la bellezza dei suoi fiori e per le proprietá terapeutiche, esistono centinaia di varietà. Conosciuta fin dall´epoca medievale, la genziana viene usata per preparare liquori e come ingrediente per la composizione di amari, data la notevole efficacia digestiva. Purtroppo è una pianta minacciata dal surriscaldamento globale; infatti i ricercatori hanno riscontrato una ridotta presenza di fiori adattati al freddo, come anche la stella alpina, a favore di piante che invece prediligono climi piú temperati.
Per questo oltre che per la sua bellezza la genziana ha il diritto di essere ammirata, impossibile non notare tanta bellezza, in modo particolare in questo momento storico così crudele, dove il nostro occhio sente il bisogno di intensificare l’osservazione di fiori che suscitino favole di primavera. L’importanza dell´amaro tonico contenuto nell´apparato radicale di un buon numero di specie di genziane era ben nota anche nell´antichità e pare che uno dei primi sostenitori della validità terapeutica di queste piante sia stato un certo Gentius, re dell’Illiria (180-167 A. C) da cui il nome del fiore, e che per primo ne ha descritto le ottima qualità farmaceutiche. Sembra infatti che Gentius sia stato un precursore nell’utilizzare la radice di genziana macerata e poi bollita per guarire da una febbre molto alta.
Nessuno è forte e determinato come la genziana. Cresce in montagna dove di giorno il sole è fortissimo e la notte il freddo è intenso; una vita in costante lotta, ma la pianta continua a vivere, sfidando le avversità.
Un piccolo fiore giallo si accosta con discrezione al blu intenso della genziana, il Ranuncolo comune (Ranunculus acris) della Famiglia Ranuncolacee. Un esempio di spontanea convivenza che si riscontra soprattutto nei fiori. Una combinazione di colori giallo e blu che ricorda oggi i colori della bandiera ucraina; anche la natura con la fioritura primaverile sembra voler dare un suo contributo a sostegno di un popolo in grande sofferenza.

Un rifugio per tutti
Ucraina. Masha, è un orso bruno di 22 anni che ha tutti i diritti di finire un lungo calvario. Ha trascorso gran parte della sua vita sul palco e nelle gabbie di un circo, sottoposta a torture e maltrattamenti. Il suo salvataggio era programmato da tempo, ma lo scoppio della guerra ha costretto a rimandare l´operazione. L’orsa, salvata da un circo ucraino, è stata trasferita al Santuario Libearty, un’area protetta situata ai piedi dei Carpazi in Romania, dopo un estenuante viaggio reso ancora più difficoltoso dalla guerra. L’intervento di salvataggio è stato reso possibile grazie all´Associazione Ukraine-Warriors of Wildlife che si occupa di liberare e salvare animali selvatici maltrattati e abusati in quella regione.

Lionel De Lange, direttore dell’Associazione, aveva salvato Masha nel 2018 ed era in attesa di trovare per l’orsa una sistemazione definitiva. L’operazione di trasferimento è iniziata il 19 marzo a Bucarest: «Ho un furgone carico di provviste, cibo e medicinali da donare al popolo ucraino, non parto a mani vuote – aveva raccontato la sera prima della partenza – Ho intenzione di attraversare il confine e viaggiare il più possibile prima del coprifuoco per avvicinarmi al massimo a Masha e poter essere con lei domenica mattina presto. Dormirò nel furgone in un villaggio per non avere problemi con polizia ed esercito. Domenica mattina incontrerò il veterinario e caricherò Masha sul furgone, sperando di riuscire a tornare in giornata nei pressi del confine, dove dormiremo e aspetteremo il veterinario romeno”.
Poco prima delle 9 di lunedì mattina 21 marzo, il furgone con a bordo Masha ha passato il confine ucraino e ricevuto il via libera dalle autorità rumene per entrare nel Paese. Una decina di ore dopo il viaggio di Masha è terminato con l’arrivo al Santuario. Tempo qualche ora e le immagini di Masha intenta ad esplorare il bosco e a bagnare le zampe in uno stagno, annusando e prendendo dimestichezza con il nuovo ambiente, sono comparse sui social emozionando nella loro semplicità. L’orsa trascorrerà un breve periodo in un’area dedicata a lei sola per ambientarsi, dopodiché verrà gradualmente introdotta negli spazi dedicati agli altri orsi, una volta superata nuovamente la visita da parte di un veterinario: «Non dovrà viaggiare mai più né essere rinchiusa in gabbia: finalmente è a casa». Tutti hanno diritto a un proprio rifugio. Chi in un altro paese, chi nellla bellezza della natura. La favola continua.

Continuando nel bosco
Proseguo la passeggiata nel bosco. I larici, uniche conifere che perdono gli aghi d’inverno, rinnovano la loro chioma sfoderando un verde brillante che risalta tra il verde scuro dei pini. Svettano verso il cielo come fossero la prosecuzione dei nuovi fili d’erba. Tra i rami si intravvedono le cime delle montagne dove la neve si lascia sciogliere dai raggi del sole. In primavera i contrasti si fondono. Il giallo dei denti di leone e quello dei ranuncoli si sposano con ogni tenero filo d´erba. Una piccola baita nel bosco custodisce l’erba raccolta durante l’autunno, essiccata al sole e accuratamente avvolta in teli di plastica. Il bosco è una comunità in cui alberi e arbusti sono connessi e comunicano attraverso le radici. Le piante non hanno i problemi di comunicazione che ha l’uomo. Se gli alberi dovessero scomparire, la temperatura del pianeta salirebbe a un punto tale da rendere la terra un luogo invivibile. Al contrario, se dovesse estinguersi l’uomo, nessuno se ne accorgerebbe. La vita continuerebbe a prosperare.
Ultimamente tutto appare con un ordine innaturale. Me lo rammentano “Le favole al rovescio” di Gianni Rodari dove “Cappuccetto Rosso prende al guinzaglio il lupo, Biancaneve bastona sulla testa i nani della foresta, la Bella Addormentata non si addormenta, in Cenerentola il Principe sposa una brutta sorellastra, la matrigna ne è tutta contenta e la povera Cenerentola rimane zitella costretta a far la guardia alla pentola”. Nel momento in cui tutti gli sforzi sono tesi a risolvere una guerra in atto, proprio coloro che potrebbero trovare le soluzioni al conflitto si insultano da un oceano all´altro. Forse sarebbe meglio star zitti, gli orsi sono senz´altro piú diplomatici.
Ricordo, a proposito, un episodio in Alaska: un orso giovane e inesperto era indaffarato sia pur maldestramente a pescare salmoni. Improvvisamente era sopraggiunto un orso molto più vecchio e di stazza imponente. L’uno ha riconosciuto il territorio e la gerarchia dell’altro e tutto si è risolto con qualche piccola movenza intimidatoria. Nessuna lotta. La natura fa di tutto per preservare le energie e un certo ordine prestabilito. Se nei fiori c’è la pace, anche nel ronzio di un bombo c’è un fascino particolare, che ha il diritto di essere ascoltato.
Continuo a camminare nel bosco. I fiori gialli che costellano il prato sembrano presi d’assalto dai bombi, stretti parenti delle api domestiche. Come l’ape mellifera, i bombi appartengono alla famiglia degli Apidae, di cui costituiscomo il genere Bombus. Come le api domestiche, i bombi sono insetti sociali, sebbene ad uno stadio meno evoluto. Vivono in colonie matriarcali rette da una regina, unica femmina feconda della famiglia, che cova le uova un po’ come fanno gli uccelli. Possiedono anche una specie di borsa dove conservano il nettare che diventerà poi miele.

In passato si pensava che il loro volo, piuttosto rumoroso, fosse dovuto al battere incessante delle ali. In realtà il ronzio tipico di questo insetto è provocato dalla vibrazione dei muscoli adibiti al volo. Cosa possibile grazie al fatto che i muscoli non sono accoppiati alle ali, ma fanno vibrare l’intero addome dell’insetto, una caratteristica, questa, che i bombi condividono con le api e che consente di sviluppare il calore necessario alle funzioni biologiche.
Infatti quando il bombo ha freddo, vibra per riscaldarsi. Questo processo accompagnato dal rumoroso ronzio è particolarmente avvertibile nei bombi che devono riscaldarsi per poter volare, specialmente se le condizioni ambientali risultano particolarmente rigide, come avviene spesso in primavera, riuscendo a raggiungere temperature prossime ai 30 C all’interno del loro torace. Fortunatamente c’è silenzio nei nostri cieli e neanche ci si rende conto della fortuna di vivere in un ambiente in cui i rumori si alternano con disparate frequenze, tra bombi ronzanti, picchi indaffarati a scavare nuove tane sui tronchi e castori che martellano rami e legni per costruirsi con incredibile abilità dighe portentose.
Grazie alla peluria che li protegge dal freddo, il periodo di attività giornaliera dei bombi è molto più prolungato rispetto a quello delle api mellifere. A differenza di queste ultime, infatti, i bombi volano anche col vento e in condizioni di nebbia e intensa pioggerella. Rispetto all’ape si muovono più rapidamente da un fiore all’altro, liberando tuttavia maggiori quantità di polline: mentre le api abbisognano diverse visite sul medesimo fiore per impollinarlo completamente, il bombo compie questa operazione con un solo passaggio.
La pianta può così abbandonare più precocemente i petali, riducendo il rischio di sviluppare muffe che potrebbero intaccare il frutto. Inoltre i bombi hanno un apparato boccale molto estensibile che permette loro di intrufolarsi in profondità al centro di fiori allungati e con corolla stretta, più difficilmente raggiungibili dalle api. E forse è questo il motivo che spiega nella favola di primavera come mai i bombi possano aver dipinto le profondità della genziana. Quello dei bombi non è comunque un mero ronzare tra fiori e piante. Sono insetti che sanno valutare attentamente le singole piante, individuando i fiori con più nettare e polline e lasciando marcature odorose per riconoscere quelli già perlustrati.
La relazione reciprocamente vantaggiosa tra insetti impollinatori e fiori risale a circa 130 milioni di anni fa. Le piante forniscono il cibo agli impollinatori e in cambio questi fecondano i fiori. Ma non c’è beneficio per nessuno di loro se non sono sincronizzati, per cui hanno trovato il modo di comunicare.

Uno studio rivela che i bombi accelerano la fioritura delle piante praticando minuscole incisioni sulle foglie. Secondo le indagini, quando sono a corto di polline, i bombi sono in grado di rosicchiare letteralmente le foglie delle piante per indurre la fioritura: il che potrebbe avvenire introducendo un segnale sia biochimico, sia odoroso da parte delle ghiandole salivari. Ciò inganna le piante portandole a sbocciare a volte anche con un anticipo di 30 giorni rispetto al normale ciclo di fioritura.
La propensione dei bombi a danneggiare le foglie ha una forte correlazione con la quantità di polline che possono ricavarne. Notevoli gli effetti sul tempo di fioritura indotti da quella specie di danno inflitto alle foglie in due diverse specie vegetative: le piante di pomodoro sottoposte ai morsi dei bombi arrivavano a fiorire fino a 30 giorni prima di quelle non attaccate, mentre le piante di senape fiorivano circa 14 giorni prima quando venivano assalite dai bombi. Conoscere il meccanismo dei bombi di anticipare le fioriture potrebbe far riflettere su una modalità completamente nuova per l’uomo di coltivare le piante, una nuova risorsa per l’agricoltura. E non solo.
Comprendere meglio le relazioni tra bombi e fioritura potrebbe avere implicazioni per la resilienza di questi insetti di fronte a un ambiente in continuo mutamento, lasciando intravvedere un potenziale notevole vantaggio per l’agricoltura. Questo è un reale beneficio. Perché non investirvi il 2% del Pil?. Meno bombe, più bombi. Ma questa è una favola al contrario. La vera favola di primavera è quella al momento di godersi quel loro ronzio così rumoroso ma così promettente verso nuove possibilità di sfruttamento, che la natura non manca mai di insegnare all’uomo. Anche di questi tempi.