Il borgo selvaggio

di Bruno Telleschi

Il «natio borgo selvaggio» da cui Giacomo Leopardi vuole fuggire (Le ricordanze 30) diventa in Fabienne Agliardi il «borgo senza voce nascosto da un bosco» in cui vuole ritornare (Fabienne Agliardi, Appetricchio, Roma, Fazi, 2023, p.11). Tra un borgo e l’altro, tra un secolo e l’altro, c’è ovviamente la storia di una catastrofe che ha distrutto il mare e le montagne, c’è dunque la rivalutazione dei borghi che sopravvivono per ricordare ai posteri il dovere della bellezza e la necessità di una rivoluzione ambientale. C’è dunque una analogia tra la siepe di Leopardi per fuggire dalla storia delle disgrazie e il ponte della Agliardi per entrare nel mondo della magia e della felicità. L’ostacolo della siepe, che tanta parte esclude ma solo in parte, non rinchiude lo spettatore nell’alienazione del pensiero, ma impone la moltiplicazione immaginaria della realtà. Seduto sul colle di Recanati Leopardi vede una parte della campagna, non vede tutta la campagna ma immagina quello che non vede simile a quello che vede, come se nel mondo ci fosse solo la campagna con i suoi monti e il suo mare, la campagna dell’infinito, l’infinito della bellezza e del sentimento.

In Appetricchio Fabienne Agliardi celebra la bellezza dei borghi arroccati sulle colline come tanti nell’Italia appenninica alla maniera di Giacomo Leopardi che stabilisce per tutti un modello esemplare di attrazione sentimentale che nasconde la repulsione sociale per il borgo selvaggio: «Mirava il ciel sereno, / le vie dorate e gli orti, / e quinci il mar da lungi, e quindi il monte» (A Silvia 23-5). Seduto sul colle dell’infinito da una parte il poeta in silenzio contempla il mare e dall’altra la montagna (così nell’Infinito 4 «Ma sedendo e mirando» e cosìnelle Ricordanze 10 «tacito, seduto in verde zolla»), il silenzio del mare e della montagna (Le ricordanze 21 «di quel lontano mar, quei monti azzurri»). Alle delusioni della società Leopardi oppone le illusioni della natura, la meraviglia della bellezza che incanta il cuore degli uomini, ove s’intenda che le parole della paura e del naufragio sono figure della contemplazione sentimentale per esprimere lo stupore e la compenetrazione della bellezza e non certo aride riflessioni razionali sui destini della società (L’infinito 7-8 «ove per poco / il cor non si spaura» e 13-5 «Così tra questa / immensità s’annega il pensier mio: / e il naufragar m’è dolce il questo mare»). Alla centralità della ragione Leopardi oppone la centralità dei sentimenti e del paesaggio nel mare infinito della campagna. Al pessimismo storico e alla miseria della società sostituisce l’ottimismo sentimentale e la bellezza della natura infinita e silenziosa, alla vanità del tempo storico subentra l’infinito dello spazio estetico.

E così Petricchio (Appetricchio): «Terra di mezzo tra montagna e mare […] E così a Petricchio, che non aveva piazze e non aveva vie, era tutto un lannànz e un larrète, labbàsh e langòppa, laddìnta e laffòra. Petricchio di pietre, infiltrate di erba da muro e fumaria, che in estate si ammorbidiva di cuscini di ginestre spettinate e s’affollava di cicale che parevano l’allarme di un’auto arrubbata. In alto un cielo stropicciato e là in fondo un tramonto che infiammava l’aria» (Appetricchio p.11). Un borgo disteso sulla collina con le strade «a cerchi concentrici» come un urobòro, «il serpente che si che si mangia la coda», e continui saliscendi (lannànz, larrète, labbàsh, langòppa, laddìnta, laffòra, lanfùnn: là davanti, dietro, in basso, in cima, dentro, fuori, in fondo).

E così Petricchio, «E così s’apriva Petricchio, grigia nelle case, tra il verde del bosco e il chiaro del mare; un centinaio di casupole sparse a cerchi concentrici che si popolavano man mano che arrivavi all’agorà: lo spiazzo, detto lannànz. Era lannànz che si radunavano superstiti all’ecatombe migratoria, i pasionari du pais, e sempre lannànz ci stava pure la Scuola. Solo la Chiesa non stava lannànz. Arroccata su uno sperone roccioso, si raggiungeva tramite una salituccia sgarrupata, la Strettoia; in alternativa potevi arrivarci con ’Oggiro, un circuito che chiano chiano saliva di pendenza e che avvolgeva Petricchio tra boschi e burroni. Le due strade a un certo punto s’intersecavano all’altezza del bosco che portava al ponte, e dal ponte ancora nel bosco, fino allo stradone che portava ammàre. Un circuito che se lo guardavi da un satellite disegnava l’Uroboro, il serpente che si mangia la coda. Il simbolo dell’eterno ritorno. Tra sentieri, salite e discese, c’era un solo posto che li radunava tutti: ’a Fundana. Si ergeva su una montagnola lannànz, alla confluenza di un tratturo. Dalla torretta. il punto più alto a circa due metri da terra, si apriva una visuale strategica sul bosco e sullo stradone: Petricchio da là vedeva tutto, ma non si faceva vedere (Appetricchio pp.21-2)».

Così anche Fabienne Agliardi condivide il fascino dei borghi abbandonati da tanti italiani e poi ripopolati in parte dagli eredi dei migranti, con una differenza narrativa che sorprende il lettore. In Leopardi il colle dell’infinito è ovviamente Recanati, ma il colle di Petricchio non è Petricchio: «Petricchio era come Narnia, un posto immaginifico escluso dalle mappe e fuori dalle rotte, diviso dal resto del mondo da un ponte malfermo e da un bosco di serpi» (Appetricchio p.11). Così anche Rosa Lacorcia (Arrosa), nata in Basilicata ma residente a Brescia, ritorna in ogni estate a Petricchio (Appetricchio) nel suo borgo natale, dove per vent’anni crescono i due figli gemelli. Dov’è Petricchio? Sebbene escluso dalle mappe, la rotta è oggetto di accurate descrizioni in autostrada (addirittura Firenzuola Cantagallo e Fiano Romano) da Brescia fino a Sala Consilina dove ci sarebbero cinquanta chilometri per Petricchio. In realtà a cinquanta chilometri da Sala Consilina non ci sono paesi che corrispondono alla collocazione di Petricchio, «Terra di mezzo tra montagna e mare». Né d’altra parte il grappolo di Petricchio che appare in copertina non corrisponde ai cerchi del borgo che si leggono nel racconto, «un centinaio di casupole sparse a cerchi concentrici» come un urobòro. Si comprende però che Fabienne Agliardi abbia voluto compendiare tutti i borghi della Basilicata in Petricchio, simile al grappolo di Rivello, ma simile anche ai cerchi di Morano Calabro, perché Sala Consilina è il ponte che introduce nel mondo della bellezza e i cerchi di Petricchio diventano i cerchi della fantasia e del sentimento.

Il grappolo di Rivello
I cerchi di Morano Calabro
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