di Antonio Mingozzi
Premessa: da qualche giorno è nelle librerie Sacre vette, i simboli sulle cime. Con le croci sui Tremila delle Dolomiti di Ines Millesimi e Mauro Varotto, pubblicato da Cierre Edizioni, un volume che analizzando il tema del “sacro” sui monti contribuisce a sua volta ad arricchire le riflessioni possibili intorno al progetto della “Montagna Sacra” e, più in generale, alla dimensione di sacralità delle vette nelle sue più plausibili e variegate interpretazioni.
In effetti le croci di vetta e le immagini sacre in montagna (Madonne, Cristi, edicole votive), soprattutto in alta quota, sono da anni oggetto di accesa discussione. Molti affermano che fanno parte della nostra tradizione, altri dicono che dovrebbero essere tolte o limitate per salvaguardare la purezza del contesto, altri ancora lo considerano un segno di orientamento irrinunciabile per chi arriva in cima. Il libro di Millesimi e Varotto mette a confronto punti di vista e significati storici, geografici, antropologici, religiosi, giuridici delle croci e dei segni del sacro sulle vette. La croce diventa così, più che elemento divisivo, punto d’incontro e ponte tra dimensione umana, ambientale e spirituale nel senso più ampio del termine. Una descrizione multi e transdisciplinare fatta di voci autorevoli, che invitano alla riflessione e al dialogo, oltre il mito e la rivendicazione identitaria. Ai testi si aggiunge un inserto fotografico con le immagini delle croci di vetta delle Dolomiti: una prima mappatura e documentazione completa di questi manufatti oggi presenti su 34 delle 86 cime dolomitiche oltre i tremila metri di quota.
Per saperne di più sul libro potete visitare la pagina ad esso dedicata nel sito di Cierre Edizioni, qui.
Tra i prestigiosi contributi ospitati dal libro vi sono quelli di Toni Farina e Antonio Mingozzi, membri del gruppo di lavoro che promuove la “Montagna Sacra” – identificata nel Monveso di Forzo, tra Valle Soana e Valle di Cogne all’interno del Parco Nazionale del Gran Paradiso – ai quali peraltro si deve l’idea originaria che si è poi sviluppata e strutturata nel progetto in corso.
Su gentile concessione dell’autore si propone di seguito il testo di Antonio Mingozzi, mentre nei prossimi giorni sarà il turno del contributo di Toni Farina: sono entrambi testimonianze di grande valore e importanza al fine di comprendere in maniera compiuta il progetto della “Montagna Sacra” e di recepirne il fondamentale messaggio di fondo, che anche nel volume di Millesimi e Varotto trova un’ampia e significativa eco.
Buona lettura.
Riflessioni per una “Montagna Sacra” nel Parco Nazionale del Gran Paradiso
Tutelare la biodiversità. Adottare un uso ecologicamente congruo delle risorse. Fermare la deforestazione, contrastare il riscaldamento climatico. Sono problematiche divenute correnti del nostro quotidiano, a seguito dei dati allarmanti sulla salute del nostro Pianeta, documentati dal mondo scientifico.
Sono questioni la cui drammaticità degli effetti stiamo già toccando con mano, ma sono anche questioni la cui soluzione rimane di molto difficile attuazione, tanta è la complessità dei problemi da affrontare, in primo luogo legati ai modelli di sviluppo economico, di consumi e mobilità, cui siamo abituati (denunciati come insostenibili già nel 1972 dal Club di Roma con “The limits to Growth”), ma che paiono irrinunciabili.
Molto dipende da scelte politiche, di scala locale e globale, non c’è dubbio. Ma nessun concreto risultato sarà mai raggiunto senza l’affermarsi di una consapevolezza individuale e sociale sulla necessità di cambiamenti forti nei nostri stili di vita, come del nostro essere e stare con gli altri esseri viventi su questa Terra. Senza l’affermarsi, cioè, di quella conversione ecologica “socialmente desiderabile” di cui parlava Alexander Langer trent’anni or sono (Colloqui di Dobbiaco, 1994: 204-216).
Negli anni giovanili della scoperta naturalistica delle mie valli alpine ho spesso “sognato” cime montuose senza presenza umana. Molto più recentemente, alla mia nomina alla direzione del Parco Nazionale Gran Paradiso, ho proposto quel sogno come progetto da realizzare in occasione del centenario dell’Ente (2022), nella convinzione che i Parchi dovessero essere anche luoghi in cui esprimere e applicare idee innovative in tema di conservazione e fruizione della natura (all’anticipata uscita dalla direzione del PNGP, la proposta è stata poi formalizzata da un gruppo promotore).
Un’idea semplice, priva di costi e di divieti: consacrare una vetta del Parco Nazionale Gran Paradiso alla natura. Nel caso, il Monveso di Forzo, come spiega Toni Farina, co-ideatore del progetto, nel suo intervento. Una vetta da cui escludere, per libera condivisione, senza nessuna imposizione, ogni frequentazione e presenza antropica, come richiamo alla necessità di limitare l’invasività umana e l’idea di conquista, come luogo da lasciare esclusivamente agli “altri”, simbolo affettivo ed emotivo della Natura tutta per il suo valore intrinseco, non in funzione umana. Un messaggio di responsabilità, nuovo e dirompente, comparabile a quello che, cent’anni orsono, ha significato l’istituzione dell’Ente. Un’idea progettuale di valore soprattutto simbolico e culturale, più che direttamente finalizzata alla conservazione, come nel caso delle riserve integrali.
Una Montagna Sacra, cioè inviolabile, da escludere. Ecco il significato dell’aggettivazione, di valore innanzi tutto laico: “sacra”, infatti, è comunemente definita la proprietà privata in quanto inviolabile, senza nessuna assonanza religiosa (la somiglianza formale tra le due nozioni di sacro e di proprietà privata risale a tempi antichi della storia umana, come ci ricordano D. Graeber & D. Wengrow: The dawn of everything. A new history of humanity. Penguin Books, 2021). Com’è ben noto, montagne sacre esistono, in senso religioso, in altre culture (esempi famosi sono il Machapuchare, 6.993 m, in Nepal e il Kailash, 6.638 m, in Cina, preclusi ad ogni accesso umano), ma non in quella occidentale.
Due concetti, legati dalla nozione di limite, sono quindi centrali nell’idea. Il primo è quello dell’invasività umana che pervade ogni angolo del Pianeta e della necessità di lasciare spazio alla “alterità” (gli altri esseri viventi). Il secondo è quello di conquista, insito nella natura umana, per far laicamente prevalere, per una volta, in un luogo almeno, l’idea dell’astensione, capovolgendo modelli culturali (da no-limits a off-limits).
– Invasività. L’Uomo è di gran lunga la prima e più importante specie invasiva. Da quando è uscito dall’Africa, H. sapiens ha poco per volta raggiunto e colonizzato – unica specie vivente – ogni angolo del mondo, Antartide esclusa. La sua espansione si è accompagnata alla scomparsa degli “altri”: le tre-quattro specie cugine del genere Homo prima esistenti – siamo così rimasti “soli” – e poi migliaia di altre specie (quante scomparse prima di essere descritte?), in percentuali elevatissime tra quelle di grandi dimensioni e insulari.
Ora siamo quasi 8 miliardi e il numero crescerà ancora, sin oltre i 10 miliardi. Quale spazio avranno gli “altri” in un mondo sempre più sovrappopolato e antropizzato? Forse lo spazio di un’Arca di Noé? No, non basta. Limitate ad aree ristrette (popolazioni numericamente piccole), le specie inevitabilmente si estinguono e non tutte si adattano a vivere in ambienti antropizzati.
Indipendente da ogni diretto tornaconto umano, è nostra etica responsabilità consegnare alle future generazioni la ricchezza biologica che abbiamo conosciuto, già notevolmente impoverita rispetto al passato, ma che pur ci sembra ancora straordinaria (la chiamano “amnesia ecologica generazionale”). Per farlo, si dovrà pensare di lasciare spazio alla “alterità” (ciò che non è noi), decidendo di escludere la nostra presenza da date aree del Pianeta, da (con)sacrare agli altri. E’ l’idea recentemente espressa anche da Edward O. Wilson – il Darwin del XXI secolo – con il suo libro “Metà della Terra”.
– Conquista. L’idea della conquista (la “mad ambition”), la stessa che ci ha condotto in ogni angolo della Terra, sulla Luna e, tra qualche anno anche su Marte, è profondamente insita nella natura umana, tanto da averne forse una base genetica.
L’idea della conquista è, soprattutto, fortemente radicata nella cultura alpinistica, ne è, in qualche modo, l’anima stessa. La natura alpina, da oggetto di ammirazione estetica dei romantici, è divenuta con l’alpinismo (e anche con la scienza) luogo di conquista e di sottomissione, a scopo militare, sportivo e ora soprattutto turistico.
Un’anima che si è, peraltro, fortemente trasformata negli ultimi anni, con la prevalenza dell’esibizione sociale sulla semplice soddisfazione privata. E’ il momento del protagonismo, delle performance sportive autocelebrative, spesso praticate da persone indifferenti al rispetto e alla conoscenza dei luoghi, nonché al relativo impatto della propria presenza. Una natura fruita dai più come spazio, come palestra delle proprie attività, luogo d’azione e di soddisfacimento personale e non come ambiente, magari fragile ed esclusivo, di vita di altri esseri. Terreni prediletti per mettere in scena il superamento di ogni limite, quello della verticalità, della fatica, delle prestazioni, della velocità e, aggiungiamo, dell’affollamento e del deterioramento degli habitat naturali.
Montagna Sacra propone una nuova forma di fruizione della Natura, totalmente diversa dalle attuali. Pone l’enfasi sull’osservazione e non sulla conquista, sul momento di conoscenza e di contemplazione più che sulla competizione sportiva. Montagna Sacra aspira a generare riflessioni sul nostro rapporto con la natura e promuovere una diversa cultura della fruizione della montagna e, più in generale, degli ambienti naturali. Conquiste non più fisiche, ma spirituali. Cime ed altri luoghi della nostra Terra, da lasciare “inviolati” alle aspirazioni di “possesso” o dominio, ma fonti di ispirazione, contemplazione e riflessioni interiori.
“Il coraggio della rinuncia, il silenzio della contemplazione” nelle parole di Paolo Rumiz (La Repubblica, 18.11.2022).
Riferimenti bibliografici
Club of Rome et al., The Limits to Growth. Potomac Associates, Universe Books, 1972. Si tratta dell’opera che – in grande anticipo sui tempi, ma ampiamente disattesa – ha denunciato per la prima volta, su base di dati e simulazioni al computer, le conseguenze che il superamento delle “capacità di carico” della Terra, dovute alla continua crescita della popolazione umana, allo sfruttamento incontrollato delle risorse e all’inquinamento, avrebbero avuto, nel giro massimo di un secolo, sulla sopravvivenza stessa del genere umano.
Langer Alexander, Il viaggiatore leggero. Scritti 1961-1995. Sellerio Ed., Palermo, 2019. Una raccolta importante di scritti di uno dei fondatori del partito dei Verdi italiani e uno dei leader del movimento verde europeo (Parlamentare europeo dal 1989 al 1995), sino alla sua tragica e precoce scomparsa. A. Langer, è stato promotore di numerosissime iniziative per la pace, per la convivenza inter-etnica, i diritti umani, contro la manipolazione genetica e per la difesa dell’ambiente.
Graeber David & Wengrow David, The dawn of everything. A new history of humanity. Penguin Books, UK, 2021 (ed. italiana: L’alba di tutto. Una nuova storia dell’Umanità, Rizzoli, Milano 2023). I due autori, antropologo il primo e archeologo il secondo, propongono in questo testo “rivoluzionario”, di ricchissima documentazione (basata anche su fonti provenienti da culture diverse da quella occidentale), una nuova visione sulla storia dell’umanità e sulla sua evoluzione sociale.
Chelazzi Guido, L’impronta originale. Piccola Biblioteca Einaudi Ed., Torino, 2013. Uno dei testi più ricchi e documentati di autori italiani sull’impatto dell’Uomo sugli ecosistemi terrestri. G. Chelazzi, professore di Ecologia all’Università di Firenze, ripercorre le tappe dell’evoluzione biologica e dello sviluppo culturale di Homo sapiens, dalla sua origine sino alla svolta della Rivoluzione industriale. Come in un immaginario processo alla nostra specie, di cui si discutono le responsabilità, l’opera evidenzia il continuum tra l’emergenza ambientale attuale e la nostra storia più antica.
https://greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/lamnesia-generazionale-che-non-fa-vedere-ai-giovani-il-declino-delle-specie-animali/. Sulla pagina di “Greenreport.it” a cui rimanda il link, è spiegato un fenomeno, ben noto agli ecologi e anche ai sociologi, per il quale – in assenza di conoscenze sul quadro ambientale pregresso – la percezione del declino della biodiversità (numero di specie e loro abbondanze) passi inavvertita di generazione in generazione. Il declassamento della “normalità” conduce a una sottostima dei rischi dei cambiamenti in atto e ad aspettative diverse rispetto a ciò che è naturale e che vale la pena proteggere.
Wilson Edward Osborne, Metà della Terra. Salvare il futuro della vita. La Biblioteca di Repubblica – L’Espresso, Roma, 2017. Si tratta di una delle opere più recenti di uno biologi americani più influenti dell’ultimo secolo, recentemente scomparso (2021), cui si deve, tra le tante idee scientifiche, la diffusione del concetto di biodiversità. Nel libro, che ha suscitato ampi dibattiti, Wilson evidenzia – dati alla mano – che la salvezza dei milioni di specie ancora viventi e, in ultima analisi, dalla salvezza della nostra stessa specie, richiede la tutela di metà della superficie terrestre, dove lo sfruttamento antropico è escluso.
Rumiz Paolo, E la montagna tornò sacra. La Repubblica, Cultura, Venerdì 18 novembre 2022, p. 38. Il noto giornalista, scrittore e viaggiatore italiano, illustra su una pagina di “La Repubblica” il progetto Montagna Sacra, con profonde riflessioni, dal personale allo storico, condividendone ampiamente l’idea.
Antonio Mingozzi