Dalla Ciamarella al Gran Paradiso

di Beppe Leyduan
(pubblicato su camoscibianchi.wordpress.com il 7 dicembre 2023)


“Luglio 1886

Lasciai Torino il 14 luglio e per Lanzo, Ceres ed Ala mi portai a Balme, dove trovai Antonio Castagneri di cui, per tralasciare gli elogi, dirò solo che è una delle guide che sanno meglio infondere fiducia negli alpinisti. Con noi venne anche, in qualità di portatore, il di lui fratello Giuseppe, che pur promette di diventare una buona guida.
Attraversammo il Piano della Mussa, che per nostra disdetta era invaso dalle nebbie. Poco dopo sorse una forte bufera seguita da una molesta acqueruggiola, la quale volle accompagnarci fino al Rifugio Gastaldi al Crot del Ciaussinè 2630 m. Il 15, giorno da me fissato per salire la Ciamarella, fu da noi passato invece nel rifugio, causa il perdurare della bufera che avrebbe, se non impedita l’ascensione, per lo meno resa problematica la sua riuscita.
Solo il giorno 16 si poté intraprendere l’ascensione della Ciamarella 3676 m, sulla cui vetta fu da noi trovato un abbondante strato di neve.

Una fitta nebbia fu il non desiderato guiderdone alle nostre lunghe fatiche e ci fu di noia nella discesa che si effettuò sul sottostante ghiacciaio di Sea. Da quest’ultimo, non dirò in breve tempo, si giunse sul far della notte a Forno Alpi Graie.
L’indomani 17 per il Colle della Piccola ci recammo a Ceresole Reale. Il versante di detto colle verso la Valle dell’Orco presenta uno spettacolo pittoresco ed imponente ad un tempo. Ceresole Reale ci trattenne tutto il 18.
Il 19 fu da noi impiegato ad attraversare il Colle del Nivolet e ad arrivare per Pont-Valsavaranche al Rifugio Vittorio Emanuele II 2600 m.
Il mattino del 20 alle 3 1/2 ant. lasciammo il rifugio e raggiungemmo la vetta del Gran Paradiso 4061 m alle 9. L’immenso panorama, che godemmo di lassù mercé la rara limpidità dell’atmosfera, ci compensò ad usura delle nebbie della Ciamarella.
Scendemmo sul ghiacciaio di Moncorvé e, per il Colle del Gran Paradiso e il Vallone di Noaschetta, s’arrivò a tarda ora a Noasca
(Conte Umberto Scarampi di Villanova, Rivista Mensile del CAI n. 8 del 1886)”.

Coloro che si sono interessati – ed affascinati, immagino – delle imprese alpinistiche della grande guida balmese Antonio Castagneri (Toni dei Tuni), sicuramente avranno avuto modo di vederlo ritratto in foto. Così come sarà successo anche con l’altra grande guida di Valtournenche, Jean-Joseph Maquignaz che fu ingaggiata, con Toni dei Tuni, proprio dal Conte Umberto Scarampi di Villanova per compiere un’impresa eccezionale nel Monte Bianco. Ma lì purtroppo scomparvero il 18 agosto 1890, durante una terribile tormenta.

Mi sono sempre chiesto qual era il volto del Conte e per puro caso sono riuscito finalmente a rintracciare una sua foto, qui riprodotta.

Su Antonio Castagneri è stato scritto tanto e probabilmente non c’è più nulla da indagare. Forse solo il poderoso ritiro dei ghiacciai della nostra epoca potrà restituirci qualche oggetto della cordata che sparì nel Monte Bianco. La piccozza di Castagneri? il libretto delle guide di Maquignaz? Se mai capiterà, probabilmente verrà risolto il mistero su dove effettivamente era diretta la comitiva, perché si pensa che l’impresa cercata da questa cordata non fosse la ripetizione in salita della “Via del Papa”, aperta da Achille Ratti e compagni in discesa dal Monte Bianco, sul versante di Bionnassay, bensì qualcosa di più ardito sul versante del Brouillard: Umberto Scarampi, prima di sposarsi, e appendere così definitivamente la piccozza al chiodo, probabilmente voleva lasciare la sua firma su di una prestigiosa prima ascensione.
Dalle mie modeste ricerche effettuate sulla Teca Digitale del CAI, il Conte Umberto Scarampi di Villanova da tempo si stava cimentando con ascensioni di primissimo livello per l’epoca: nel luglio del 1884 tenta il Cervino con Jean-Antoine Carrel – guida leggendaria, anch’essa scomparsa nel 1890 – impiegando 17 ore e mezza (invece delle solite 10 ore) per guadagnare la capanna-rifugio alla Cravate, essendo caduta abbondante neve: era la prima ascensione della stagione. Trovano il ricovero ricolmo di neve. Liberato il pavimento, riescono a pernottare riparati da coperte di montone somministrate dal Cai. La mattina seguente dovettero rinunciare al Cervino per l’imperversare della bufera.

Ma un personaggio così ambizioso, intrepido e coraggioso, poteva darsi per vinto?

“Luglio 1885, al M. Cervino 4482 m
Con la dovuta deferenza alle prescrizioni di brevità inculcate con la parola e con l’esempio nella Rivista do una succinta relazione della ascensione al M. Cervino da me compiuta con le guide Carrel Giovanni Antonio e figlio Stanislao e Pession Casimiro, che fungeva da portatore, il 29 luglio u. s.
Partiti dall’Albergo del Monte Cervino al Breuil a ore 0,30 antimeridiane arrivammo sulla vetta dopo quindici ore, alle 3 e 1/2 pom.

Non osservai di meritevole di menzione in questa salita se non la mancanza della corda alla Cheminée e la nuova e bella capanna sotto la Grande Tour, molto bene collocata e quasi compiuta.
Nei pressi della Grande Tour un notevole franamento della montagna rende disagevole in quel punto l’ascensione.
Lasciata la vetta alle 4 e 1/4, si seguì la cresta del Cervino per discendere dal versante di Zermatt. Cause di poca importanza ci obbligarono a passare la notte sotto un macigno fra la cima e la seconda capanna svizzera: freddo e disagio quanto ne volemmo e più.
L’indomani (30 luglio) alle 5 ant. incominciammo la discesa sul ghiacciaio di Furggen, ma, invece di andare a Zermatt, pel colle della Forka o di Furggen si tornò al Breuil giungendovi alle 5 1/4 pom.
Il tempo si mantenne sempre abbastanza bello.
Non ho che a lodarmi della bravura e della cortesia delle guide. Dal Castello di Valperga, 4 agosto 1865
(Conte Umberto Scarampi si Villanova, Rivista Mensile del CAI n. 8 del 1885).

Ho pensato di riportare in apertura il resoconto di quella meravigliosa cavalcata alpina tra vette e valli magnifiche (Val d’Ala, Val Grande e Valle Orco) perché mi ha entusiasmato ed affascinato moltissimo.
Nelle relazioni degli alpinisti dell’epoca, generalmente clienti aristocratici di guide alpine, divenute poi leggendarie (ed è corretto dare ai clienti il giusto riguardo avendo, di fatto, contribuito alla nascita di stelle dell’alpinismo), emergono veri e propri viaggi alpini, cavalcate epiche che si misurano in ore e ore di ascensioni e traversate, al limite della sopportazione fisica. E’ un mondo che non esiste più, travolto dalla velocità e dalla tecnologia dei nostri tempi ed appiattito dalle innumerevoli comodità e comfort zone, disseminate lungo il tragitto ideale “sogno-meta”. Basti pensare al solo fatto che non c’erano bollettini meteo (figuriamoci, poi, gli svariati gadget tecnologici) ed infatti spesso il confronto non avveniva esclusivamente sul campo delle difficoltà alpinistiche (in senso tecnico) ma anche e soprattutto su quello del tempo meteorologico, con il relativo corredo di bufere, freddo, vento e intemperie varie, pernottando all’addiaccio: oggi nessuno sarebbe in grado di accettare di metterle in conto, per salire e scendere dal Cervino.
E’ tutto enormemente cambiato. Ma non solo i personaggi e l’ambiente tecnologico: la montagna ancora ricoperta da metri di neve nei mesi estivi ormai non esiste più.
Eppure questi personaggi sanno ancora affascinarmi e catturarmi molto di più di tanti alpinisti di oggi, più o meno famosi, centrifugati delle asettiche logiche commerciali (grande impresa, grande velocità, grande marketing, grandi soldi, grande fama e così via, come la corsa infinita di un criceto nella sua ruota).
Alpinisti come Umberto Scarampi, con le loro guide, seppero vivere la montagna con una lealtà ed un coraggio per noi inimmaginabili. In quegli anni stavano sorgendo i primi ricoveri (il 15 di giugno 1886 il ricovero al Crot del Ciaussinè venne rinominato “Rifugio Gastaldi”, in seguito addirittura “Rifugio-Albergo”) e l’alpinismo divenne via via più allettante e popolare, sebbene Umberto Scarampi fece ancora l’ascensione al Cervino in giornata.

Per chi conosce le vallate “Dalla Ciamarella al Gran Paradiso”, con il loro corredo di vette magnifiche, può facilmente immaginare l’impegno, la fatica e la volontà indefessa, unita ad un amore sconfinato per la montagna, che sono richiesti per vivere esperienze così totalizzanti.
Era il 1886 e i nostri intrepidi personaggi avevano già tutte le carte in regola per tentare ascensioni inedite e difficilissime, come quel sogno svanito nella tremenda bufera del Monte Bianco.

Antonio Castagneri

Quando mi addentro nelle storie e nelle vicende di questi alpinisti, provo un’intensa commozione. La bellezza e l’eleganza delle loro gesta è indescrivibile così come lo è lo strazio per la loro prematura perdita: la montagna genera vuoti abissali.
Tra quell’immensa bellezza ed eleganza e quello strazio, quel vuoto abissale, come due stati d’animo situati in poli opposti, ci sono loro, le montagne, quasi come se fossero agenti normalizzanti di quegli stati d’animo.
Capita, a volte, di salire sempre più in alto e, forse, poi di sentirsi sempre più forti e onnipotenti. Ma la montagna sa resettare tutto, riposizionando noi poveri esseri mortali nel giusto spazio umano di umiltà.
Questo vale sia per chi le frequenta e sia per chi ne osserva le gesta. E’ difficile accettarlo, ma è solo così che si può vivere lealmente la montagna: sapendo che lei neutralizza quegli stati d’animo facendo ricondurre la nostra infinita passione ad un semplice, umile e difettoso sentimento umano.
Forse sta qui la corretta chiave di lettura delle tragedie in montagna, anche quelle che coinvolgono persone molto esperte ed abilissime: torniamo, nel bene e nel male, ad essere animali difettosi, la nostra più vera e genuina natura.
Tutto ciò che cerca di farcelo dimenticare, o addirittura di sovvertirlo, è solo un’offesa alla Montagna.
E soprattutto all’Uomo.

Antonio Castagneri, Umberto Scarampi e Jean-Joseph Maquignaz adesso possiamo finalmente ricordarli così, tutti insieme, accomunati da una passione sconfinata, alimentata giorno per giorno da grandi sogni, ma legati da un tragico destino.

Jean-Joseph Maquignaz

L’origine della foto di Umberto Scarampi

Nel 2021 il Centro Studi Piemontesi, con il sostegno di Regione Piemonte e Compagnia di San Paolo, ha dato corso a un primo progetto di digitalizzazione del proprio patrimonio documentario, finalizzato alla valorizzazione dei contenuti storico-culturali in esso conservati. In particolare, prendendo le mosse dal complessivo intervento di schedatura, riordino e inventariazione dell’Archivio Istituzionale dell’Associazione e dei dieci Fondi personali e famigliari custoditi presso la Ca dë Studi – attualmente pari a 6.806 unità archivistiche, con documenti datati dal 1579 al 2021, per un’estensione complessiva di 77 metri lineari – si è scelto di prendere in considerazione le cospicue e diverse raccolte fotografiche in essi presenti (pari a 5.257 stampe fotografiche), in quanto testimonianza diretta e suggestiva della storia e della vita della società piemontese, italiana ed europea dalla metà dell’Ottocento al secondo Novecento. In prevalenza si tratta di immagini legate ad accadimenti politici, militari e civili, con riferimenti al mondo del teatro, del cinema e della cultura in genere, realizzate da fotografi del calibro di Michele Schemboche, Henri Le Lieure, Luigi Montabone, Mario Gabinio e Silvio Ottolenghi, solo per citarne alcuni […].

[…] Al secondo Ottocento, invece, rimandano le 240 fotografie conservate nel Fondo proveniente dal Castello di Valperga Canavese, con immagini di pregevole qualità raccolte dai conti Scarampi di Villanova, famiglia aristocratica piemontese con stretti legami con la corte sabauda. […]
[…] Le fotografie provenienti dal Castello di Valperga Canavese ci riportano agli anni dal 1860 al 1947, con numerose immagini del periodo fra l’Unità d’Italia e il primo decennio del Novecento. Dalle dediche vergate a mano in calce o sul verso di diversi scatti si scoprono le identità di alcuni dei soggetti immortalati; tra questi ricorrono con maggior frequenza i membri della famiglia Scarampi di Villanova (residenti nel Castello di Valperga nel secondo Ottocento), di cui si colgono i frequenti rapporti con i cugini De Seigneux e la vicinanza ad alcuni esponenti di Casa Savoia, come la principessa Maria Letizia Napoleone, duchessa d’Aosta, i sovrani Umberto I e Vittorio Emanuele III, le regine Margherita ed Elena, il duca d’Aosta Emanuele Filiberto e il principe Tomaso di Savoia-Genova. Emerge così la cronaca illustrata di una famiglia, un corredo portatile di immagini che ne dimostrano la compattezza, i precipui legami di affetto tra i suoi componenti e le frequentazioni nella cerchia di amici più cari, nonché il desiderio di esorcizzare la morte tramite il ricordo dei defunti, come nel caso del ritratto fotografico del conte Umberto Scarampi, morto il 18 agosto 1890 durante un’ascesa verso la vetta del Monte Bianco. […]

Il catalogo ridotto de Il tempo in posa lo potete consultare qui (file in pdf di 8.954 kb).

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1 Comments

  1. says: Fabio Bertoncelli

    La lettura delle antiche cronache di ascensioni mi interessa sempre.

    Chissà perché.

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