Il distanziamento sociale dell’autosicura

(Via Zucchi al Pilone Centrale della Grignetta)
di Smaranda Chifu
(pubblicato su smarandachifu.com il 20 giugno 2020)

Potrei dirvi che l’ho fatto perché mi sta antipatica la gente. E in effetti sì, l’ho fatto per quello. Ma non è socialmente accettabile dirlo quindi l’ho fatto perché mi son svegliata storta, dopo un paio di giorni storti, in cui dajeeridaje non sono riuscita ad organizzare nulla che mi dicesse qualcosa, mi hanno paccato tutti e il venerdì sera la voglia di andare in falesia il giorno dopo era sul podio seconda sola al taglio delle vene. Il sole però c’è tutto, alla fine andare a cuocere camminando non mi va, andare a fare una vietta fine a se stessa giusto per fare una via nemmeno, un’idea in testa inizio ad avercela ma decido di decidere dopo. “Dopo” esattamente significa puntare la sveglia, alzarsi mezz’ora prima ripensando alle manovre e, col cuore grande come una nocciolina e il coraggio di un cucciolo di foca (e menziono la foca perché anche la mia grazia e agilità ci somigliano), decidere di andare a sperimentare la mia prima via in autosicura.

Spengo il cervello, preparo lo zaino eliminando dalla testa qualsiasi pensiero, premo il pulsante “pilota automatico”, se mi soffermo ora a pensarci non esco più di casa.

Prendo la macchina e accendo la musica, è davvero presto ma non riuscivo più a dormire! Mentre guido faccio la stessa cosa che facevo prima degli esami in università o che avevo fatto prima della mia primissima via in assoluto: combatto la voglia di ripassare mentalmente, in università la materia d’esame, in montagna con le “prime volte”, le manovre.

La mia esperienza con l’autosicura si limita a due tiri in falesia, però la cosa mi interessa davvero ed è da un po’ che ci penso su. Va bene cervello, famo così: fino ai tornanti dei Resinelli solo musica tamarra e pensieri inutili, poi durante i tornanti via libera al ripassone mentale da ansia pre-esame! Mi immagino proprio la mia compagna di banco del liceo prima delle verifiche “ti posso ripetere cosa si fa quando si arriva in sosta?”. Io e la mia coscienza abbiamo un rapporto deleterio, non so voi con la vostra. Al quinto tornante ci arrivo con le ovaie già piene dal ripensarci su, dai diamine, morirò ma anche oggi non sarà oggi. Non scherziamo, ho appena adottato un cucciolo di gatto, voglio tornare a casa a sentirmi ipocrita nel dipingermi come un cuore di pietra mentre faccio le moine a 900 grammi di felino ricoperto di tenera peluria.

Via del Pilone Centrale della Grignetta (Corrado Zucchi-Armando Canova, 20 ottobre 1963)

Lascio inserito il pilota automatico fino alla fine del canale Angelina, quando arrivo all’attacco della Zucchi capisco di aver scelto il pilastro più inculato della Grigna per punirmi, per autolesionismo: così l’essermi portata ferraglia e 80 metri di corda intera su per la Direttissima e per tutto l’Angelina mi faranno sicuramente desistere dal rinunciare alla via! Tutto questo avvicinamento invano no, non me lo merito per essere il primo sabato di sole utile del 2020.

Certo che quando arrivo e tiro fuori il materiale e capisco di aver lasciato a casa i friend, tutti proprio, un po’ rimango di stucco: forse un po’ troppo pilota automatico! Ma come è potuto succedere? Davvero non me ne capacito. Per un attimo lo vedo come un segno del destino “ecco, sei una demente, infilati la coda tra le gambe e torna a casa bimba“. Ma la via l’ho già fatta, è una vietta di IV+, sui resinati, conosco l’ambiente, sì, sarà pur sempre una via ma mi prendo a sberle all’attacco così intanto mi scaldo un po’ che del sole ancora manco traccia e poi mi ripiglio mentalmente: iniziamo a salire, penso di poter fare a meno dei friend per oggi.

Poi ve lo devo dire, io ho questa cosa qua: ho l’ansia quando mi guardano. Ma da sempre e su tutto: vi ricordate quando a scuola i prof si mettevano di fianco durante le verifiche? Non avevo mai nulla da nascondere (sempre stata pessima a copiare), ma diventavo di pietra: prof, che guarda? Cosa sto sbagliando? Oddio che schifo sto facendo? Non mi ricordo più nulla se mi guarda! 

Ecco, traslato nella mia vita arrampicatoria, a me devono incitare solo pochi,  possibilmente solo quello che mi fa sicura, comunque mai con troppa enfasi, se mi sento gli occhi puntati addosso capace che cado sul sentiero d’avvicinamento. Se mi viene fatta pressione mi chiudo a riccio e son capace di non scalare proprio, soprattutto in presenza di persone troppo brave. Insomma, ho l’autostima che sta su de doss che non ve lo racconto nemmeno, và.

Se sto preparando l’ambaradan per la mia prima autosicura l’ultimo ma proprio l’ultimo dei miei desideri è che ci sia un’altra cordata con me sulla via e ovviamente questo desiderio viene infranto.

“Ciao” mi sento dire “Ciao, fate anche voi la Zucchi?” (dai fate lo Spigolo Est, che la fate a fare la Zucchi che è facile, ma le vie di quarto non vanno più di moda!) “Sì, tu?” (etteppareva) “Eh dai ci facciamo compagnia” rispondo.

Lo zaino in sosta

Mi guardano perplessi. Sono tentata di sembrare completamente fuori di testa dicendo “Vi presento Rio il mio amico immaginaRio, i tiri duri li fa tutti lui oggi!”.  Invece spacco il ghiaccio a craniate “sì, sono da sola, oggi giornata di esperimenti”, così sembro solo moderatamente pazza. La cordata parte e io li seguo convinta di metterci un bivacco a tiro, tanto danno bel tempo fino a fine settimana prossima, ce la possiamo fare, io e Rio un tiro al giorno, di campo base in campo base sul nostro Pilone Centrale come se fossimo sul Bianco. In realtà al primo tiro sono molto tesa: la roccia è gelida e mi accorgo che sto un bel po’ tremando. Eh ma è il freddo. Sì, dicono tutti così. Ma quale freddo, controllo il grigri 36 volte prima di partire, dai, proviamoci.

Però dopo i primi metri il grigri funziona, anche se devo prenderci mano in autosicura ed essere più delicata nel darmi corda, onde evitare di bloccarlo tutte le volte, per fortuna il primo tiro è davvero facile e mi serve più per capire le manovre, l’arrampicata in sé è del tutto secondaria. Arrivo in sosta e ci sto un po’. Faccio la sosta, fisso la corda e rifletto sugli anni passati, sui miei peccati e su quanti ancora ne voglio vivere e quanto quindi mi convenga metterlo bene ‘sto grigri, che sembra una cavolata, ma se nessuno ti controlla, se non l’hai mai fatto prima, per quanto a prova di scimmia ammaestrata e per quanto un grigri l’abbia usato mille volte in vita mia, ci penso su un po’ di minuti. Inizio a calarmi e stranamente anche oggi sembrerebbe che non sia il giorno in cui schiatto.

Da sola

La tecnica di autosicura l’ho chiesta ad una persona fidata e poi ho trovato online qui https://traguardieffimeri.wordpress.com/2018/06/07/tecnica-di-autoassicurazione-in-arrampicata/: un riassunto del “manuale” dell’autosicura di Roberto Iannilli che conclude il “primo” tiro dicendo: “nell’eventualità che si abbiano ancora delle forze residue e le motivazioni non siano scemate durante la salita del primo tiro, continuare imperterriti sulla lunghezza di corda successiva.”

Ecco. Ha ragione. Il primo tiro da un lato mi stanca mentalmente, sono impacciata e lenta, tra salire, scendere e risalire mi sembra già passata una vita, dall’altro però mi accorgo che non sto più tremando e che me la sto quasi godendo: massì dai, quasi quasi facciamo anche il secondo tiro. La cordata davanti a me comunque non sta andando tanto più velocemente quindi…

Salgo e scendo e risalgo. Unisco L3 ed L4 che sono entrambi da 30 metri e in realtà questo mi permette di sbrigarmi non poco. Comunque non andrei a farlo con 80 metri di corda ma di corde intere ne ho due, una è più larga ormai che lunga e nel grigri scorre come io entro nei jeans attillati dopo Natale. Quella che mi porto dietro è la mia corda bella da falesia, sottile ma è da 80 metri e non ci penso nemmeno a tagliarla. Perciò mi arrangio col materiale che ho: non ho nemmeno l’imbrago alto che molti usano e userò un semplice cordino incrociato e poi so che molti usano il cinch che non si trova più in commercio. L’unica cosa che ho acquistato nell’idea di sperimentare l’autosicura è il ropeman. Penso comprerò anche un imbrago alto perché mille volte più comodo e magari mi procurerò una corda da 50 metri, decisamente più leggera. Comunque l’unico consiglio che, dopo la mia prima esperienza mi sento di dare, è di non lesinare sui moschettoni nell’autosicura, alla fine ne vanno tre nella sosta sotto, tre nella sosta sopra, uno nel grigri, uno nella longe, uno per il ropeman o il machard…si è da soli e bisogna un po’ pensarsi cordata pur non essendolo.

All’uscita della via

Il resto della via scorre sempre meglio, quasi quasi mi dispiace arrivare in cima, nel mentre faccio pure amicizia con l’altra cordata. Quando inizio a sistemare il materiale e mi incammino sulla Segantini quasi mi dispiace tornare a casa, mi spunta proprio il sorriso in faccia e me ne accorgo dopo un po’, sì, sono proprio contenta di averlo fatto!

Perché? Il perché di queste cose è talmente tanto complesso che penso sempre che non serva spiegarlo a chi conosce la risposta e nemmeno a chi non la conosce perché la seconda categoria semplicemente non capirebbe, perché se capisse, avrebbe già capito. Scusate il gioco di parole ma è cosi.

Troppa gente in vetta

Comunque ve l’ho detto perché. Perché questo sabato mi stava antipatica la gente. Avevo proprio la misantropia a livelli del vaffanculo dal balcone in quarantena, tant’è che quando ho finito la via e sono uscita sulla Segantini ho rinunciato in un nanosecondo alla vetta alla sola vista della folla: mi sono buttata sulla Cermenati prima dell’ultima torre della Segantini e giù a tuono sulla sassaiola. La montagna è di tutti ma a vedervi col chihuahua in borsetta un po’ gli occhi mi stavano sanguinando.

Arrivo ai Resinelli che mi sembra Riccione, è appena l’una, mi butto giù a tuono verso casa prima del traffico.

Perché di queste esperienze? Ma mi pare ovvio. Perché sono da duri e puri.

Apro la porta di casa ed eccolo lì, l’unica immagine che non sono riuscita a togliermi dalla testa durante l’avvicinamento: 900 grammi di felino ricoperto di tenera peluria, amoremmiobbellissimo quanto mi sei mancato, a momenti piango di gioia.

Io sempre dura, pura, di roccia sì, come la Dolomite della peggior specie però.

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  1. A parte che, secondo me, scrivi benissimo, il tuo racconto fa capire cosa sia l’autostima e che, la stessa, si posiziona su più livelli. Quello che hai fatto può terrorizzare o farti riempire di ammirazione da parte di chi va solo per sentieri. Oppure può fare sorridere un alpinista consumato. Ma non importa! L’importante è che abbia riempito una tua mezzagiornata dandole il senso che a te serviva.
    L’autostima tu ce l’hai. È che sei il tipo a cui serve verificare di avercela. Mi sembra un pregio.

  2. says: Paolo

    Fantastico. Una delle cose più belle, autentiche e divertenti che abbia mai letto in vita mia. Perché per essere belle persone non bisogna per forza essere i migliori, ma semplicemente se stessi. Ammettere i propri limiti e godere, sempre e comunque, di quello che si fa. Io ho fatto lo stesso con una tre giorni di scialpinismo in solitudine ed è stato stupendo. Ti capisco e ti faccio ancora i miei complimenti. Bravissima e il gatto un amore!

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