Lo sguardo del cervo, nel bosco ferito

Lo sguardo del cervo, nel bosco ferito
di Chiara Baù
(pubblicato su www.imperialbulldog.com il 27 dicembre 2018)

 

In famiglia, il mese di ottobre, è sempre stato definito il tempo del bramito. Si tratta dell’imperioso richiamo del cervo che con potenza risuona nella foresta come la voce di un baritono sul palco della Scala.

Incline ad ascoltare con maggior interesse i suoni della natura piuttosto che il noioso brusio della città mi spingo ogni anno nel Parco Naturale di Paneveggio, in Trentino, dove vive una popolazione stabile di cervi, per udire questo richiamo impressionante. I bramiti sono veri e propri duelli vocali di sfida ingaggiati tra i maschi di cervo innamorati per richiamare su di sé l’attenzione delle femmine.

Una fortuna avere dei genitori che fin da piccola, armati di santa pazienza e grande volontà decidevano di accompagnarmi nei boschi per ascoltare i richiami della natura.

Esistono tante applicazioni con i versi degli animali, sui moderni smartphone, ma vivere il bosco in diretta è tutta un’altra cosa. T’insegna il rispetto per ogni singola foglia ondeggiante sui rami e volendo anche l’uso dello spray al peperoncino diventa giustificabile in situazioni di pericolo come la comparsa dell’orso, non certo un motivo futile e irresponsabile.

Siamo a Paneveggio. Penetrati nel folto degli abeti rimaniamo in ascolto, in silenzio.

Un suono altrettanto famoso ma più nascosto e silente è legato alla distesa interminabile di alberi di questa imponente distesa, la Foresta dei Violini, così chiamata per la notorietà del legno di risonanza dell’abete rosso (Picea abies) impiegato per la produzione dei violini di Stradivari.

La foresta di Paneveggio, una delle venti foreste più belle del mondo, fornisce da secoli un legname di particolare pregio utilizzato per la produzione di tavole armoniche di strumenti a corda: lo stesso Stradivari in persona nel 1719 prese a frequentare questi boschi per scegliere le tavole dei suoi preziosi violini. Solo gli alberi con un ritmo di crescita lento e costante, con fusti senza difetti e cilindrici, dotati di fibratura lunga e diritta, producono il legno adatto alla realizzazione di strumenti musicali di qualità; tali caratteristiche presenti nell’abete di queste zone e di poche altre foreste al mondo, sono il risultato della sinergica azione di condizioni ambientali particolarmente favorevoli, delle caratteristiche genetiche delle piante e di una attenta gestione selvicolturale.

Confrontato con quello di sfruttamento comune, il legno dell’abete rosso presenta un’elevata velocità di trasmissione delle onde sonore che si propagano in senso longitudinale e trasversale nella fibra legnosa.

Col passare degli anni il bosco è diventato la mia seconda famiglia. Ogni singolo tronco della foresta merita ammirazione per la saggezza che traspare dalla sua fisiologia e la capacità di reagire a qualsiasi stimolo pur rimanendo immobile. Sarà scontato, ma un albero non può sfuggire ai pericoli e nella sua apparente staticità sviluppa meccanismi di difesa e protezione che non possono suscitare che meraviglia e stupore. Forse sono proprio la forza e la saggezza dei boschi a dare una sorta di dipendenza nel frequentarli in ogni stagione. Non importa la pioggia, la neve o la mancata segnalazione di sentieri.

Dal bosco assorbo forza ed energia messe a dura prova davanti allo scenario desolante di foreste quasi completamente abbattute. Un vento che soffiava fino alla velocità di 217 km/h ha raso al suolo 10 milioni di metri cubi di alberi.

Quel giorno mi trovavo a Milano, e ricordo perfettamente l’incedere faticoso controvento per colpa dell’intensità delle raffiche. Tentando di avanzare lungo il marciapiede non potevo immaginare che in quello stesso istante migliaia di alberi stessero cedendo sotto le stesse raffiche di vento che avevano messo me in difficoltà. In un solo giorno è andata distrutta, nell’intero arco alpino, la quantità di prelievi boschivi programmata in cinque anni che il mercato nazionale assorbe in un ventennio.

I numeri di questa ecatombe iniziarono, poi, ad affiorare dai telegiornali: 12 milioni di alberi spezzati. Il vento li ha schiantati e ribaltatati. Le foto che compaiono sui media sono apocalittiche.

Uno squarcio terribile sembra interrompere l’armonia del bosco decantata in maniera pregevole da Henry David Thoreau nel suo capolavoro Walden, ovvero Vita nei boschi: due anni di vita, i suoi, dedicati alla ricerca di un rapporto intimo con la natura e a ritrovare se stesso lontano da una società che non rappresentava valori degni da seguire ma impegnata futilmente in una ricerca di guadagno.

Guardo le immagini del bosco ferito e rimango svuotata e impietrita.

Negli studi compiuti per la laurea in Scienze Naturali conosco il vento come un mediatore dei processi ecologici, quali la disseminazione e non come elemento di disturbo. So che gli alberi sanno come riprendersi dopo un incendio. Le latifoglie ad esempio hanno gemme di riserva vicino al terreno, che si attivano per generare nuovi fusti quando percepiscono che l’albero madre è danneggiato. Un vento così furioso mi trova impreparata.

I quotidiani pubblicano, l’indomani, articoli nei quali mettono in evidenza l’enormità del disastro. Il parere del meteorologo tuttavia ha toni più costruttivi che drammatici, ciò che in passato era eccezionale oggi non lo è più: viviamo condizioni eccezionali provocate dal clima.

Il vento sembra portare un preciso messaggio per avvisare come i cambiamenti climatici in futuro porteranno all’estremizzazione dei fenomeni atmosferici. L’evento chiamato dai meteorologici “Tempesta Vaia” ha toccato tutto il Nord-est del Paese.

Noi montanari ci siamo subito rimboccati le maniche, cerchiamo di arrangiarci senza lamentarci troppo”, esordisce con determinazione Luciano, un amico che vive nell’Agordino, una delle zone particolarmente messe in ginocchio.

Le immagini parlano chiaramente e non posso che abbandonarmi allo sconforto, alla tristezza e alla desolazione. Il bosco non può lasciarmi, non deve e anch’io non posso abbandonarlo. Ma cosa sta succedendo? Chiamo subito un carissimo amico che fa il boscaiolo, per capire meglio il fenomeno.

È Martin, un uomo innamorato del bosco, che con il suo lavoro trascorre gran parte del tempo a tutelare le foreste di tutta Europa. Mi tranquillizza subito. Mi ero occupata di Martin, ancora bambino, mentre sua mamma durante il giorno si recava nei campi per raccogliere il fieno in Val Pusteria, e mi fa sorridere interpellarlo quale esperto dei misteri delle foreste.

Nessuno meglio di lui può spiegarmi cosa sia veramente successo. Mentre in televisione vengono intervistati i massimi esperti di scienze forestali, prodighi di studi matematici e algoritmi sul futuro del mondo green, preferisco confrontarmi con chi vive il bosco ogni secondo della sua vita, sporcandosi le mani di resina e adoperando la forza delle braccia scolpite per pulire i boschi e tagliare tronchi a volte colossali. Il tono della voce è pieno di passione per quel mondo di pini, abeti e larici e subito mi istruisce sull’accaduto.

Tali eventi, sostiene Martin, non sono da considerarsi tanto rari e lontani, anzi. Il vento in Europa è il principale fattore di disturbo e agente di danno degli alberi con una media di due tempeste catastrofiche all’anno, come quella che a fine ottobre ha colpito Trentino, Sud Tirolo e Agordino, e un livello di distruzione di circa 38 milioni di metri cubi all’anno. Anche escludendo eventi più remoti, negli ultimi 30 anni in Europa si sono verificati almeno quattro fenomeni devastanti con un impatto ben superiore a quello di fine ottobre in Italia.

Gli schianti da vento, come molti disturbi naturali, provocano ingenti danni economici e costituiscono importanti fattori di rischio per la popolazione ma, dal punto di vista ecologico, rappresentano un nuovo inizio e una nuova opportunità per l’ecosistema. È una sensazione di speranza quella che trasmette le riflessioni di Martin.

Superata la fase di emergenza, la tempesta offrirà l’occasione per adeguare strutture e gestione forestale agli scenari del cambiamento climatico previsto per i prossimi decenni.

L’unica nota di tristezza, confessa Martin, sono le immagini di pini e abeti stroncati, accasciati e feriti su un terreno sconvolto; sono stati compagni di vita in un paesaggio di bellezza unica dal punto di vista ambientale e naturalistico. Un nodo alla gola a questo punto lo prende e l’intervista ha una breve interruzione. Devozione e amore per il bosco, mi accorgo, albergano in fondo all’animo dei boscaioli più autentici.

Rimango perplessa di fronte alle lamentele di escursionisti in difficoltà nel ritrovare i sentieri parzialmente ostruiti o distrutti per raggiungere cime o rifugi. Gli animali non usano i sentieri, e se si frappongono ostacoli lungo i percorsi segnati, occorre superarli, aggirarli, oppure inventarsi la possibilità di creare delle alternative. Perché farsi schematizzare da tutto ciò che è imposto o già approntato? Ricordo in Groenlandia e in Alaska la totale mancanza di percorsi segnati senza che nessuno ci facesse caso, non solo ma col piacere di una continua scoperta per sperimentare e scoprire tracciati nuovi.

È comunque una sorpresa positiva quella della filiera solidale che subito dopo la tempesta ha mosso iniziative importanti. L’Italia importa l’80% di legname dall’estero. Dopo la tempesta Vaia alcuni imprenditori, soprattutto produttori di guardrail, hanno deciso di cambiare rotta acquistando in Italia il legname proveniente dai boschi distrutti. Sono inoltre arrivate, al di là delle previsioni, richieste di alberi di Natale recuperati dalle punte degli abeti abbattuti e anche donazioni per l’opera di rimboschimento.

Ma il fattore più importante e pericoloso di questo evento tempestoso è costituito dal bostrico, mi fa presente Martin, il boscaiolo.

Si tratta di un piccolo coleottero che con azione parassita fa tremare i boschi. Dopo tempeste di imponenti dimensioni il materiale disponibile in cui covare le uova aumenta in misura elevata. Il maschio del bostrico accoglie le femmine all’interno di una piccola cavità scavata nel tronco dell’abete, in particolare nell’ultimo anello di accrescimento. Dopo l’accoppiamento, le femmine fecondate scavano altre gallerie sotto la corteccia, allineate lungo l’asse del tronco, deponendovi decine di uova. Le larve che si sviluppano, lunghe pochi millimetri, danno vita a loro volta a una serie di gallerie parallele, perpendicolari alla galleria madre. Tutte queste gallerie interrompono il flusso della linfa, condannando l’albero a una morte rapida.

Gli alberi spezzati e stesi a terra non sono più in grado di produrre resina, il liquido che protegge l’albero, di conseguenza il coleottero ha la strada spianata per arrivare alle parti più delicate dell’albero e scolpirlo di gallerie che saranno letali. Questo il vero pericolo.

Occorre rimuovere al più presto tutto il legname, coordinando il lavoro di quattro regioni in modo che il bostrico non abbia la possibilità di insinuarsi nei tronchi abbattuti.

La natura però ha in serbo mille risorse e viene sempre in aiuto. È l’arrivo dell’inverno che come per magia blocca il processo invasivo del bostrico, congelando momentaneamente una possibile moria del legno e offrendo all’uomo la possibilità di sfruttare al meglio il tempo necessario per organizzare nei mesi invernali fino all’inizio della primavera la complicata logistica di interventi per la rimozione di ingenti quantitativi di legname.

L’inverno con il suo silenzio e le temperature rigide offrirà una sorta di protezione alla foresta ferita, aiutandola e dandole la possibilità di sopravvivere, almeno temporaneamente. L’uomo farà il resto dedicando tutta l’attenzione che l’impresa di sgombero e ripristino la montagna richiede per il futuro, lasciando sul terreno residui di legno morto necessari per facilitare il ripopolamento della vegetazione arborea.

Reduce da un recente viaggio in Vietnam con l’opportunità di una visita ai Cu Chi, i famosi rifugi dei Vietcong, ebbi modo di constatare l’incredibile rinascita della vegetazione dopo la totale scomparsa conseguente al selvaggio spargimento di diossina. Vent’anni sono occorsi per la rinascita della foresta, ma il tempo sia pur con lentezza ha avuto ragione in una dimensione temporale a noi sconosciuta troppo presi da fretta e frenesia soprattutto in questo periodo. La natura ha i suoi tempi e ci insegna anche questo.

Penso alla foresta di Paneveggio ferita come tutto il patrimonio boschivo del Nord-est. Torno in Trentino, dove poche settimane prima rimanevo in ascolto del bramito del cervo. Mi addentro nel bosco con lo stesso stato d’animo di una visita a un amico malato.

Mi incammino nell’ecatombe di tronchi accasciati sul terreno bagnato. La neve ha già coperto con il suo candore parte della foresta offrendo al paesaggio un aspetto un po’ meno drammatico. Un suono sembra provenire dall’interno del bosco. Mi fermo e mi accorgo che un violoncellista sta suonando il suo strumento in mezzo agli abeti caduti in un’atmosfera di intimità e riservatezza.

Capisco che non è un concerto, ma l’omaggio di un uomo alla natura, una sorta di dialogo privato con gli alberi da cui trarre il legno per far fluire quel suono meraviglioso: una melodia di ringraziamento, di conforto per la foresta, quasi a trasmettere un messaggio di speranza per gli alberi sopravvissuti alla tempesta.

Il suono del violoncello ha richiamato l’interesse di un cervo nascosto dietro a un tronco. Anche il re della foresta è rimasto sconvolto dallo scenario, dal suo habitat distrutto, forse miracolosamente uscito indenne, ma lo sguardo fiero e saggio sembra cogliere la bellezza di quella melodia.

In quello sguardo vedo la tristezza per la desolazione circostante, per la terrificante esperienza di salvarsi dall’abbattimento improvviso e furioso di pini e abeti che rumorosamente si sconquassavano uno sull’altro in un caos indescrivibile sotto l’azione di raffiche urlanti, ma vedo anche l’immane potenza della natura, sento la fierezza di questo animale, l’orgoglio di appartenere al bosco che ha la capacità di rinascere, anche da un’apocalisse. Lui sa, abituato da sempre ad affrontare intemperie e condizioni ambientabili impossibili, che sarà pronto a vivere anche questa volta una nuova realtà.

Emerge dalla melodia del violoncellista la tenera affezione per il bosco. Per quanto profonda sia stata la ferita inflitta, l’incredibile forza della natura unita alla passione dell’uomo per il suo habitat potrà fronteggiare la nuova situazione. Il bosco rinascerà ancora più forte di prima e il suono dei violini di Paneveggio, con le loro intramontabili melodie, sarà una nuova e più forte testimonianza del prezioso valore delle nostre foreste, un polmone naturale e un’insostituibile riserva per la salute dell’uomo.

Può sembrare il finale di una favola ma è solo credendo in questa forte unione uomo-natura che posso continuare a credere nello spirito della foresta e negli aspetti più terribili, ma anche più incantevoli che queste immense distese di verde sanno offrire a coloro che le apprezzano e conoscono con la mente e col cuore.

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