L’ossessione di John Harlin figlio
(Prefazione al libro L’ossessione dell’Eiger)
di Mirella Tenderini
Gli anni Sessanta segnarono una svolta nella storia dell’alpinismo, da un lato con la chiusura dell’era eroica, sancita dalla rinuncia ufficiale di Walter Bonatti all’alpinismo estremo dopo avere compiuto la prima ascensione di una via nuova, in solitaria e in inverno, sulla parete nord del Cervino, mentre dall’altro, nello stesso periodo, un gruppo di arrampicatori anglosassoni, irrompeva sulle Alpi importando tecniche nuove e una filosofia che doveva avere grande seguito tra le generazioni seguenti. Due americani si erano particolarmente imposti all’attenzione non solo degli alpinisti ma anche del pubblico che, sempre più numeroso in quegli anni, seguiva gli eventi della montagna: Gary Hemming e John Harlin. Insieme avevano aperto vie innovative, ma in seguito le loro concezioni divergenti della pratica dell’alpinismo li aveva separati. John Harlin era un personaggio straordinariamente dotato. Audace, brillante, irrequieto e ambizioso, dopo avere compiuto la prima ascensione alla parete sud dell’Aiguille du Fou e di due vie dirette sulla Ovest del Petit Dru, aveva volto la sua attenzione all’Eiger, la montagna simbolo per eccellenza. L’aveva già scalato lungo la via classica della parete nord e su quella parete, la più grande e la più pericolosa delle Alpi, voleva aprire una via che segnasse una nuova era: una via direttissima da realizzare in inverno. Nel corso di quell’ascensione, intrapresa con alpinisti britannici e tedeschi, morì precipitando per 1200 metri durante la risalita di una corda fissa, che si spezzò.
Era il 1966. Il figlio John aveva nove anni. Sua madre, che aveva sempre vissuto in grande conflittualità con l’attività alpinistica praticata dal marito, sperava che non diventasse mai uno scalatore. La famiglia, che abitava a Leysin in Svizzera, dove John padre aveva fondato e dirigeva una scuola internazionale di alpinismo, tornò negli Stati Uniti, dove il giovane John, che aveva continuato a frequentare la montagna praticando lo sci ad alto livello, finì con l’appassionarsi anche all’alpinismo vero e proprio. Aggirando la promessa fatta a se stesso per riguardo alla madre, si appassionò all’arrampicata che praticò intensamente, aprendo anche numerose vie nuove, sulle montagne del Nord America alle quali attribuiva una minore pericolosità rispetto alle Alpi. Tuttavia il ricordo di suo padre e della sua morte, che lo aveva ossessionato per tutta l’adolescenza e la giovinezza, lo attirava proprio sulle Alpi. L’Eiger continuava a ispirargli terrore, ma nonostante tutti i suoi propositi sapeva che non si sarebbe mai sentito libero se non si fosse risolto a scalarlo. Per anni corteggiò la montagna da lontano, senza osare infrangere i suoi scrupoli e le sue paure. Fino a che, nel 2005, gli venne proposta un’ascensione della via classica dell’Eiger “in tutta sicurezza” per essere filmato dalla IMAX, una società che ha creato una forma di spettacolo originale con la proiezione su uno schermo gigantesco di filmati d’avventura appositamente girati. John riuscì a vincere le angosce della madre e la riluttanza della moglie, e con la figlia Siena di nove anni tra gli spettatori, compì l’ascensione. Una salita affascinante per il pubblico; per lui e la sua famiglia una catarsi.
Prima di arrivare a questa scalata, che occupa solo la parte finale del libro, l’autore narra la storia del padre attraverso i suoi ricordi, quelli degli amici e dei compagni di cordata, e gli scritti pubblicati, e racconta ciò che la sua morte aveva rappresentato per la giovane vedova, Marilyn Miler, e i figli bambini: lui stesso e la sorella Andréa. Al di là del dolore grande, tutti e tre, ma soprattutto Marilyn e Andréa, avevano sofferto per un senso di abbandono, quasi di tradimento. Per anni madre e figlia non avevano creduto a quella morte, sebbene avessero accompagnato il rispettivo marito e padre alla sepoltura, mentre il giovane John, che fin da piccolo aveva assorbito dal genitore la passione per la montagna e che si era avvicinato all’alpinismo ricorrendo a trucchi e stratagemmi per aggirare il suo voto e ingannare se stesso, doveva risolvere il suo conflitto interiore, e non aveva altra via che tagliare la testa al mostro.
Il combattimento tra passione e dovere, è la chiave di lettura e il tema più interessante del libro. La responsabilità nei confronti dei famigliari di chi pratica un’attività pericolosa, è un argomento delicato che di solito non viene affrontato nella letteratura alpinistica, nella quale gli autori sono spesso i protagonisti stessi delle vicende narrate. Nella maggior parte dei casi non viene affrontato nemmeno nella vita, ma semplicemente rimosso da una parte e subìto dall’altra. Quell’altra parte che non ha mai raccontato l’ansia costante di chi vive accanto a un alpinista, né il dolore di chi rimane a piangere il compagno o il padre scomparso. Salvo casi rarissimi. In questo libro è un uomo a parlare della tragedia patita dalle donne della famiglia, un dramma che potrebbe ripetersi per causa sua. È un alpinista che per molto tempo si è inventato una varietà di scusanti pretestuose per continuare a scalare montagne, fino a che si è reso conto di non potersi assolvere se non confessando apertamente l’egocentrismo inevitabile di chiunque segua una passione totalizzante.
Sembra un apologo o una favola allegorica, e invece è una storia vera.
L’ossessione dell’Eiger
di John Harlin Jr.
Traduttore: Mirella Tenderini
Prima edizione italiana
Editore: CDA & VIVALDA, collana: Licheni
gennaio 2008
Pagine: 320 p., ill. , brossura
EAN: 9788874801312
Seconda edizione italiana
Editore: Alpine Studio
agosto 2019
Pagine: 316 p., ill., brossura
EAN: 9788899340926
ISBN: 8899340927
E’ proprio azzeccato il titolo. Ci so o certe montagne che non possono che diventare delle ossessioni. Fra queste l’Eiger è il primo della fila.
Eiger, di Toni Hiebeler: il primo libro di letteratura alpinistica acquistato, tanti anni fa. Doveroso aggiungere quest’ultimo libro alla raccolta.