Martinica

(l’isola dei fiori e delle “femme fatales”)
di Andrea Battaglini
(pubblicato su lastampa.it/viaggi il 31 marzo 2022)

A sud esotica e ridente profilata da grasse palme e beniamini giganti che ombreggiano oziose baie e dorate spiagge caraibiche; a nord epica e avventurosa sbozzata da vulcani e frappeggiata da pareti rocciose a strapiombo sul mare che ricordano certe coste irlandesi. Due facce di una stessa isola: la Martinica, l’isola delle belle creole, l’isola dei fiori carnosi. La straordinaria varietà del paesaggio e la vivacità della popolazione dai grandi, neri e interrogativi occhi acquosi solidamente dipinti ma per pochi mesi da Paul Gauguin con pennellate scintillanti e luminose, caratterizzano una delle poche isole quasi autosufficienti di tutte le Piccole Antille (23.000 euro il PIL pro capite che però non frena ancora l’emigrazione verso Parigi). Il paesaggio è disegnato dalle coltivazioni di bananeti e ananeti, di tabacco e – in primis ante omnia – di canna da zucchero tanto che il rhum elaborato da quest’ultimi ( bianco e fuori moda ma ottimo ad usum di poderosi cocktails) è copiosamente esportato a dovere da illo tempore tanto da aver ricevuto già nell’ottobre del 1996, primo prodotto dei territori francesi d’oltremare, la denominazione francese di origine controllata AOC.

La Martinica ha mantenuto un aspetto autentico, non deteriorato come quello di tante sorelle antillesi anche se vive di turismo, ed è più sofisticata della cugina Guadalupa. E’ poi un’isola interessante da girare: tra le umide foreste tropicali fitte di liane e felci ferite da rivi e cascate, tra i fiori eburnei e carnosi del fragrante giardino botanico di Balata, tra le stradine sonnecchianti di paesini addormentati in cime a colline o distesi ai piedi di vulcani spenti. E soprattutto fra le sabbie bianche incorniciate da palmeti e rocce levigate dal vento che hanno incantato Josephine Tascher de la Pagerie, moglie di Napoleone e imperatrice di Francia, Madame de Maintenon, favorita di Luigi XIV, e pure la sfuggente Aimée Dubuc che nel XVIII secolo, vuole leggenda, dispersa in mare fu catturata dai “barbari” e venduta in moglie al sultano di Costantinopoli Mamhmoud II. Tutte belle dame.

Onirici contrasti
E’ facile sognare sulla spiaggia di Sante-Anne. Chiudere gli occhi, scottati dal sole, e ascoltare il solito mare caraibico color veronese giocare con i granelli di sabbia, prenderli e ributtarli a riva instancabile; ma poi, come in un’ingiallita sequenza felliniana, ecco carrettini ambulanti di gelati guidati da grandi “mamme” creole avvicinarsi lentamente tra le ombre semicircolari di palme e alberi del paradiso seguendo con note di antico carosello il sentiero sterrato che accompagna l’insenatura più dolce dell’isola. Vanno e vengono con le loro battute malinconiche, sorprendenti nell’isola della musica vivace però qui patria sempre di canzoni d’amore. Flash di improvvisi contrasti martinicani. Potrebbero d’acchito disturbare il relax eppure incantano.

I carretti sono stanchi – mobili e decennali memorie arrugginite dalla salsedine – ma i gelati al Rhum Raisin e cocco, dolci e rinfrescanti e i desueti brani di vecchi tempi che richiamano giochi d’antan, cullano. Ripasserà; se non a Sante-Anne in una delle anse che inanellano la punta meridionale della Martinica. Non però all’Anse Saline, una solitaria spiaggia bianca lunga un chilometro dove i Caraibi e l’Atlantico s’incontrano provocando un visibile gradino di fluido turchese nonostante gli sforzi dell’Ilet Cabrits, che emerge in mezzo all’insenatura, di tenere separati i due mari. Alle spalle dell’Anse Saline e poco più a sud della baia di Sante Anne, oltre la Punte Catherine, si protende all’interno la lunare Savane des Pétrifications: un paesaggio forte e arido che ostenta una vegetazione congelata dal peso del tempo ricca solo di cactus e rocce macchiate da agata e diaspro.

Una natura aspra e monocroma, quella della Savane, subito contrastata dalla ridente atmosfera di Sant’Anne che rimane un caleidoscopico paese concretato da casette di legno dai toni morbidi e profumato dal mercato gonfio di ananas, noci di cocco, papaye, maracudja, banane, tamarindi, avocado. Solo le piastrelle bianche, azzurre e nere, che curiosamente rivestono le cappelle del piccolo cimitero affacciato all’omonima baia, sorprende per i timbri cromatici decisi e sonori. E’ il villaggio più sereno, anzi, proprio il più allegro dell’isola. E onirico.

Al galoppo
La balade à cheval non è snob e nemmeno costosa. Di fronte alla leggendaria Rocher du Diamant, una gemma di roccia buia che sorge solitaria in mezzo al mare, si allunga la stretta spiaggia nera di Diamant, impraticabile a causa dei prepotenti cavalloni che spumeggiano contro l’omonimo paesino raccolto intorno a un centinaio di case di legno incollate l’una all’altra che accerchiano una chiesa imbiancata a dovere e annunciano le capanne di un mercatino che già alla mattina presto smaltisce frutta e verdura.

Sulla scura rena galoppano i mezzosangue di uno dei cinque maneggi e centri di turismo equestre dell’isola (Centre équestre du Diamant). Corrono incuranti delle radici e dei massi che affiorano sulla spiaggia liberati dagli improvvisi riflussi. I cavalieri improvvisati, senza stivali né cap, stringono intimoriti la criniera e sudano assime ai potenti animali liberamente lanciati a briglie sciolte. Alla fine dell’ indimenticabile corsa neanche una pastosa e rinfrescante Piña Colada, sorbita in uno dei chiringuitos che delimitano la baia assieme a cespugli di “rose di porcellana”, addormenta l’emozione regalata dagli sfrenati galoppi au borde mer. Avventure da film, veloci momenti di libertà: la Martinica è anche questo.

Trekking e “mountain-biking”
Tre/quattro giorni pieni, anche su due ruote o camminando, bastano a visitare i luoghi più fascinosi dell’interno che si succedono dal centro alle coste nord-orientali e nord-occidentali. Tutto, o quasi, il litorale di nord-est bagnato dall’Atlantico è un alternarsi di cale rocciose più o meno ampie, sempre culminanti a Grand Riviére dove si aggrappano riparati i villaggi bianchi di Marigot, Basse-Pointe, Macouba e, appunto, l’impervio e scosceso porto di Grande-Riviere.

E’ la “costiera” martinicana dove i pescatori usano ancora le foglie tritate dell’albero noyau per mietere il mare: gettate in acqua accecano i pesci che restano paralizzati per attimi. foto L A est invece, da Carbet a Saint-Pierre, la vecchia capitale dell’isola fondata dai francesi nel 1635 e distrutta nel 1902 come Pompei dall’eruzione del Mont-Pelée, si susseguono spiagge di sabbia grigia ravvivate dai colori squillanti delle barche da pesca ombreggiate da una ricca barriera di palme.

Da Fort- de-France, la vivace capitale non particolarmente interessante ma obbligatoria base di partenza di ogni itinerario “settentrionale”, sia che si visitino i dintorni delle alte scogliere di Grande-Riviére che i cupi resti (anfiteatro e prigione di Cyparis) di Saint-Pierre, la strada serpeggia attraverso la foresta tropicale del Pitons du Carbet fino alla biforcazione di Morne-Rouge ai piedi del vulcano.

A soli dieci minuti dalla capitale spunta dalla vegetazione la commovente riproduzione in scala del santuario di Sacre Coeur de Balata – stesse architetture di quello di Montmartre – e poco oltre circondati dai picchi rigogliosi del Piton la Croix 1196 m, del Piton de l’Alma 1105 m e del Piton Dumauzé 1109 m, ammiccano gli incantevoli e blasonati giardini di Balata: una parata floreale di oltre tremila specie di piante e fiori esotici tra cui ottanta tipi di palme delle Antille, rossi Anthurium, Rose di porcellana, Pandanus, ananassi, bromeliacee, Alpinie, Heliconie e Dature allucinogene.

Oltre l’arcobaleno floreale di Balata, sempre tra mille sfumature di verde, spunta nell’aperto altopiano il Mont Pelée, una piramide vulcanica “con la testa tra le nuvole”. Nel sottostante paese di Morne Rouge incorniciato da campi di ananassi, il silenzio inquietante che distingue i villaggi dell’interno è rotto talvolta dal vociare degli scommettitori creoli radunati intorno ai pitt, le minuscole arene dove si svolgono i combattimenti dei galli, il “gioco d’azzardo” locale cui si può assistere. Sfiora poi la montagna pelata nei pressi di Ajoupa Bouillon la Plantation Leyritz, una settecentesca casa coloniale arredata con mobili d’epoca incastonata in un curato giardino. Fu uno dei luoghi d’incontro politici preferiti da Giscard D’Estaing.

Le Trois Ilets e Josephine Bonaparte
Dalla punta du Diamant in direzione Trois-Ilets una strada sale e scende costeggiando le Anse d’Arlets, la Petit e la Grand Anse orlate da un mare verde- smeraldo, su cui si riflettono gli slanciati corpi dei creoli che puliscono e lucidano pazientemente poche grandi conchiglie rosa, preziosa merce in cerca di qualche, raro, acquirente. Un piccolo passo scavalca il promontorio del Cap Salomon e, dopo circa quindici chilometri di leggera discesa che costeggia allevamenti di mucche di razza indù e folti bananeti, la sinuosa via s’arresta di fronte al porto turistico di Trois-Ilets,il fulcro della storia mondana dell’isola. Non lontano da un campo campo di golf a 18 buche disegnato da Robert Trent Jones che si articola tra laghetti e insenature (Trois-Ilets è il comune più à la mode della Martinica) ci sono infatti i resti della piantagione e dello zuccherificio dove nacque nel 1763 Josephine Tascher de la Pagérie, imperatrice di Francia e Regina d’Italia. Sebbene i natali siano rivendicati anche dalla vicina isola di Santa Lucia è in questo silente e umido paradiso perduto che sgambettò nei primissimi anni di vita la futura moglie di Napoleone Bonaparte, prima sposa del marchese Alessandro di Beauharnais allora governatore dell’isola.

In quella che fu la opulente piantagione di canna da zucchero del padre, oggi si trovano i resti del vecchio stabilimento, di un mulino riattato a grazioso museo che raccoglie oggetti, corrispondenze tra Josephine e il piccolo grande Imperatore e alcuni mobili tra cui la graziosa culla d’infanzia dell’inquieta futura imperatrice (immancabile). Ma se il museo in se medesimo resuscita gloriosi e nostalgici ricordi continentali, la visita guidata sollecita tenerezza ed esotica seduzione. La voce dolce e melodiosa delle belle creole “dalla bruna aureola” che accompagnano i turisti confusa con i colori diafani del foulards di Madras che calzano annodati in testa incantano: un rapimento consueto nell’isola di “Matinino” come i “caribi” chiamavano la Martinica; ma un po’ crudele perché le avvenenti creole, seducenti come l’isola che popolano, sono da sempre incantatrici e maliarde!

INFO
– martinique.org
– us.france.fr
– martinique.franceantilles.fr

ARRIVARE
Voli diretti da Parigi a Fort-de-France in circa nove ore di volo con airfrance.fr

Per girare l’isola e raggiungere le spiagge del sud, le più romantiche e belle, indispensabile o la macchina o una moto o una due ruote + tanti muscoli: si possono noleggiare a Fort-de-France e a Trois-Ilets.

DORMIRE
Esistono decine di alberghi di charme sparsi ovunque sull’isola tra cui il riattato Manoir de Beauregard a St.Anne che è una casa di campagna del XVIII secolo non lontana dalla omonima baia. Meravigliosa vista sulla roccia du Diamant all’Habitation La Cherry articolata in piccoli bungalow arredati rusticamente. Le camere della Plantation de Leyritz sono arredate in stile settecentesco. Celebre anche il Bokoua Beach a Pointe-du-Bout; la Domain Saint Aubin (domanine-saint-aubin.com) è una costruzione coloniale trasformata in confortevole e intimo albergo con vista a mare a soli ottocento metri dalla spiaggia.

MANGIARE
La scelta tra le ricette francesi e creole è vasta. E si può mangiare bene anche nelle popolari bettole senza nome affacciate sulla spiaggia per pochi euro. Lambis e conch alla griglia (polpa di conchiglia spezzettata) e chatrous (piccoli polpi cucinati con ragù), oltre a crostacei e molluschi in tutte le salse, onorano i piatti tradizionali. Le aragoste non si contano come le triglie e il pesce spada. Ottima anche la carne preparata alla francese (filetti al pepe, chateaubriand, tartare). Tra i tanti ristorantini che costellano le anse caraibiche il Ti Sable a Grand-Anse e a Le Diamant il Chez Nadyége che si acquatta a cinquecento metri dall’acqua turchese dell’Anse Saline. 

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