Riproponiamo un articolo scritto in riferimento a due anniversari del 2015 al riguardo di Zermatt: i 150 anni della prima salita del Cervino e i 50 anni dalla salita solitaria e invernale di Walter Bonatti per la parete Nord. Due tappe fondamentali nella storia dell’alpinismo. Gli sfottò di Whymper ai danni di Carrel, poi sostituiti dalla tragedia nella discesa, e il pianto di commozione di Bonatti che abbraccia la croce di vetta sono due snodi storici che non lasciano indifferenti.
Zermatt 2015: due anniversari “storici”
di Carlo Crovella
(pubblicato su Montagne360 del febbraio 2015)
Foto di Carlo Crovella (salvo diversa menzione)
Sono in vetta all’Oberrothorn, circa 3400 metri: è un ideale belvedere sulla conca di Zermatt, tiene il pari con il Brevent sopra Chamonix. L’Oberrothorn è un ampio cucuzzolone detritico, raggiungibile con un bel sentiero in un’oretta circa dall’arrivo della funivia. Oggi il cielo è completamente terso, una vera rarità nell’estate 2014, caratterizzata da frequenti precipitazioni, che però hanno contribuito a rendere i ghiacciai scintillanti dai 3000 metri in su: è un vero spettacolo. Il panorama è di primordine: se non fosse per il dossone glaciale della Tête de Valpelline 3802 m e, in direzione opposta, per il risalto della Cima di Iazzi 3809 m, in cui culmina l’ampio Findelgletscher, lo sguardo abbraccia solo vette superiori ai 4.000 m! Davanti agli occhi, ovviamente, domina Sua Maestà il Cervino, accompagnato alla sua destra (guardando) dalla linea che congiunge Dent Blanche, Obergabelhorn, Zinalrothorn e Weisshorn: quest’ultimo è raramente così fedele al suo nome (Corno Bianco) come accade nell’estate del 2014. A sinistra del Cervino, dopo l’ampia insellatura del Teodulo, si innalzano invece le pareti nord del Rosa, fino al punto culminante del massicco, la Cima Dufour 4634 m. Girandosi ancora, dopo il già citato Findelgletscher, ecco una un’altra serie di quattromila, quelli dei Mischabel: Strahlhorn, Rimpfishhorn, Alphubel, fino alle svettanti cuspidi di Dom e Täschorn. Sono circondato da un mare di quattromila, uno più inebrinte dell’altro.
Se invece calo lo sguardo, scorgo in basso l’abitato di Zermatt. Eccola laggiù, la ridente cittadina svizzera: è oggi un apprezzatissimo centro turistico, sia estivo che invernale. Considerata la corona di vette che la circondano, merita quanto Chamonix l’appellativo di “capitale mondiale dell’alpinismo”. Se la fama di Chamonix è scaturita a partire dalla conquista del Monte Bianco, la nomea di Zermatt occupa un posto di pari rilievo nella storia dell’alpinismo, grazie (ma non solo) a due imprese, entrambe realizzate sul Cervino. Di queste imprese si celebrerà nel 2015 il rispettivo anniversario (ricordiamo che l’articolo è stato scritto nel 2014, NdR). Infatti proprio in centro a Zermatt hanno posizionato una piramide, con il conto alla rovescia digitalizzato, per ricordare che nell’estate del 2015 si compiranno i 150 anni dalla conquisa del Cervino ad opera della cordata guidata dall’inglese Edward Wympher. Nel febbraio 2015 si compiranno invece i 50 anni della via di Bonatti sulla parete nord della stessa montagna.
Questi due avvenimenti segnano la storia dell’alpinismo, incidendo sull’importanza storica di Zermatt. La curiosità dell’escursionista, che riposa in vetta all’Oberrothorn, viene così catturata da uno specifico quesito: la piana, in cui si allarga la valle prima di innalzarsi verso i ghiacciai, ha sicuramente facilitato l’insediamento umano da moltissimo tempo, ma come è cambiata Zermatt grazie al (o “per colpa del”) turismo montano? Le risposte sono a portata di mano, basta visitare il Matterhorn Museum, la cui localizzazione sotterranea si trova in centro al paese, proprio a ridosso della chiesa. Dalle didascalie delle bacheche presenti al museo, si viene a sapere che i primi visitatori “forestieri” giunti a Zermatt, a cavallo fra XVII e XVIII secolo, erano per lo più “scienzati”. In pratica si trattava di appassionati, più o meno accademici, di botanica, di geologia, ecc. A quel tempo la valle non era certo pronta per una ricezione turistica e questi visitatori si appoggiavano per lo più ai curati dei paesi, anche perchè questi ultimi erano fra i pochi che conoscevano il latino, che allora costituiva una vera e priopria lingua franca. A un certo punto, però, le autorità vallesane vietarono agli uomini di chiesa di ospitare i visitatori. Allora il medico condotto di Zermatt, tal Lauber, fondò il primo “hotel” che inizialmente disponeva di ben tre letti! Ciò non ha impedito a questo “ricovero” di annoverare ospiti illustri, fra cui il ginevrino Horace-Bénédicte De Saussure. In ogni caso, il dado è tratto e, fra i visitatori della valle, agli scienziati si sostituiscono progressivamente gli alpinisti. Siamo nell’epoca d’oro dell’alpinismo con guide e le cordate sono sistematicamente costituite da valligiani-guide che accompagnanno i Monsieurs, per lo più di nazionalità britannica. Questo periodo culmina indiscutibilmente con la conquista del Cervino (1865). Da quel momento si intensificò nettamente lo sviluppo alberghiero di Zermatt, anche grazie ad un certo Alexander Seiler (vero “motore” di tale svliluppo): questo trend culminerà negli anni della Belle Époque, incentrata sulla “vita brillante” di tre Grand Hotel (Monte Rosa, Matterhorn e Zermatterholf). Nel 1891 viene costruita la ferrovia Visp-Zermatt: i collegamenti regolari agevolano l’afflusso che divenne sempre più intenso. A cavallo con il XX secolo Zermatt era ormai lanciata come località turistica alla moda.
Il secondo grande balzo turistico di Zermatt si posiziona negli anni ’70 del XX secolo, quando si perfeziona il carosello degli impianti sciistici, grazie ai quali l’operatività si estende a tutto l’anno. Circa dieci anni prima (1965) Bonatti aveva aperto la sue celebre via sulla Nord del Cervino, chiudendo l’epoca d’ora del grande alpinismo “romantico”: la performance di Whymper e soci si lega idealmente a quella del grande Walter non solo nella storia dell’alpinismo, ma anche per i riflessi sull’evoluzione di Zermatt.
Come si presenta, oggi, Zermatt? Nella parte più a monte, verso il Cervino, si trovano ancora le case originarie o quanto meno tradizionali, dall’architettura simile a quella walser, anche se ristutturate a perfezione. I tre Grand Hotel, che cent’anni fa si ergevano praticamente isolati in mezzo ai prati, oggi sono circondati da una miriade di costruzioni dalle forme più disparate. La via centrale è costellata da boutiques di lusso (orologi, gioielli, moda), accanto agli store di materiale alpinistico. Moltissimi i locali gastronomici, da quelli di cucina locale a quelli dove si trovano solo hamburger. La tecnologia ha invaso anche questo angolo di mondo, ma non ha solo risvolti fastidiosi: nella hall di molti alberghi, anche non di altissimo rango, si trovano i monitor che proiettano le immagini in diretta provenienti dalle webcam in quota. Spesso il paese è avvolto da nebbia bassa, ma grazie alle webcam, che illustrano paesaggi illuminati da un sole splendente, si può partire fiduciosi per le ascensioni.
Nell’odierno visitatore si innesca quindi la curiosità sui tratti salienti delle due imrpese, che saranno adeguatamente celebrate durante il 2015. Della salita di Whymper, più che la famosa tragedia accaduta in discesa (ben quattro su sette alpinisti precipitarono negli abissi), colpisce la relativa facilità di realizzazione: in pratica, dalla cresta dell’Hörnli, il Cervino venne conquistato al primo vero affondo. In precedenza, a partire dal 1861, Whymper aveva collezionato ben sei tentativi alla Grande Becca, salendo però lungo la cresta sud-ovest, cioè quella che domina la Valtournenche italiana. In questa cocciutaggine per la cersta sud-ovest, l’inglese era condizionato dalla presenza di Jean-Antoine Carrel, detto il Bersagliere, che non poteva concepire la conquista della vetta se non dalla “sua” via. Ma anche altri pretendenti (su tutti il britannico John Tyndall, vincitore del Wiesshorn nel 1861) si erano incaponiti sul lato italiano, mentre risulta un solo timido approccio sul versante svizzero: autore il britannico Thomas Stuart Kennedy (1862, stesso anno della sua conquista alla Dent Blanche), che salì sulla cresta dell’Hörnli fino a circa 3300 metri. Lo stesso Whymper, però, col tempo cambia radicalmente idea e mette a fuoco che il versante orientale (che dà sul Furggengletscher e quindi è del tutto oltre lo spartiacque di confine) è costituito da strati rocciosi inclinati verso sud-sud-ovest, elemento che, a giudizio di Whymper, avrebbe dovuto rendere il versante meno ostico di quanto appariva ad occhio nudo: l’illusione ottica di chi guarda il Cervino di fronte fa apparire i pendii innevati del versante orientale più ripidi di quanto siano effettivamente.
Così Whymper, nel giugno del 1865, effettua un primo tentativo lontano dalla cresta sud-ovest, partendo però dal Breuil. Con le famose guide Michel Croz (di Chamonix) e Christian Almer (vellesano), più l’accompagnamento dell’altra guida svizzera Franz Biener e di Luc Meynet (costui in qualità di portatore), Whymper progetta di salire per un canalone (che appartiene ancora al versante italiano), da cui pensava di deviare sull’ultimo pendio del versante orientale. Però dopo aver salito la parte basale del canalone, si fermano e le guide stanno predisponendo il pranzo (Almer viene descritto mentre affetta un succoso cosciotto!), ma un’immane frana di pietre spazza il canalone e spegne sul nascere ogni loro velleità. Whymper vorrebbe andare ad attaccare la cresta dell’Hörnli, ma a quel punto si innesca una terribile combinazione di eventi, che solo la diabolica regia del destino ha potuto architettare. Infatti Croz riesce a convincere il suo Mounsieur a riscendere in Val d’Aosta per spostarsi su Chamonix, perché Croz non vuol mancare alla parola data con un altro cliente che lo aspettà là. Per questo stesso motivo la guida francese non partecipa alla successiva conquista dell’Aiguille Verte, conclusa proprio da Whymper per l’omonimo canalone. La cosa deve essere costata non poco a Croz, visto che, per lui, la Verte era la “montagna di casa”. Whymper torna poi in Valtournenche, ma anche Carrel si defila, adducendo anch’egli impegni con altri clienti. Un po’ per questo, un po’ per il tempo brutto, Whymper tergiversa qualche giorno, ma poi gli riferiscono che le guide della valle, compreso Carrel, sono partite all’attacco della cresta sud-ovest. Non è difficile immaginarsi la reazione stizzita dell’inglese, il cui caratterino non doveva essere malleabile. Per combinazione, era appena giunto da Zermatt il suo compatriota Lord Francis Douglas (precedente vincitore dell’Obergabelhorn), accompagnato da Peter Taugwalder, uno dei figli della guida con lo stesso nome. Quest’ultimo, tra l’altro aveva effettuato, pochi giorni prima, una soddisfacente esplorazione proprio alla cresta dell’Hörnli, giudicando l’ascensione fattibile. Whymper si aggancia alla cordata di Douglas che torna a Zermatt attraverso il Colle del Teodulo e, parola dopo parola, i due britannici si accordano per tentare insieme l’ascensione del Cervino. Mentre Whymper passeggia per Zermatt, incontra causalmente Michel Croz, il cui cliente di Chamonix (rivelandosi non allenato) era già tornato in patria. Nel frattempo però Croz è stato ingaggiato dal Reverendo Charles Hudson, proprio per tentare il Cervino. Poco dopo, Whymper e Douglas pranzano al Grand Hotel Monte Rosa ed ecco giungere Hudson, reduce da un sopralluogo visivo del Cervino. Rispondendo alle domande dei presenti, Hudson conferma che l’indomani avrebbe tentato la scalata. Whymper e Douglas ritegono poco “simpatico” che ben due spedizioni operino in contemporanea e quindi proprongono a Hudson di far causa comune. Hudson accetta, ma segnala che fa parte della sua compagnia anche il giovane Douglas Robert Hadow (19 anni). Whymper chiede referenze su costui e Hudson gli risponde sinteticamente che “Il Signor Hadow ha salito il Monte Bianco in un tempo di gran lunga inferiore a quello della maggior parte degli alpinisti”.
Partono quindi la mattina seguente e sono in otto: i quattro britannici, più le guide Croz e Taugwalder padre e i due figli di costui. Dopo aver salito un primo pezzo di cresta, pernottano a circa 3350 metri e, al mattino, come da programma, uno dei due figli Taugwalder scende: rimane Peter (omonimo del padre). Restano in sette. Salgono con una certa velocità, che appunto colpisce considerando che è il primo tentativo su tale terreno. Dal resoconto di Whymper, si arguisce che durante la salita si tengono più sul versante orientale che sul filo di cresta. Con un’ultima deviazione sul versante settentrionale giungono infine in vetta. Whymper è molto in ansia, perchè teme di esser stato preceduto da Carrel, impegnato sull’altro versante. Ma sulla vetta non scorge orme umane, neppure spostandosi fino alla cosiddetta vetta italiana. Allora si sporge e individua gli italiani decisamente più in basso. Gli inglesi vogliono richiamare l’attenzione dei loro contendenti, perché non ci siano dubbi sulla priorità della salita: dapprima lanciano urla e poi addirittura scatenano una frana di pietre dentro un canalone del versante italiano. Infine, tornati alla vetta principale, Croz pianta in verticale un palo della tenda e appende, come bandiera, la sua giacca. Il vessillo viene visto sia da Zermatt che dal Breuil, dove immaginano che sia stato posto dagli italiani. Non è così: Carrel aveva già sentito le urla di Whymper e possiamo immaginare la sua cocente delusione. Gli italiani decisono di scendere, ma Carrel tornerà due giorni dopo conquistando la vetta dall’Italia. Dopo un’onorata carriera come guida (a volte accompagnando lo stesso Whymper, per esempio nelle Ande equatoriali), nel 1890, proprio sulla via italiana al Cervino, Carrel morirà di stanchezza (“incredibilmente”, sottolinea Whymper, che evidentemente ben conosceva la tempra del Bersagliere).
Non miglior fortuna ebbero però quattro componenti su sette della cordata vincitrice: in discesa, pare per una scivolata del giovane Hadow, verranno trascinati nell’abisso, ma la corda si spezza lasciando incolumi Whymper, Taugwalder padre e figlio. Al Matterhorm Museum in una bacheca si trova, appoggiata su un cuscino di velluto rosso, la corda “spezzata”, a ricordo di quella tragica occasione. Nella sala proiezioni dello stesso Museo si può assistsere allo splendido film girato nel 1937 da Luis Trenker sulla questa impresa.
Se la conquista del Cervino chiude l’epoca d’oro delle imprese alpinistiche, altrettanto importante va considerata la performance di Bonatti sulla Nord. Dopo un paio di tentativi, anche in cordata da tre, alla fine Bonatti parte da solo. O meglio, ha come unica compagnia quella di un orsetto di pezza bianca, che si chiama Zizì. Glielo ha regalato, come mascotte, il figlio di una coppia di albergatori di Zermatt, presso i quali Walter ha soggiornato. L’orsetto Zizì, che oggi si trova in una bacheca del Matterhorn Museum, ha giocato un ruolo importantissimo sulla Nord, come alter ego dello scalatore, consentendogli di combattere la fatica, nervosa prima ancora che fisica.
Scrive infatti Bonatti: “Io guardo Zizì. Sorride sempre con i suoi grossi occhi di vetro giallo… Gli parlo come se potesse capire. Cosa dici, Zizì, ce la facciamo ad arrivare fino a quel punto lassù…?”. Man mano che Bonatti sale verso la cima, si ricongiunge idealmente all’impresa di Whymper: “Mosse dal vento, alcune pietre trafiggono l’aria e si perdono nel vuoto… Mi viene spontaneo associare questa immagine a quella della catastofe Whymper… La valanga dei quattro corpi, che precipitarono cento anni fa, dev’essere passata qua vicino…Vorrei essere già oltre.”
“Oltre” Bonatti ci va davvero e così giunge in vetta, dopo cinque giorni di tremenda battaglia solitaria. Un battaglia davvero bonattiana, con una degna conclusione: “Quando mi trovo a soli cinquanta metri dalla vetta, improvvisa e splendente appare la croce metallica… Il sole, che la illumina da sud, la fa apparire come incandescente… Gli aerei, che nell’ultima ora mi hanno assordato con i loro motori, sembrano intuire la solennità del momento… Forse per discrezione, si allontanano un po’… Come ipnotizzato stendo le braccia a quella croce fino a stringerla al petto… Le ginocchia mi si piegano e piango.”
Quest’ultimissima annotazione (il pianto), presente nella prima stesura de I giorni grandi (1971), non è più stata riproposta in seguito. Eppure io sono molto affezionato a quella specifica immagine del grande Walter, che si “commuove” fino a piangere. Lui, l’uomo dalla tempra d’acciaio, giunge a confidarci la sua più struggente commozione: è in questo episodio che culmina, e contemporaneamente si estingue, la grande epopea dell’alpinismo romantico.