di Alberto De Giuli, pubblicato su Albertodegiuli in data 25 gennaio 2020
Siamo al 25 gennaio e la stagione invernale non è ancora partita. Dubito che partirà dopo il 18 febbraio, data in cui gli impianti di risalita potranno “finalmente” aprire in Italia stando alle ultime notizie. Con la situazione Covid a livello europeo tutt’altro che rassicurante (a casa nostra pare migliorare, ma non dappertutto), dare la possibilità di aprire le piste dopo Carnevale non so quanto sia conveniente per le stazioni sciistiche, visto che normalmente il flusso turistico subisce un grosso calo dalla metà di marzo. E sempre che ci si possa muovere tra le regioni dopo tale data.
Chi vive in montagna e lavora d’inverno con gli sci ai piedi (maestri di sci e guide alpine) nella maggior parte dei casi non sta lavorando, o molto poco. Io che ho sempre avuto a che fare con turisti stranieri, quest’anno ho tanto di quel tempo libero (purtroppo), compatibilmente agli impegni familiari, che cerco di uscire sulla neve il più possibile. La voglia di esplorare nuovi itinerari, ma soprattutto fare uscite interessanti, è tantissima, grazie anche alle abbondanti nevicate che finora hanno interessato le Dolomiti.
Con gli impianti aperti, in una giornata di freeride siamo abituati a fare molte discese, partendo per gradi. Il boschetto facile, poi un pendio più aperto. Si scaldano le gambe e si tocca con mano la situazione curva dopo curva, itinerario dopo itinerario. Si scia su pendii normalmente “tritati” dopo ogni nevicata, almeno quando lavoro come guida, nella maggior parte delle giornate. Mettersi nei casini non è così facile, generalmente parlando.
Quest’anno, con gli impianti fermi, si devono usare le gambe per salire, e molto spesso si sale una volta per fare una discesa, e quella discesa si spera sia di soddisfazione. O no? Si fa fatica per qualcosa! Almeno per me, io la penso così.
Il periodo magico di inizio gennaio è finito, quando tutto stava su e la neve era perfetta a tutte le esposizioni e pendenze. Il vento ha cominciato ad essere protagonista lavorando i pendii dappertutto. Non abbiamo ancora avuto una serie di giornate calde, il freddo intenso finora ha prevalso. Il manto nevoso, seppur abbondante e pesante, fa fatica ad assestarsi anche nelle esposizioni più favorevoli. In più abbiamo avuto qualche nuova nevicata, anche abbondante come l’ultima di qualche giorno fa, che ha portato fino a 60 centimetri di neve nuova in centro a Cortina d’Ampezzo. E il vento ha fatto capolino già il primo giorno di bel tempo.
Uscendo con amici fidati, colleghi, gente esperta, la “forza del gruppo” e di sapere di avere vicino qualcuno che ne sa quanto te se non di più, ti possono portare a rischiare qualcosa in più. Hai quella sensazione di avere le spalle coperte. Sono dinamiche viziose, che possono anche portare a nulla di buono. Negli ultimi tempi mi son fatto un giretto col culo sopra ad un paio di valanghe, sono sincero. E non mi era mai capitato prima. Lastroncini, per carità. Nulla di grosso, per fortuna. Ma abbastanza per farmi male, girarmi un ginocchio ad esempio.
Non rinuncio mai volentieri ad una discesa, specialmente dopo aver fatto fatica. Battere traccia di questi tempi è lavoro duro! Ma oggi ci siamo trovati davanti ad un canalone visibilmente carico di neve riportata dal vento.
“Ca**o facciamo?”
“Si dai, guarda, se scendiamo derapando per tutta la prima parte sotto le rocce poi magari raggiungiamo il pendio sotto e poi tutto è tranquillo. Anzi, sicuro ci facciamo una bella sciata nel bosco fino alla macchina!”
“Certo, ma questa gonfia enorme, se parte poi parte, non è poca roba”
“Bon, torniamo indietro dai. Non ce lo ordina mica il dottore di scendere per di qui. Sicuro ci facciamo anche una bella sciata per dove siamo saliti”
Questo in breve il dialogo col mio compagno di gita una volta tolte le pelli. Abbiamo guardato a destra, sinistra, al centro, scovato ogni soluzione per permetterci di scendere dove volevamo. Ma alla fine ha prevalso quella sensazione di fare una cazzata, se avessimo seguito il piano originale.
Ti possono venire date diverse possibilità, ma potrebbe andarti male anche al primo colpo. Voglio imparare a rinunciare un po’ più spesso, a cuor leggero, quando vedo che la situazione non è felice. Costa fatica, ma la montagna è sempre lì.
Il concetto finale è musica per le mie orecchie! La mia concezione di formatore di alpinisti e, in particolare, di scialpinisti è sempre stata indirizzata alla capacità di autoregolarsi. Capacità che oggi è spesso spazzata via dalla società del “No Limits”, della libertà s-frenata (“s” privativa di freni) del “più osiamo e più siamo fighi”. Bravi che avete ragionato freddamente. La mente deve prevalere su cuore e pancia. Sempre, in montagna come nella normale esistenza. Tra l’altro un proverbio, che mi citava sempre un vostro conterraneo, dice: “Soldato che scapa, xè bon per un’altra bataglia”. Cordiali saluti.