Simboli religiosi in montagna

Simboli religiosi in montagna
(lo Zerbion, un esempio allo zenit. E un caro ricordo di chi non c’è più…)
di Giuliano Bosco

Non ero mai stato sullo Zerbion. Il nome, però, aveva un non so che di familiare ed è “venuto a galla” quando un collega di mia moglie ne ha parlato con la consorte. Lui ci era appena stato e aveva commentato “… sicuramente tuo marito lo conosce”. Ferito nell’orgoglio ho deciso di andarci. Come detto il nome mi piaceva. Evocava una montagna importante con quel “lo” a distinguerlo degli articoli che solitamente accompagnano nomi di montagne molto più celebrate: “il” Cervino, “il” Bianco, “il” Viso, “il” Grampa, oppure “le” Droites, “le” Jorasses, “le” Dames Anglaises… ma di “lo”, al momento, mi venivano in mente solo 3 monti: lo Scarason di “gognesca” memoria, lo Shisha Pangma, il più bassotto degli “ottomila” e, per l’appunto, lo Zerbion.

Una breve ricerca geografica (sapevo solo che era in Val d’Aosta) per scoprire che si colloca sullo spartiacque tra la Val d’Ayas e la Valtournanche con accesso, per la “normale”, dalla prima. Leggo dell’itinerario su Gulliver dove si parla di un panorama bellissimo dalla punta, di una gita assai frequentata e di un dislivello abbordabile (poco più di 800 m). Sono pronto!

La giornata giusta si presenta un martedì di metà luglio. Il meteo dà lievi possibilità di pioggia pomeridiana ma il mattino e il primo pomeriggio sono previsti belli con qualche nuvola. La brevità della gita mi convince ad andarci comunque. Se parto un po’ presto, per l’ora di pranzo dovrei essere di ritorno alla macchina.

Fa un caldo umido maiale. Da qualche giorno imperversa Cerbero, nome assegnato a questa ondata di calore che ha come protagonista l’ormai solito anticiclone africano il quale (purtroppo) sempre più spesso si sostituisce a quello solito delle Azzorre che ci garantiva (una volta) estati calde “il giusto” e asciutte. L’attrezzatura da montagna è stipata in un doppio armadio metallico sul balcone della cucina ma per preparare il sacco devo aspettare che il sole smetta di arroventare balcone ed armadio. Riempio veloce il Millet da 25 litri, con quattro cosette. 

Il mattino seguente, prima di partire verso la Vallée, devo però accompagnare mia cognata alle Molinette, il maggiore ospedale torinese, per un day hospital. Per fortuna aprono alle 7 e lei vuole essere lì all’apertura per essere schedulata subito. Saggia decisione ultra-condivisa… alle 6.40 siamo alle Molinette, ma devo gestire quel “non mi accompagni dentro?” (già “istruito” in proposito dalla consorte…). Per fortuna mia il cancello di ingresso del nosocomio è già aperto e quindi entriamo e raggiungiamo il reparto, questo sì, chiuso fino alle 7. Attendo qualche minuto poi piagnucolo un “Cri, devo andare che mi mettono la multa” (l’auto l’avevo mollata in uno spazio vietato, approfittando del mattino presto). Saluto e filo via guadagnando così qualche minuto. Punto la vettura verso la tangenziale sperando che non sia “piantata”. Va abbastanza bene. Un po’ di rallentamento nella rampa di accesso da corso Regina ma poi il traffico (intenso) scorre veloce. La vista del senso contrario è sconfortante. Avevo letto sul giornale di lavori stradali che creavano lunghe code in direzione sud, ma vedere dal vivo una fila continua di chilometri e chilometri di veicoli fermi o quasi su tutte e tre le corsie, è uno spettacolo che mette i brividi al solo pensiero… di finirci dentro.

In breve sono a Verrès, abbandono l’A5 e mi infilo in Val d’Ayas. Traffico contenuto. Pigio sull’acceleratore incurante dei velox arancioni che puntellano la statale ma che, molto spesso, hanno funzione di sola deterrenza (spero tutti…). Mentre salgo guardo in alto sul lato sinistro della vallata e noto una montagna evidente, con una punta formata da una cresta orizzontale e sul lato sinistro una struttura bianca che potrebbe essere una statua. Mi chiedo se sia la mia destinazione. Più tardi ne avrò conferma.

Decido di non usare il navigatore anche se è la prima volta che vado a Barmasc, il parcheggio dove si lascia la vettura. Scelta azzeccata! Infatti…“buco” la svolta a sinistra e avanzo imperterrito fino a Champoluc allungando il percorso. Da lì seguo la strada che si snoda nel fianco destro orografico della vallata cercando con lo sguardo (navigatore vade retro) il cartello che indica il nome della località dove si posteggia. Non vedendolo mi rassegno a chiedere a qualcuno.

Un signore dall’inconfondibile accento valdostano mi dice che ho appena superato la svolta a destra che porta a Barmasc. Giro il mezzo e percorro i chilometri che mi separano dalla fine della strada dove si trova il piazzale per parcheggiare. Sono le 9 meno un quarto e già molte sono le auto in sosta. Cerco un posto all’ombra sperando che lo sia anche al mio ritorno (speranza vana… un forno da panificazione su 4 ruote mi accoglierà al rientro…). Parcheggio vicino ad una coppia che si sta preparando e dopo qualche secondo vengo affiancato sull’altro lato da una Dacia Duster che mi sembra sia diventata la macchina dei montagnini, un po’ come lo era la Renault 4 quand’ero giovanotto. Il posto è decisamente frequentato… niente privacy né a destra né a sinistra dell’auto per il cambio di “vestimenta”. Pazienza. Esporrò al pubblico le mie nudità nei limiti della decenza. Dieci minuti e sono pronto anticipando i miei vicini di parcheggio (da soli si guadagna tempo). Mi incammino verso un sentierone al fondo del piazzale dove sono già in movimento molte persone. Le supero mentre allungo i bastoncini. Già subito, dopo pochi metri, mi imbatto nella prima “immagine religiosa”. La stazione numero 1 di una Via Crucis realizzata con un altorilievo in pietra. Mentre salgo penso che questo percorso sacro è denominato “via”, come accade per gli itinerari alpinistici e conduce anche lei, come molte “vie” alpine, sulla punta di un monte, il Golgota, dove avvenne il martirio della crocefissione. Penso che questa condivisione di termini possa trovare una sua (triste) ragion d’essere in quelle salite montane sfortunate che, per le motivazioni più varie, sfociano in incidenti o, peggio, in tragedie.

Proseguo nel percorso lasciando indietro un po’ di persone ma superato a mia volta da una leggiadra ragazza in body sportivo con “pancino de fora” che gagliarda mi saluta mentre sgranocchio una barretta, in sosta all’ombra di un larice. “Sarà l’ultima ombra che troveremo” mi dice la ragazza dimostrando in questo modo di conoscere bene il percorso. Poi aggiunge “gran caldo oggi”. Io le rispondo “non siamo mai contenti”, lei sorride e prosegue, anch’io riparto ma in breve la fanciulla sparisce alla vista segno evidente che il suo passo di salita è molto più lesto del mio. Pazienza. Pure io alla sua età andavo rapido in montagna. Chissà come salirà lei quando avrà i miei 63 anni…

Altre steli della “via crucis” lungo il percorso ed eccomi al Colle della Portola dove campeggia accanto al pilastrino del colle, l’ennesima “stazione sacra”.

Colle della Portola con la dodicesima stazione della Via Crucis

Al valico mi accoglie una gradevole brezza che produce un po’ di sollievo dalla canicola estiva. Da qui in poi il sentiero corre lungo la cresta o poco sotto e ciò garantirà la permanenza di questo arioso “condizionatore naturale” fino in punta. Proseguo volgendo a sinistra senza possibilità di sbagliare; un po’ perché il sentiero è molto evidente per l’elevata frequentazione, un po’ per la conformazione del terreno di salita (una cresta non lascia molti dubbi sulla via da seguire…) e un po’ perché… molto spesso si continuano a incrociare le suddette immagini religiose a fare da “segnavia”. Esaurite le stazioni della “via crucis” si è passati, infatti, al soggetto sacro femminile per eccellenza, ossia alla Madonna anch’essa rappresentata in altorilievo su lastre in pietra.

Immagini sacre a tema mariano

Qualche segnavia “110” accompagna il tracciato che segue lo schema classico CCP (colle – cresta – punta) di molte “normali”. Il sentiero arriva ad un anfratto (barma in piemontese) costellato di immaginette sacre, ex-voto, rosari, forse un punto di sosta (o… di arrivo) per chi è stanco della salita. Poi ancora un tratto di cresta “impreziosito” da un ripetitore di rete mobile e arrivo in punta dove troneggia una enorme statua della Madonna. Facendo qualche ricerca sul cellulare (grazie alla posizione e… al ripetitore la copertura di rete è ottima) scopro che è realizzata in bronzo, alta 7 metri e che è presente in loco fin dagli anni ‘30 del secolo scorso.

La statua della Madonna sulla punta dello Zerbion

La base della statua è punteggiata da targhe che commemorano persone scomparse con frasi del tipo “Non lasciarti sgomentare dagli addii. Un addio è necessario perché ci si possa ritrovare.”

L’elevata quantità di queste “lapidi” (ne ho contate una trentina) conferisce al luogo un aspetto vagamente sepolcrale. Un altarino in ferro collocato davanti alla statua aumenta l’impressione di trovarsi in un “luogo di culto montano”, sensazione amplificata dai numerosi rosari a coroncina collocati su alcune delle lapidi.

Base della statua e altarino

Recito alcune preghiere come sempre faccio quando arrivo su una punta ma questa volta ho una dedica speciale da fare. Due giorni fa ci ha lasciato Valeria, la più giovane della compagnia di quando eravamo ragazzi. È stata rapita alla vita alla ancor giovane età di 56 anni e proprio a quell’ora si sta celebrando il suo funerale a Monterotondo. Penso alla strana coincidenza che mi ha portato su questa montagna così “carica” di simboli religiosi proprio la mattina delle esequie di questa amica. Scatto una foto con la Madonna, ci aggiungo una frase di “estremo saluto” e la pubblico sul gruppo di Whatsapp composto dai componenti di quella compagnia di villeggianti che negli anni ‘70 e ‘80 del secolo scorso soggiornavano a Villar Pellice. Il mio saluto si accoda ad altri del gruppo quasi a comporre un triste rosario.

L’ultimo saluto a Valeria

Abbandono i tristi pensieri e mi guardo attorno. Lo spettacolo del panorama è veramente grandioso. Di fronte alla statua sulla sinistra la vista è sul fondo della Val d’Ayas (da dove occhieggiavo la punta salendo in macchina qualche ora prima) mentre a destra si allunga il solco vallivo principale della VdA osservabile con dovizia di particolari in questa giornata dall’aria tersa e dal cielo sgombro di nuvole (nonostante il meteo…). Ma il vero, grande, autentico spettacolo si mostra in tutto il suo splendore alle spalle della grande statua mariana. L’intera catena del Rosa, bianca e scintillante dalla Punta Giordani fino ai Breithorn.

La catena del Monte Rosa dalla punta dello Zerbion

E spostando lo sguardo ancora più a sinistra ecco l’inconfondibile piramide del Cervino e a seguire Dent Blanche, Dent d’Hérens, le Grandes Murailles, lo Chateau de Dames,… si rimane senza parole di fronte a tale e tanta magnificenza alpina.

Cervino, Dent Blanche e Dent d’Hérens dalla punta dello Zerbion

Dietro la statua ci sono due grandi pietroni quasi orizzontali e uno dei due adesso è libero. Mi sistemo comodo, con lo zainetto a fare da schienale e mi godo lo spettacolo. Per apprezzarlo meglio tiro fuori dalla patella del sacco un binocolino marchiato Camp, piccolo ma abbastanza potente (8 ingrandimenti) regalatomi da mia moglie non so più quanti anni fa e non so più per quale ricorrenza (conosco mia moglie da 43 anni…). Scorro lentamente lo sguardo otticamente potenziato su tutte quelle magnifiche punte molte delle quali salite in tanti anni di “montagnismo”.

Avverto una presenza alle spalle… un tipo si è piazzato in piedi dietro di me e osserva lo stesso spettacolo. Un po’ mi infastidisce quella prossemica un pelo invadente e che mai avrei imitato. Volutamente non mi giro sperando che in questo modo “l’invasore” capisca l’inopportunità della sua posizione. Forse lo capisce e, comunque, scende dal pietrone.

Sgranocchio una barretta e faccio qualche foto col telefonino. Le immagini non rendono assolutamente lo spettacolo osservato a occhio nudo il quale rimane, a parer mio, il migliore obiettivo regalatoci da madre natura.

Sono le 11.30 e decido di scendere. Allungo di 5 centimetri i bastoncini e mi incammino. Mentre percorro il sentiero in discesa mi fermo per fare altre foto. Dopo qualche secondo… arriva il tipo con cui in precedenza avevo dovuto condividere lo spazio di sosta in punta e si ferma pure lui per fotografare. Ma allora è un vizio! Vabbè… tiriamo innanzi… mentre scendo vedo che una diramazione del sentiero rimane in cresta e risale verso una punta più bassa dello Zerbion. Seguo il sentiero verso questa elevazione, anche per scollarmi di dosso il tipo di prima, e arrivo sulla punta che credo non abbia un nome specifico e che sulle carte in mio possesso è quotata 2652 metri. Sulla sommità sono state collocate ben due croci di vetta di altezza considerevole, forse per compensare la statua mariana dello Zerbion…

Una delle due “croci di vetta” della Quota 2652 m

Proseguo e arrivo piuttosto velocemente al colle dietro al quale c’è un traliccio elettrico che non avevo notato mentre salivo, bruttino, ma… se cominciamo a prendercela anche con l’energia elettrica… e poi giù fino al parcheggio. Nell’ultimo tratto di sentiero noto un cartello in cui si intima ai frequentatori dell’itinerario di non abbandonare rifiuti lungo il percorso neanche se si tratta… di rifiuti biodegradabili! Penso ad un signore che in punta si è mangiato la sua brava albicocca e poi ha gettato il nocciolo giù per la riva (come faccio sempre anch’io…). E con le naturali deiezioni come la mettiamo? Pannolone?… forse… hanno esagerato un cicinin associando, per certi versi, un percorso di montagna ad un luogo sacro…

Veloce riflessione sull’abbondanza di simboli religiosi incontrati durante la gita. Se le montagne fossero tutte così sarebbe un po’ un’esagerazione. Ma per fortuna non sono tutte così. E allora godiamoci lo Zerbion con i suoi panorami e con le sue immagini sacre che oggi sono anche servite per celebrare chi, purtroppo, non c’è più.

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2 Comments

  1. says: Angelo Tazzini - Omegna (VB)

    Ho letto con interesse. Mi sono piaciute le osservazioni (pacate) per i molti simboli religiosi che si trovano sulle nostre montagne, talvolta troppi e trascurati, ma da uomo di grande fede (ereditata dai nonni e dai genitori) devo dire che una Croce o una Madonnina su una vetta mi hanno sempre dato conforto e spinto a recitare una preghiera (oltre che a ringraziare il Creatore per le meraviglie del creato). Da criticare sarebbero invece le troppe attrezzature moderne (tralicci radio e TV, impianti di risalita ecc.) quelli sì che veramente danno fastidio e rovinano la montagna. Io ho 83 anni; ti auguro altri 20 anni di montagna e tanta cose belle. Dio ti benedica.

  2. says: Giuliano Bosco

    Molte grazie Angelo. Anch’io apprezzo trovare una Croce o una Madonna in punta ad una montagna che oltre ad indurmi in meditazione mi fa capire … di essere arrivato. Mi è già capitato di arrivare su cime dove questi simboli non ci sono (es. la Punta Nera della Grivola), magari in una brutta giornata nebbiosa, e di non essere affatto sicuro … di esserci arrivato, in punta (la sicurezza l’ho avuta solo a valle consultando altre foto di altri salitori).
    Quindi ben vengano i simboli religiosi in punta.
    Nello Zerbion direi … che non si sono risparmiati neanche lungo il percorso 😉.
    Un abbraccio e una benedizione divina anche a te.

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