di Gian Luca Gasca, pubblicato su Montagne Digitali il 15 luglio 2015
Prima di dirigermi verso l’efficientissima Svizzera, faccio una sosta a Bergamo per recuperare il mio amico ed editor Luca. Luca mi accompagna alla scoperta di Bergamo, città di antiche tradizioni. Ci concentriamo prevalentemente alla zona più antica, Città Alta. Per raggiungerla utilizziamo la storica e ultracentenaria funicolare, una delle due della città. I primi insediamenti risalgono all’epoca dei Galli, come ci dicono al piccolo e ben curato museo di storia. Da allora molto è cambiato nella conformazione del paesaggio urbano. Salendo lungo le ripide strade della parte vecchia, Luca mi fa notare il leone di San Marco presente su palazzi e porte della città. Furono scolpiti quando la città entrò a far parte della Repubblica di Venezia. “Alcuni sostengono che il libro aperto su cui il leone poggia la zampa indichi che l’edificio venne realizzato in tempo di pace per la Serenissima”, mi spiega. Dopo i veneziani, da Bergamo passarono Napoleone prima e, meno di un secolo dopo, Garibaldi. A quest’ultimo e ai suoi uomini sono dedicate numerose raffigurazioni in città. Bergamo, detta “Città dei Mille”, fu infatti il luogo d’origine della maggior parte dei volontari delle camicie rosse.
La mia permanenza in questa cittadina divisa tra pianura e montagna dura poco: il giorno seguente io e Luca ci dirigiamo verso Tirano, per prendere il Trenino Rosso del Bernina in direzione di St. Moritz. In realtà, non vogliamo digitare la città in sé: siamo qui per il Trenino, patrimonio UNESCO. Saliamo a bordo. Dopo due treni regionali italiani, la differenza si nota subito: nonostante il treno non sia affatto nuovo, è mantenuto perfettamente. Ma il Bernina Express non è solamente un mezzo di trasporto, rappresenta un capolavoro dell’ingegneria.

Non sono un amante delle troppe infrastrutture in montagna ma, quando queste si fondono perfettamente con il paesaggio naturale che attraversano, non ho nulla da ridire. Il tragitto sembra quasi stato creato durante l’orogenesi alpina.
Partiti da Tirano con un tempo splendido (che ci accompagnerà per tutto il tragitto), imbocchiamo subito il primo ponte elicoidale, creato per superare in poco tempo il grande dislivello. Il vento fresco mi colpisce con violente folate il volto.
Tutti i finestrini sono aperti e le persone si sporgono con cellulari e fotocamere per immortalare il passaggio sul ponte.
Con Luca, abbiamo scelto di fare delle tappe intermedie lungo il percorso. A dire il vero avremmo voluto scendere in tutte le stazioni, ma non si può fare. Scendiamo allora a Cavaglia, per osservare le Marmitte dei Giganti, spettacolari formazioni rocciose plasmate dall’erosione dei ghiacciai. Poi, la fermata più alta, l’Ospizio Bernina. Infine Morterasch, per poter osservare da vicino il ghiacciaio del Bernina, raggiungibile con una comoda camminata di un’oretta. I pali che segnano il ritiro dei ghiacci nel corso dei decenni ti lasciano con una sensazione di impotenza e di rabbia.

Verso le ore 17, una voce annuncia all’altoparlante l’arrivo alla stazione di St. Moritz. Una cittadina che mi ha stancato fin da subito: palazzoni e alberghi su alberghi affollano le sponde del lago. Un turismo che con la montagna non ha più nulla a che fare.
Per fortuna ci rimaniamo solo una giornata. La mattina seguente siamo a bordo del Glacier Express, direzione Briga. Ad essere onesti, preferivo il panorama del Trenino Rosso. Non che il percorso sia brutto, ma il Glacier viaggia in un ambiente sempre uguale, a tratti monotono.
Arriviamo a Briga, città con più di 5000 anni di storia. Città “sempioniana”. Città di imprese. Da qui infatti, alle 13.30 del 23 settembre 1910, Jorge Chàvez Dartnell decollò con il suo Bleriot, destinazione Domodossola. Dartnell fu il primo a sorvolare le Alpi, ed il tragico epilogo della sua avventura non sminuisce il valore dell’impresa. Oggi, in Paese, una fontana è dedicata alla sua memoria.
Sono qui a Briga per visitare il ghiacciaio dell’Aletsch, il più esteso d’Europa. Per arrivarci, prendo le prime funivie del viaggio. La vista dell’enorme lingua di ghiaccio è impressionante. Ma ancora più impressionante è la visione dei segni sulla roccia che indicano lo spessore di un tempo del ghiacciaio.
Il ghiacciaio è un patrimonio UNESCO. Per poterlo ammirare è stato quindi creato un sentiero che lo segue per un bel tratto. Più che un sentiero, in realtà, pare un’autostrada; almeno fino al punto in cui, improvvisamente, sparisce nel nulla. Prima di svanire chissà dove, però, sono visibili delle enormi impalcature metalliche con basamenti in cemento piantati nella roccia. Strutture di dubbio gusto estetico e di dubbia utilità, che in ogni caso poco si inseriscono nel paesaggio naturale.

Scesi da questo scempio della Montagna, io e Luca ci spostiamo in treno a Saas-Fee, uno tra i più antichi insedimenti Walser del Vallese. I Walser sono una popolazione di origine tedesca che abitarono le regioni alpine attorno al Monte Rosa fin dall’VIII secolo. A partire dal XII secolo sono emigrati, colonizzando numerose aree, fino a giungere – attraverso il Colle del Teodulo – nella mia regione, il Piemonte. Qui a Saas-Fee riusciamo a visitare il museo sulla storia dei popoli Walser. Qui ci rendiamo pienamente conto di quanto l’ambiente cittadino sia molto cambiato, diventando sempre più oppresso dal cemento. Ce ne accorgiamo anche quando, girando per il paese alla ricerca delle antiche abitazioni ancora visibili, fatichiamo ad identificarle, soffocate come sono dalle troppe e troppo invadenti nuove costruzioni.
Concludiamo infine la nostra permanenza in Svizzera in una città in cui sognavo di arrivare fin dall’inizio del mio viaggio: Zermatt. Volevo esserci e volevo esserci in questi giorni. Qui, esattamente centocinquanta anni fa, si è svolta una delle più grandi e più discusse – a causa delle varie ricostruzioni della tragica discesa – imprese alpinistiche della Storia.

Il 14 luglio 1865 Edward Whymper, in cordata con altri sei uomini, toccava per la prima volta la vetta del Cervino, battendo di poco l’italiano Carrell, che tanto aveva agognato quella vetta. Carrell avrà però modo di rifarsi tre giorni dopo, aprendo la via italiana alla vetta. Questo, però, lo racconterò più avanti.
È giunto, finalmente, il momento di lasciare la Svizzera. “Finalmente” perché non ne potevo più di questo parco giochi d’alta montagna. Un intero territorio snaturato al fine di consentire una turisticizzazione oltre quelli che per me sono i limiti accettabili. Qui non si vuole realmente valorizzare la Montagna, la si vuole sfruttare economicamente. Valorizzarla significa fare in modo che tutti possano capirne ed apprezzarne la reale bellezza, non rendere tutto un’attrazione turistica come se fossimo al luna park.

Sarà anche la zona con la miglior efficienza nei mezzi di trasporto, ma preferisco le “mie” montagne – con tutti i difetti di raggiungibilità – a questo enorme parco divertimenti per ricchi facoltosi che non sono in grado di apprezzare la reale bellezza di quella piramide di roccia di 4478 metri.
Ora devo smettere di scrivere, sto arrivando a Domodossola. Il “mio” Piemonte e le “mie” montagne mi aspettano.