di Antoine Le Menestrel
(pubblicato su Alpinismi in data 7 maggio 2020)
Traduzione di Michele Fanni e Marzia Garzetti
Nota di Michele Fanni: ho conosciuto Antoine Le Menestrel ormai qualche anno fa, all’epoca degli studi matti e disperatissimi, quando, colto da fervore giovanile, m’ ero messo in testa di scrivere una sorta di storia della Danse Escalade. Il progetto è naufragato, ma la nostra conoscenza si è fatta presto una timida e sincera amicizia. Così ogni tanto ecco apparire nella casella di posta una mail di Antoine che mi propone di aiutarlo a diffondere il verbo verticale anche tra gli amis italiens.
Antoine Le Menestrel, si trova, come tutti quanti noi, bloccato tra le mura di casa. Gli manca la roccia e gli mancano i teatri. Ma come fu per Darren Stalding, protagonista de Il vagabondo delle Stelle di Jack London, le pareti non bastano ad incatenare l’immaginario. Così, Antoine, chiudendo gli occhi, ci accompagna a fare una scampagnata sotto le mitiche pareti di Buoux, raccontando aneddoti, vicende, pensieri, legati ad alcune sue recenti aperture in zona.
Cronache verticali dal 2002 al 2017
Una piccola passeggiata in buona compagnia.
In questi tempi, difficili per l’arrampicata, mi tuffo nel passato.
Lascio spazio ai miei sogni, lascio spazio al pensiero del mio scalare.
Carton Jaune (cartellino giallo) 6a/b
Con Pierre Duret ed Eric Garnier abbiamo aperto questa nuova partenza che si collega poi a Scorpion. Credo che Eric, attraverso il nome, mi abbia voluto dare un avvertimento. In quel periodo, a suo dire, scalavo troppo poco.
La Flèche (la freccia) 6c
Abbiamo attrezzato insieme questa via in un piccolo angolo minerale ancora vergine, circondato dai resti di antiche abitazioni troglodite; rigole per incanalare e raccogliere l’acqua, fori per accogliere travi, scale, serrature di portoni. Ho trovato la freccia di una balestra piantata nella roccia con un’inclinazione tale da presagire che provenisse dal Forte di Buoux, dall’altra parte della valle. In questa falesia non ci sono state solo le nostre battaglie.

2012
Prises précieuses (prese preziose) 6c
Un giorno, Joakim Grimm, mio figlio, mi ha chiesto di portalo a scalare. La sua richiesta è stata come un regalo dalla vita. Erano quasi dieci anni che non scalavo più un granché. Aprimmo una via su questa placca che aveva solo due minuscole prese. Gli ho trasmesso un po’ della mia passione. Per me è stato un nuovo inizio, di scalata e di aperture.
2016
Bas o bas [bashautbas] (giù-su-giù) 8a/b
Calarsi non è scandaloso. In più occasioni ho preferito interrompere i miei tentativi per non rischiare di farmi male e soprattutto per cercare di scalare bene senza sforzi inutili. Non ho problemi a ritornare per due anni sulla stessa via se di questa amo la complessità e la bellezza dei movimenti. Sono un Sisifo, prima salgo e poi scendo. Camus ci ha detto: «è durante questo ritorno che Sisifo mi interessa. Un volto che patisce tanto vicino alla pietra, è già pietra esso stesso! Vedo quell’uomo ridiscendere con passo pesante, ma uguale, verso il tormento, del quale non conoscerà la fine. Quest’ora, che è come un respiro, e che ricorre con la stessa sicurezza della sua sciagura, quest’ora è quella della coscienza. In ciascun istante, durante il quale egli lascia la cima e si immerge a poco a poco nelle spelonche degli Dei, egli è superiore al proprio destino; è più forte del suo macigno».
Sommet sans issue (cima senza via d’uscita) 6c
La cima è una via senza uscita. Non si resta in vetta ad una montagna. La cima è invivibile, disumana. C’è vento, fa freddo, il sole brucia, c’è poco ossigeno, gli alpinisti non riescono più né a mangiare, né a dormire, iniziano ad avere allucinazioni, le nuvole preannunciano temporali. Il paradiso non si trova lassù. È una menzogna.

2017
La trilogia delle placche: Cinquième appui 7c/8a, Expire 7b/c, O Nadir 7a/b; che si può leggere come un’unica frase: il quinto appoggio espira sul Nadir. É il mio motto per l’arrampicata. Ero sceso in doppia lungo queste placche negli anni Novanta, ma non avevo visto alcuna presa. Nel 2015 stavo eseguendo una scalata poetica con mia madre. Stavo scendendo su l’Essart Paulette, un bel gioco di parole per chiamare una via nuova. Con tanto di spazzola metallica all’imbrago riuscivo a decifrare qualche piccola goccia sotto allo strato di licheni. Allora mi sono subito avventurato ad esplorare prese e linee possibili. La scoperta di una presa è una sor-presa. Ogni presa è un regalo. È stato l’inizio di una bella ondata di aperture in quel di Buoux.
La Dictature du Sommet (la dittatura della vetta) 7a/b
Sono un essere umano nato su una terra in cui impera la civiltà della conquista dei vertici; il nostro sogno preferito prevede questo: in alto è bene, più in alto è meglio. Possiamo ritrovare quest’atteggiamento nelle dinamiche della crescita economica e nel concetto di ricchezza: l’ascensione sociale e il suo riconoscimento, la volontà di salire sul gradino più alto del podio, il desiderio di diventare una star, la ricerca di un immaginario paradiso celeste, il potere che si manifesta al popolo dall’alto di un balcone. Nel nome di quest’ altezzosa ricerca, la società accetta che si possa camminare sulle teste dei nostri concittadini, mentre esauriamo le risorse del nostro pianeta. Abbiamo sbattuto la testa. Viviamo alla superficie delle cose. Nutriamo un desiderio senza limiti vivendo in un corpo e in un pianeta con dei limiti. Se la salita è una presa di posizione, la discesa è una presa di coscienza. Oggi scendere è un atto controcorrente. Un ritorno a valle. È un modo per resistere, ma come fare quando nel linguaggio e nell’immaginario l’alto ed il basso vengono polarizzati l’uno positivamente e l’altro negativamente? Non è possibile trovare una soluzione in alto, è un problema da terrestri. Io sono in discesa.

Le Partage est mon Sommet (la condivisione è la mia vetta) 6b
La cordata non ha più la cima come obiettivo comune. Il mio compagno che fa sicura mi sostiene con la sua concentrazione. Si può condividere una scalata senza che ci sia discriminazione di sesso, di grado, d’età o di morfologia. Quando accolgo la giornata d’arrampicata così come viene, aspetto il richiamo di una via. Arrampico senza vetta, dimentico la vetta. Passo dopo passo è la vetta che viene a me. Mi piace essere in intima relazione con la roccia. La parete è una partitura coreografica. È essenziale leggere questa partitura ed intraprendere un corpo a corpo con la roccia. Ci si connette con questo ritmo adattando la propria scalata ad un progredire fluido e determinato, con movimenti esplosivi o pause. Ho poco tempo per arrampicare e allora prendo ogni via d’arrampicata come un dono della vita. Mentre salgo cerco di seguire il flusso della mia energia. Mi in-cordo al mondo. Mi accordo al mondo.
Folambule (Il folle-funambolo) 6b/c
Come un folle-funambolo, sono un danzatore di facciate che viaggia sui muri della città per incontrare i miei sogni. Li rendo percepibili anche a voi, di modo che questi sogni abitino le vostre menti e si facciano una realtà che attraversa i vostri corpi. Restando sempre in altezza, metto pacificamente in gioco la mia vita per rivelarne la fragilità. Suono le campane del raduno poetico e racconto storie senza cima né fondo. In un corpo a corpo con le facciate, danzo la mia vita in mezzo al vuoto.

De 5 à 6 (da 5 a 6) 5c/6a
Con Jean-Luc Bichon stiamo ripulendo questa via nel corso della campagna presidenziale. Noi apriamo e auspichiamo l’avvento di una sesta repubblica.