Vita con gli orsi – parte 1

di Chiara Baù
(pubblicato su imperialecowatch.com il 5 novembre 2022)

Una partenza difficoltosa
Nella vita di un naturalista non sono rari momenti di intensa soddisfazione.

Quei momenti capaci di suscitare un sentimento di gratitudine, di completezza e fusione col mondo naturale come assistere a un momento intimo così raro come l’allattamento dei cuccioli di mamma orsa .. è un evento che supera qualsiasi aspettativa, al di là di ogni previsione.

Orsi e gabbiani | © Chiara Baù

Finalmente riesco a partire. La mia quarta volta in Alaska.

Tre anni sono trascorsi dal mio ultimo viaggio. Le restrizioni imposte dal Covid mi hanno impedito di tornare nella terra degli orsi ma con la mente e il pensiero mi sembra di essere sempre stata laggiù, cancellando ogni distanza geografica. È come tornare a casa.

Andare a vivere con gli orsi non è mai uguale, anzi. La natura induce a trovare sempre delle differenze, come in certi giochi di enigmistica che grazie ad un occhio addestrato invitano a scoprire i dettagli diversi di due immagini apparentemente uguali.

Una variabile purtroppo mette in pericolo la riuscita del viaggio. Nelle esplorazioni precedenti, effettuate nei mesi di luglio e agosto, il tempo era sempre stato bello, al punto da poter nuotare nei torrenti dove gli orsi pescavano salmoni, ovviamente una volta terminata la pesca e rientrati nella foresta a riposare al fresco. In certe giornate era addirittura indispensabile proteggersi con abbondante crema solare fattore protezione 50, tanto era forte l’intensità del sole.

Nella preparazione di ogni viaggio occorre sempre prevedere l’eventualità del brutto tempo inserendo obbligatoriamente nel bagaglio un abbigliamento impermeabile. Dal punto di vista logistico il brutto tempo in Alaska complica le cose. Atterro e diluvia. Pazienza, nessun problema. Le due giornate di stand-by ad Anchorage per un eventuale ritardo dei bagagli o la possibilità di scioperi aerei sono gestibili anche con una pioggia consistente. Ma raggiungere il territorio degli orsi in Alaska significa prenotare non solo un volo intercontinentale, ma ben due idrovolanti che atterrano nel cuore delle foreste. Con pioggia e vento forte l’idrovolante abilitato al trasporto al massimo di tre passeggeri non può alzarsi in volo. Inoltre l’unico modo per rimanere in contatto col velivolo e avere indicazioni sulla partenza è il cellulare sul quale il pilota deve comunicare per aggiornarmi sulle condizioni meteo.

Orsi e gabbiani | © Chiara Baù

Nell’era della Space economy, in cui l’alta tecnologia che caratterizza l’homo sapiens permette di andare con un razzo sulla luna, in treno nel paese fuori città o rilevare tramite droni il battito cardiaco anche a centinaia di chilometri di distanza avviene che le ridondanti compagnie telefoniche capaci di promettere connessioni nei luoghi più sperduti del pianeta, mi vendano un abbonamento specifico per gli Stati Uniti, cui appartiene lo Stato dell’Alaska.

Al mio atterraggio, invece, nessun collegamento risulta attivo, la linea non si aggancia alla rete locale. Sono completamente isolata. La preoccupazione aumenta, rischio di non partire. Per risparmiare, alloggio in un Air B&B distante dalla città, e purtroppo anche da ogni negozio che può assistermi. La disconnessione dai telefonini è quasi sempre un fattore positivo, tranne rari casi come questo.

Mi salva in parte la connessione wi-fi dell’alloggio. Nel frattempo le instabili condizioni meteo peggiorano. La guida locale che rappresenta l’unico mio contatto mi fa da ponte aiutandomi nella comunicazione con il pilota. Ma anche il flebile segnale internet di cui usufruisce la guida alla base operativa è altalenante. Il giorno prima della partenza in programma, l’idrovolante non può decollare a causa di forti raffiche di vento. L’ansia sale, la preoccupazione di non partire e rimanere ad Anchorage aumenta. Posso solo aspettare e sperare. Fortunatamente il bagaglio è arrivato. Concentrarsi sui lati positivi è l’unica soluzione. La sera prima della partenza, dopo due giorni di attesa, una mail avverte della possibilità di una breve finestra di bel tempo per l’indomani. Il pilota mi passa a prendere alle sei del mattino, non mi sembra vero. Decollo alle sette e trenta da un piccolo aeroporto. Piove, una pioggia insistente ma leggera.

Ancora una volta inizia la mia vita tra gli orsi.

Mamma orsa con i cuccioli | © Chiara Baù

La natura premia sempre
L’idrovolante atterra ed io ho la sensazione di non essermi mai allontanata da quei paesaggi, quell’oceano, quelle foreste.

La natura indifferente e imperturbabile riporta ogni volta la vita ad uno stadio di purezza lontano dalla stupidità umana. Un abbraccio con la guida, un saluto al pilota e da subito ha inizio la perlustrazione della zona. Pioviggina ma l’entusiasmo di trovarmi di nuovo nel territorio degli orsi fa sparire ansia e preoccupazione. Non perdo tempo e mi dirigo subito verso l’estuario del fiume. Il primo orso è lì quasi ad incontrarmi e non potrei essere più felice.

Ogni volta che organizzo degli incontri sull’orso per gli alunni delle scuole elementari, rivolgo d’istinto ad ogni singolo bambino l’augurio di un futuro incontro con l’orso per vivere un momento unico, capace di suscitare non solo sensazioni di sorpresa, ma anche di grande armonia.

La risalita dei salmoni non è ancora iniziata ed è in ritardo rispetto agli anni precedenti. Neanche il ranger del Lake Clark National Park in cui mi trovo sa darmi una spiegazione. Causa probabile è la pesca intensiva che nel mare di Bering ha raggiunto limiti tali da imporre proprio in questi giorni e per la prima volta il divieto di pesca al granchio in Alaska, un business che vale qualcosa come 200 milioni di dollari.

La decisione è stata presa su due fronti: da un lato lo stop alla pesca del granchio reale rosso nella baia di Bristol, disposta per il secondo anno di fila, dall’altro il divieto di pescare il granchio delle nevi nel Mare di Bering, provvedimento adottato per la prima volta nella storia. La popolazione di granchi, in Alaska, è diminuita moltissimo, e lo stop alla pesca è necessario per evitare la scomparsa della specie.

Nelle vicine acque giapponesi anche il salmone sta scomparendo proprio a causa della pesca intensiva. Altro motivo può addursi al riscaldamento superficiale delle acque del mare di Bering con conseguente variazione della salinità che può determinare un disorientamento dei salmoni lungo la risalita dei torrenti di origine, abituati come sono a ritornare nei luoghi natii caratterizzati dalle stesse specifiche chimico-fisiche.

Anche altri fattori possono essere presi in considerazione, ma sicuramente occorrono approfondimenti. L’orso in ogni caso sa il fatto suo e la grande adattabilità che lo caratterizza lo porta a cibarsi di tutto ciò che trova. Definito un onnivoro opportunista, lo osservo mentre dopo aver fiutato la sabbia con attenzione tenta di afferrare una cozza con la zampa aprendo con accurata eleganza i gusci per estrarne il contenuto polposo. Approfittando della bassa marea, i suoi lunghi artigli schiudono con grande maestria i gusci di cozze giganti. I gabbiani che volteggiano intorno sempre presenti, non disdegnano i resti dei pasti.

Il privilegio più grande
Nel corso degli anni le mostre fotografiche dei più grandi naturalisti al mondo sono sempre state un appuntamento fisso oltre che imperdibile dove poter imparare e osservare foto eccezionali.

Penso comunque che il premio più ambito per un fotografo naturalista non sia solo il riconoscimento da parte di una giuria di esperti, quanto la condivisione di quell’attimo unico in cui l’animale consente la presenza umana, sia stando nascosti appollaiati dietro un tronco o distesi tra l’erba folta di una prateria o chissà dove, immobili, in silenzio, per ore, in attesa di quell’attimo fuggente. Mai come quest’anno ho potuto sperimentare questa consapevolezza.

Il primo orso avvistato | © Chiara Baù

Pronta ad osservare orsi che giocano, che si rincorrono, o cuccioli che disobbediscono alle madri e si perdono, a maschi solitari intenti a difendere il proprio territorio, non avevo mai preso in considerazione l’idea di assistere all’allattamento dei cuccioli, come se si trattasse di una sfera di segretezza che appartiene alla natura preclusa agli umani, considerata poi l’indole poco socievole di un’orsa.

Scorgo tra l’erba mamma orsa con i suoi cuccioli, scene che ho già avuto modo di osservare e pur sempre spettacolari. Ma c’è qualcosa di diverso: mamma orsa si adagia nell’erba sdraiandosi e i due cuccioli le salgono sul ventre. La poppata ha inizio. Mamma orsa solleva verso l’alto le zampe posteriori come per racchiudere i cuccioli in una culla rappresentata dal suo ventre.

Nello sdraiarsi tiene il muso leggermente sollevato e chiude gli occhi come se entrasse in una nuova dimensione, un mix tra rilassamento e concentrazione. L’espressione ha qualcosa di sacro. Nel silenzio di questo prezioso momento si avverte un mugolio accentuato, il verso dei cuccioli che succhiano il latte con energia e con piacere.

Gli orsetti hanno un senso molto spiccato di suzione ed emettono un verso del tutto particolare, che rimarrà impresso nella femmina permettendole di conservare l’istinto materno. La gravidanza negli orsi ha una durata di 7-8 mesi, ma dopo la prima fase di sviluppo l’ovulo fecondato si arresta in uno stato di quiescenza o di pausa embrionale.

L’impianto dell’ovulo nella membrana uterina avviene solo nel tardo autunno, quando la femmina ha accumulato un sufficiente strato di grasso che le consente di far fronte al letargo e sopportare un processo energeticamente dispendioso come lo sviluppo e l’allattamento dei piccoli. I cuccioli nascono nella tana ad inverno inoltrato, in genere nella seconda-terza decade di gennaio, periodo in cui mamma orsa non si nutre. Generalmente le cucciolate sono di due-tre orsetti.  All’atto della nascita i piccoli sono ciechi, le orecchie chiuse, rossastre e nude, il corpo roseo ricoperto di peluria rada, le unghie biancastre e i cuscinetti delle zampette rosa. La mamma sistema i cuccioli sotto le ascelle e li spinge verso i capezzoli. Al 14esimo giorno il pelo comincia ad infoltirsi, al 16-18esimo giorno le orecchie si aprono e si ricoprono di lanugine e al 30esimo giorno si schiudono gli occhi. La mamma lecca senza sosta i cuccioli, massaggia con la lingua il loro ventre e la zona anale, e questo favorisce i movimenti intestinali. Gli orsetti iniziano a muoversi, a giocare e a succhiare tutto quello che trovano intorno, le orecchie dei fratelli, le zampe.

L’allattamento di mamma orsa | © Chiara Baù

Il segreto del latte
Il periodo dell’allattamento si protrae fino a fine luglio, quando gli orsetti iniziano a scoprire il cibo nel bosco che li circonda, e quando nel loro comportamento si manifesta un istinto di difesa e un maggior senso di indipendenza. All’età di 7 mesi i giovani orsi possono considerarsi indipendenti. Capaci di nutrirsi da soli, consolidate le reazioni di difesa, si sviluppa l’istinto predatore insegnato dalla mamma, il che consente loro una vita indipendente e la sopravvivenza in natura. Da notare, tuttavia, che lo stretto legame dei cuccioli con mamma orsa dura in ogni caso fino all’età di 1,5-2 anni e talvolta anche più a lungo.

L’orso appartiene alla famiglia dei mammiferi e tutti i mammiferi nutrono i loro piccoli col latte, che è sempre composto di acqua, grassi, proteine, zuccheri, piccole quantità di minerali vari, vitamine e ormoni. Le proporzioni di tali ingredienti variano molto da specie a specie. Ad esempio il latte di pecora è composto da 80% di acqua, 9% di grassi e 5% di proteine. Il latte della grande balena azzurra è costituito da 50% di acqua, 30% di grassi e 12% di proteine. Il latte più utile al neonato è quello della specie di appartenenza. Esiste tuttavia una relazione tra composizione del latte e stile di accudimento. Un orso grizzly e un canguro hanno una composizione del latte quasi simile, così come il latte della renna è analogo a quello del leone. Il punto in comune tra un orso e un canguro è la costante presenza in entrambe le specie delle madri col piccolo che così può alimentarsi in qualsiasi momento. Se raffrontato con quello di altri animali, il latte di questi due animali è molto diluito. Consiste di circa l’89% di acqua, il 3% di grassi e il 3,8 % di proteine. Cani, gatti e roditori invece producono tutti un latte più concentrato e di più alto contenuto di grassi; ma questi ultimi lasciano i piccoli nel nido ogni volta per ore.

L’allattamento di mamma orsa | © Chiara Baù

Capre, pecore e primati, i cui piccoli sono costantemente al seguito o vengono portati dalle madri, producono al pari dei grizzly e dei canguri un latte relativamente diluito e con basso contenuto di grassi. Addirittura esistono animali che riescono a variare la composizione del latte, come nel caso del canguro che produce dai due capezzoli qualità di latte differenti. Una qualità a basso contenuto di grassi è destinata al neonato, ovvero a quel piccolo quasi allo stato embrionale che risiede permanentemente nel marsupio per molti mesi. La seconda tipologia di qualità molto grassa viene prodotta per il piccolo, una volta sufficientemente cresciuto per lasciare la tasca della madre, ma che continua a succhiare il latte per altri cinque-otto mesi introducendo la testa nel marsupio al bisogno.

La composizione del latte può rispondere a fattori che si aggiungono al normale accudimento del piccolo, ma anche a fattori relativi alla specie, alla zona in cui esso vive e alle sue specifiche reazioni con l’habitat. Il latte ricco di grassi prodotto da balene, foche e delfini, è il risultato dell’ambiente, in quanto questi animali trascorrono gran parte del tempo in acque fredde. O, caso estremo, quello della foca con la cresta, Cystophora crostata, così chiamata per la grossa vescicola nasale dilatabile in cima alla testa del maschio, che si riproduce nelle banchise di ghiaccio dell’oceano artico. Poiché il luogo natale del piccolo è costantemente minacciato dalle tempeste, dalle correnti o da un innalzamento improvviso delle temperature, questa foca ha il più breve periodo di allattamento di tutti i mammiferi, quattro giorni soltanto, ma il latte più ricco di qualsiasi altro, avendo un contenuto di grassi superiore al 60%. Durante i quattro giorni passati con la madre, il piccolo di foca si nutre frequentemente ogni mezz’ora circa con un aumento ponderale di oltre 6 chili al giorno. Il latte è quindi una mistura miracolosa, accuratamente programmata sia per rispondere ai bisogni fisiologici del piccolo nell’ambiente in cui viene allevato, sia per armonizzarsi con il tipo di accudimento che la madre gli assicura. Le necessità nutrizionali dei neonati e le caratteristiche del latte delle madri si sono evolute congiuntamente in modo da produrre per ciascuna specie la più opportuna soluzione di proteine, vitamine, grassi, minerali e carboidrati.

Lo sguardo di mamma orsa mentre allatta | © Chiara Baù

Il permesso di mamma orsa
Gli orsi si collocano quindi tra le nutrici continue, come le madri di primati, marsupiali e anche di certe specie di pipistrelli, che allattando più o meno continuamente, producono un latte a basso contenuto di grassi e proteine, che i piccoli succhiano lentamente. Allo scopo di facilitare il trasferimento del latte dalle ghiandole mammarie ai cuccioli, molti mammiferi come gli orsi hanno capezzoli che si adattano perfettamente alle bocche del piccolo e si trovano in corrispondenza delle ghiandole lungo i due lati dell’addome.

Alla nascita durante il letargo il peso dei cuccioli è di 300 grammi, cioè di circa 1/500 di quello della madre. Questo perché la nutrizione di cuccioli di maggiori dimensioni potrebbe essere problematica per la madre che rimane ancora all’interno della tana di svernamento senza cibo per potersi riprendere dalle fatiche dello svezzamento. Al contrario, nascendo leggeri, i piccoli hanno per un lungo periodo basse esigenze nutrizionali. La femmina nelle fasi immediatamente successive al parto ingerisce la placenta, probabilmente con lo scopo di ottenere importanti energie utili per lo svezzamento dei neonati.

Il fabbisogno energetico di un cucciolo è stato stimato nelle prime 12 settimane di vita pari a un consumo medio di 11 chili di latte, che permettono al piccolo di raggiungere un peso di circa 3 chili. Un’orsa a causa del dispendio energetico associato alla gravidanza e all’allattamento può arrivare a perdere circa il 30% del proprio peso corporeo durante l’intera stagione invernale, a differenza delle femmine non gravide che ne perdono meno del 20%.

Osservo mamma orsa con tenerezza e riesco a scorgere i capezzoli, visibilmente sporchi di secreto lattiginoso, quando i cuccioli si prendono una breve pausa dalla poppata. Sebbene le mammelle siano sei, due pettorali e quattro addominali, solo quelle anteriori secernono latte. Ad un certo punto mamma orsa apre gli occhi e si volge verso di me, come a consentirmi di partecipare a quel momento privato, accogliendomi nella sua intimità. Ancora oggi non metabolizzo del tutto l’incanto di quel momento, occorre tempo e ammetto di riguardare quelle foto ogni giorno.

Gli orsi mi hanno permesso di entrare nel loro mondo, ancora una volta è istintivo un senso di profonda gratitudine che provo verso una natura in grado di trasmettere sensazioni impagabili. Una grande armonia e una profonda serenità mi accompagnano nella notte che segue, lasciando al sonno tutte le emozioni che l’accoglienza di mamma orsa ha saputo darmi.

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