Carie

L’idea di andare a scalare nelle cave di marmo di Carrara è stata covata a lungo da Marzio Nardi, prima di riuscire a realizzarla nel 2019. Prima c’erano stati viaggi preparatori, lunghi giri di telefonate e ripensamenti. Era davvero possibile attuare quella trovata bizzarra? Andare a documentare un luogo ormai in antitesi con le bellezze naturali per ritrovarvi il “bello” attraverso la disciplina dell’arrampicata. Ciò che muoveva la curiosità all’inizio era l’estetica, unica al mondo, di questi luoghi.

Dopo la prima giornata passata in quelle voragini bianche si sono resi conto che la situazione era ben più complessa di quello che pensavano. Quelle linee perpendicolari erano custodi di una quantità infinita di paradossi, a partire dal loro impatto visivo: come faceva qualcosa di così bello ad essere nato in seguito a una distruzione sistematica di una montagna?

Stavano arrampicando con i friend per non lasciare traccia del loro passaggio, grazie a fessure create dalla mano dell’uomo, per una materia il cui sfruttamento ne richiede la distruzione. Più giorni passavano lì, e più dovevano fare i conti con i controsensi. Così hanno incominciato a fare domande a chi, lì, ci vive, minatori, geologi, ambientalisti. E’ a loro che si sono aggiunti. Ogni individuo concepisce le cave delle Apuane secondo un punto di vista direttamente collegato alla sua attività. A collegarli tutti c’è il fascino con cui il marmo, elemento apparentemente privo di vita, cattura le loro menti.

Quindi, in corso d’opera, Marzio Nardi, Achille Mauri e Federico Ravassard non si sono limitati alle fotografie e alle riprese video, perché sono rimasti affascinati dalla possibilità di dare voce a un territorio e a una comunità. Affascinati da come là si mescolino montagna, verticalità e ostinazione, a rappresentare l’anima sofferente di questi luoghi; e da come il bianco e il nero, l’uomo e la natura, la fatica e il gioco si fondano nel labirinto di linee ortogonali create in più di duemila anni.

Le Alpi Apuane ospitano il più grande bacino marmifero al mondo, celebre per la qualità del marmo bianco di Carrara. Gli ultimi decenni di cavatura sempre più tecnologica e intensa hanno provocato uno stravolgimento totale del territorio, dal fondo dei valloni ripieni di detrito instabile fino alle cime cancellate e ai valichi irriconoscibili, dalle pareti rocciose fino ai labirinti sotterranei e alle falde acquifere. L’arrampicata è stato il tramite con il quale sono entrati in contatto con questa realtà.
Era una sensazione difficile da raccontare. Si vedeva la meraviglia dell’interno della montagna, ma in realtà quello era il vuoto che si faceva strada, come nella Storia infinita il nulla che avanza non lasciandosi nulla dietro (Eros Tetti)”.
Per sua stessa natura, l’arrampicata è una pratica libera, indipendente e rispettosa dell’ambiente. Qualcuno può pensare che arrampicare in cava giustifichi in qualche modo il proseguimento dell’attività estrattiva. Per essere davvero indipendenti e per non contribuire alla scomparsa di quelle montagne, è doveroso scalare solo nelle cave chiuse.

Carie non è un inchiesta, non è una denuncia, né una presa di posizione: è uno sguardo su quel mondo da parte di un gruppo di arrampicatori incuriositi dalla bellezza, dalla storia e dalle contraddizioni di quei luoghi apuani.

Carie, progetto realizzato da @federico_ravassard @achillemauri.eu @marzionardi68 è coerente con Sherpa, proprio per il motto che contraddistingue la nostra informazione: Alta quota di verità. Al fondo di questo articolo potete trovare una galleria di 24 foto del tutto inedite.

Un team low budget
di Marzio Nardi
È circa l’una di notte e dopo qualche iniziale frizione con gli ingranaggi che fanno girare il Milano Montagna, ci troviamo ad armeggiare con i tubi innocenti e i morsetti che sorreggono le foto di Federico che ampliano la visione delle cave ad integrazione del documentario Carie. Sì, perché Carie è “una roba cross-mediale”, e qui a Milano questa definizione è piaciuta sin da subito, tant’è che ci hanno preso dentro senza saper di cosa esattamente si trattasse: questione di abito.

Ah, noi siamo il team low budget. Abbiamo grandi idee, pochi mezzi a disposizione e amici disponibili che si fanno incantare dalle parole. Siamo in tre, saremmo dovuti essere in quattro ma uno ha pensato di togliersi dal progetto prima del tempo – leggasi R.I.P Adriano Trombetta, sei comunque stato sempre con noi.

Quando carichiamo l’ultimo morsetto sul furgone di Federico, sono le due di notte e ancora una volta salgo su un mezzo che mi porterà a casa come tutte le altre volte da sei mesi a questa parte.

Vogliamo diventare il simbolo di una riconversione economica, un riscatto che possa essere da monito e da esempio per il resto del mondo (Eros Tetti)”.
Davanti a tutto questo, l’estetica non basta: ti viene voglia di capirne le sue ragioni, le sue origini. Era fondamentale ascoltare le persone che gravitano attorno a questo mondo, a questa materia, il marmo, che da risorsa è degenerata in dipendenza (Marzio Nardi)”.
La riqualificazione dei siti estrattivi nelle Alpi Apuane è fattibile, ma questo implica dei costi per la loro messa in sicurezza: servono escavatori, camion, personale specializzato come i tecchiaioli. Il reperimento dei fondi è quindi una delle difficoltà principali. Non lo sono invece le idee sul riutilizzo delle cave, che possono essere molteplici (Chiara Taponecco)”.

Ad aprile 2019 io, Federico, Achille e Roberto Gianocca (AKA: Tuono blu, il dronista) ci eravamo ritrovati nel mezzo della grande alluvione primaverile per lo shooting del catalogo estivo Rockslave. Con noi quattro coraggiosi componenti del Team: Luca Andreozzi (il Biondo), Lorenzo Carasio (il Ciuffo) Luca Bana (il Silenzioso) e Francesca Medici (biceps Princess). Senza scendere troppo nei dettagli dopo quattro giorni di slalom tra i temporali, il rischio d’arresto per violazione di proprietà privata e una bella cena finale, eravamo riusciti a raccogliere del materiale sufficiente allo scopo, tant’è che le ultime 4 ore riuscimmo a passarle in spiaggia alle prese con una mareggiata e tre tavole da surf, di sicuro più rilassante dell’arrampicata fatta fino a quel momento. I movimenti rudi, gli incastri dolorosi e le dülfer infinite rispecchiano perfettamente le geometrie del marmo, la natura ormai soggiogata da millenni di scavi ed esplosioni sembrava volesse prendersi una rivincita su di noi attraverso il sudore e i muscoli doloranti. Forse fu proprio nel momento dell’uscita dall’acqua, rivolgendo ancora lo sguardo alla distesa bianca delle Apuane, che da là sopra sovrastavano tutto, capimmo che quella storia non poteva finire lì e che c’erano troppe cose che dovevano ancora venire a galla.

L’arrampicata esiste là dove la si vuole vedere. E’ una cosa che ha a che fare con la nostra apertura mentale, con il numero di prospettive diverse con le quali siamo disposti a osservare una scena, fino a ribaltarne il significato. Fino a far diventare bello ciò che era brutto e a dargli una nuova vita (Marzio Nardi)”.
Carrara, studio d’arte

Poche settimane dopo eravamo nuovamente a Carrara, tra quelle valli aspre, quella geometria ridondante e quegli enormi buchi, per raccogliere delle storie che solo lì esistono e cercare un senso da dare a quell’estetica così contrastante col degrado che la circonda.

Incontrammo quindi Chiara Taponecco, la geologa dai modi gentili e l’atteggiamento severo. Ci spiegò il suo amore per quei luoghi che cozzava duramente col suo contributo alla distruzione. Ma in questo suo legame con le Apuane lei immaginava un’alternativa, una futura possibilità di riscatto di quei luoghi e di progressiva riduzione dell’attività estrattiva. Al suo fianco sedeva invece Roberto Bombarda, il tecchiaiolo. Alto e spesso come un martinetto idraulico, dall’età di quindici anni si riempiva le narici di polvere e a pochi mesi dalla pensione non aveva mai visto alternative per quelle montagne, ma soprattutto per la sua vita oltre a quella di un’intera generazione e società che dal marmo è diventata dipendente.

Questo è il marmo che va in tutto il mondo… se tu chiudi le cave di Carrara, cosa vai a chiudere?” ci dice mentre lo intervistiamo nel rumore assordante dei mezzi meccanici al lavoro.

Chiara Taponecco
Carie è stato il nostro modo per dimostrare che l’idea di un luogo – o forse della realtà stessa – è strettamente vincolata a come noi interagiamo con esso, senza fermarci davanti alle apparenze. Ci siamo stupiti a scoprire l’amore che tutti, cavatori compresi, nutrono per queste montagne. Abbiamo capito quanto l’uomo possa diventare dipendente da se stesso e dai suoi bisogni, fino a esitare contro chi puntare il dito. Ma abbiamo anche realizzato come un ripristino sia possibile se ci si adatta in modo “liquido”, come l’arrampicatore fa con le linee della roccia. Abbiamo cercato di analizzare le sfumature che stanno tra il bianco e il nero, tra poli che solo apparentemente sono opposti, perché se visti da lontano fanno parte dello stesso pianeta. Di fronte a un passato devastante, il futuro deve essere nella collaborazione tra forze che fino ad ora si sono contrastate. Abbiamo inseguito le nostre fantasie di arrampicatori, cioè di gente che capisce meglio il mondo attorno a sé quando lo può toccare attraverso la pelle delle dita, e abbiamo cercato di restituire una dignità a quella natura ferita dalla mano dell’uomo (Marzio Nardi)”.

Poco più a nord del bacino estrattifero da noi utilizzato per le riprese sorge Colonnata: l’ultima linea di resistenza all’avanzamento del fronte delle cave. Visto dal drone di Tuono Blu appare come un piccolo cuore verde in mezzo al bianco abbagliante. Quando lo visitammo nel mese di agosto ci pareva di essere a Dubai. In una cava pochi chilometri a valle era stata allestito in mezzo a enormi cubi di marmo un DJ set come mai avevo visto, i camper e le auto parcheggiate a bordo strada riflettevano le luci di una festa gigantesca. Viste le condizioni in cui versavamo, preferimmo una più rustica sagra del lardo con karaoke annesso e balli di gruppo in cui potemmo esprimere al massimo le nostre doti canore ed espressione corporea.

A Colonnata ci tornammo mesi dopo quando ormai l’allegria dell’estate era andata a chiudersi in cava o dentro a un camion che trasporta tonnellate di materia bianca. La pioggia e la nebbia portata dal mare avevano spazzato via l’illusione della spensieratezza estiva, come il trucco slavato dopo una festa. L’atmosfera era decisamente diversa e i pochi bambini che incontravamo per strada sembrava che volessero scappare da quella che è una provincia posizionata nella seconda metà della classifica sulla qualità della vita. L’incontro con Fausto Guadagni ci fece capire quali veramente erano i colori di quei luoghi e di come la tristezza potesse essere in parte alleviata soltanto da un bicchiere di vino e qualche fetta di lardo. Il lardo di Colonnata è uno dei prodotti enogastronomici più conosciuti all’estero e tra queste poche case arroccate sul pendio ci sono decine di produttori che tentano di fuggire da quell’economia selvaggia e monocolore che gli sta mangiando la vita e la terra sotto i piedi.

Roberto Bombarda
Eros Tetti

Questa è apparentemente una delle alternative a quel mondo che Eros Tetti, fondatore del movimento Salviamo le Apuane, vede come nuova forma di sostentamento.
Eros ha le spalle grandi e uno sguardo di ghiaccio che riflette e contiene tutto il mondo che lo circonda. È un ecologista duro e puro. A noi che continuavamo a restare affascinati da quei profili vertiginosi e quell’estetica tremenda, diceva che l’unica cava bella è la cava chiusa. Tutto quello che c’è attorno non ha più senso di esistere, la possibilità di riscatto c’è e bisogna guardare la natura con occhi diversi: nei fatti, si tratterebbe di portare la manovalanza delle cave sui monti a coltivare la terra e prendersi cura dei campi; o a far pascolare le capre tra i ciuffi d’erba sopravvissuti alle draghe.

Sì, perché se le buone intenzioni ci sono, quello che manca è l’infrastruttura che le potrebbe supportare. I turisti, oggi, per raggiungere Colonnata devono inerpicarsi su strade malconce, spesso a senso alternato, con l’asfalto distrutto dai camion carichi che scendono dalle cave. Eppure uno sforzo andrebbe fatto, se non altro per non ridurre quei paesi a villaggi fantasma.

Lorenzo Carasio
Luca Bana
Francesca Medici

Perché questa è ormai la natura che resta, questo è quell’universo bianco che vi appare sul tratto di autostrada tra La Spezia e Forte dei Marmi, che mai e poi mai un arrampicatore potrebbe immaginare come meta alternativa al Procinto o più semplicemente a Candalla. Tranne noi, il team low-budget, che proprio su quei monti ha riscoperto il potere creativo dell’arrampicata e la sua capacità di dare un senso alle cose più brutte, aprire porte su luoghi dimenticati e portare lo sguardo oltre al muro dell’indifferenza che spesso ci sbarra la strada. Abbiamo dato un valore positivo a una cicatrice, almeno nel nostro intimo, e abbiamo capito di cosa è capace l’uomo, capace di andare contro il suo stesso habitat per avidità. Se non avessimo toccato con mano quella pietra conosciuta da secoli, se non avessimo scalato quelle linee che non esistono altrove, camminato tra i rottami e parlato con quella gente, probabilmente per noi le Apuane sarebbero state solo una chiazza bianca tra il verde che via via sta scomparendo.

Una volta si cominciava così, da ragazzini, perché le cave si trovavano vicino ai paesi dell’entroterra. Gli adulti te lo chiedevano in dialetto, e il giorno dopo eri lì, a presentare il libretto al capo dei cavatori, e iniziavi a lavorare senza nemmeno una visita medica. Nella mia famiglia si fa così da tre generazioni (Roberto Bombarda)”.
Luca Bana e Francesca Medici

Intervista ai protagonisti
a cura di Denis Piccolo
(pubblicato su The Pill il 14 febbraio 2020)

Il progetto
Marzio: Carie è un buco frutto di un tarlo che risponde al nome di “arrampicata”.
Carie è quello che resta del processo di degenerazione di un tessuto, in questo caso di un luogo.
In questi due concetti è sintetizzato questo progetto, che affonda le sue radici nell’immenso serbatoio d’ispirazione che è l’arrampicata. Il suo scopo è quello di osservare un luogo apparentemente lontano e in antitesi con le bellezze naturali e trovare il “bello” attraverso l’arrampicata. E’ stata utilizzata questa disciplina come mezzo di interpretazione di questi spazi.
Carie non è un’inchiesta, non è una denuncia, né una presa di posizione bensì uno sguardo su quel mondo da parte di un gruppo di arrampicatori attratti dall’estetica che questi luoghi posseggono, dalla loro storia e dalle loro contraddizioni.

Lorenzo Carasio
Achille Mauri, Roberto Gianocca e Marzio Nardi

Come è iniziato?
Achille: Carie nasce in contemporanea a uno shooting fotografico Ferrino – Rockslave, organizzato da Marzio assieme a me e Federico presso le cave di marmo di Carrara.
Un progetto che parte dall’arrampicata e si estende al rapporto con un territorio ferito, come quello delle Alpi Apuane, montagne non più montagne perché distrutte dall’attività estrattiva.
Da qui nasce l’idea di Marzio, Achille e Federico: non limitarsi a fare fotografie, ma dare voce a un territorio, una comunità. Soprattutto studiare quel rapporto tra montagna, verticalità e ostinazione, quando questi rappresentano l’anima di questi luoghi, riportandoci in qualche modo all’anima dell’arrampicata. Ed è così che spazi dimenticati diventano teatro per nuovi gesti che seguono la linearità delle forme tra fessure e tagli di cava, tutto ciò che ci circonda è lontano da ogni concetto di montagna e l’arrampicata si manifesta come unico mezzo per restituirgli la sua dignità e fascino.

Luca Bana
Luca Andreozzi

Qual è il concept?
Marzio: È un progetto che nasce tanti anni fa da una mia ossessione, ovvero quella di dare vita a questi spazi in cui regna il vuoto e spesso l’abbandono. Sono fette di paesaggio che l’uomo ha sfruttato e poi abbandonato che per me conservano un forte potere attrattivo. Per questi luoghi, che altro non sono che delle ferite nella montagna, l’arrampicata può essere la cura. Il magnete che attira la creatività. Abbiamo interpretato le linee senza scavare appigli ma arrampicando su gli quelli già esistenti che l’uomo aveva scavato per altri fini. Questo è stato il modo in cui ci siamo messi in gioco. Adattandoci a quello spazio senza alterarlo ma utilizzando i mezzi che l’arrampicata ci consente: corde, moschettoni, chiodi e friend. Ci tengo a ricordare che questo è un progetto che avrei voluto portare a termine anche con Adriano Trombetta, con il quale l’avevo immaginato. Purtroppo la Montagna se l’è preso con sé prima.

Lorenzo Carasio
Come gli scultori trasformano dei blocchi grezzi di marmo in opere d’arte, per me scalare nelle cave è stata un’esperienza molto simile. Salire una parete dimenticata da tutti, apparentemente inutile e sgradevole, e darle così un senso… e, perché no, creando dell’arte a mia volta (Lorenzo Carasio)”.

Chi c’è dietro Carie?
Marzio: arrampicatore da 35 anni, sono stato uno dei primi campioni italiani di arrampicata sportiva, ma molto presto ho abbandonato le competizioni per inseguire con l’arrampicata la creatività: cercare luoghi da chiodare, tracciare gare, scolpire appigli, filmare. Raccontare l’arrampicata e come essa si manifesta nelle sue più svariate forme. Nel 1997, con il Bside, ho creato una delle prime sale d’arrampicata in Italia.

Achille: nato a Lecco non troppo tempo fa. Vado in montagna da quando sono piccolo grazie a una solida tradizione di famiglia, e attraverso il mio lavoro di videomaker/fotografo cerco di analizzare il rapporto tra uomo e ambiente in tutte le sue forme. Carie è stato per me un’unione tra etica, estetica ed “atletica”.

Federico: 25 anni, torinese. Ai miei nonni ho detto che faccio il fotografo, ma nella pratica la fotografia è solo uno dei mezzi con cui cerco di raccontare qualcosa. Per il momento lavoro principalmente nel mondo degli sport outdoor, anche se da grande non ho ancora capito bene cosa vorrei fare.

Siete tutti e tre climber, quale espressione di climbing vi piace e quale no?
Marzio: quello che più mi piace è la sua mancanza di confini. La possibilità di rimescolare le carte e fare una cosa nuova o almeno diversa da quella fatta la volta prima. La possibilità di portare questo gesto ovunque dando in significato nuovo alle cose. Non sopporto il rischio di stereotipare le cose cui sta andando incontro anche l’arrampicata, e poi non sopporto più le scarpe strette.

Marzio Nardi
Quello spigolo è stato creato dalla mano dell’uomo, ma le fessure che lo incidono su entrambi i lati sono naturali. La mia folgorazione per quella linea è nata proprio perché per me quello è l’anello mancante fra due mondi (Luca Bana)”.

Achille: non ho particolare predisposizione nei confronti di uno stile di arrampicata. Amo l’ambiente in cui essa viene praticata e aver la possibilità di cambiarlo è una fortuna. Di certo le cave hanno aperto in me una quarta dimensione, nel bene e nel male.

Federico: personalmente mi piace variare il più possibile: falesia sportiva, trad, grandi vie alpinistiche e palestra quando sono in città. Non ho particolari preferenze, al massimo ciò che fa la differenza è il periodo dell’anno. Un aspetto dell’arrampicata che non mi fa impazzire è, purtroppo, l’impoverimento “culturale” degli ultimi anni dell’arrampicata indoor, un mondo che ha iniziato a essere frequentato da persone che hanno più a che fare con il crossfit e non sembrano particolarmente interessate alla roccia.

Filmando questo progetto cosa vi siete trovati di fronte?
Achille: innanzitutto ci sono stati due generi di approcci filmici a questo lavoro:
– uno prettamente “sportivo”, focalizzato sul gesto atletico dei climber e della loro armonica interpretazione delle linee. La scelta del tiro era estremamente determinata dalla bellezza estetica e da come essa risultava attraverso l’obiettivo. A quel punto si innescava una sorta di silenziosa complicità tra noi e gli scalatori, interrotta solo da: “Buono o rifacciamo?” “Rifacciamo…”. Il nostro tempo speso in parete è stato equivalente al loro, escluse quelle volte che Tuono Blu (nick name di Roberto Gianocca, il Dronista) volava libero per i cieli toscani;

– il secondo approccio del documentario, invece, è stato molto più documentaristico. Le persone che abbiamo coinvolto e quindi ascoltato sono state scelte unicamente da noi, attraverso una naturale selezione. Siamo stati curiosi fin dall’inizio, a mio parere non troppo onniscienti, ma questo spetta al pubblico dirlo.

Achille Mauri
Marzio Nardi

Con quanta forza uno sport come il climbing può denunciare delle forti tematiche ambientali?
Federico: rispetto ad altre discipline, l’arrampicata ha il doppio vantaggio di essere intrinsecamente legata al territorio e di essere facilmente comprensibile a un pubblico di non addetti ai lavori se raccontata nella chiave giusta, che di sicuro non è quella della performance sportiva: e questo l’ha dimostrato il successo trasversale di Free Solo. L’idea di Carie è quella di utilizzare l’arrampicata come specchietto per le allodole, attrarre il pubblico attraverso le scene di azione per poi trattare argomenti più seri, ad esempio quello della cavatura. Il pubblico outdoor è di base molto attento alle tematiche ambientali, bisogna solo trovare il modo di catturare la sua attenzione e in questo lo sport si presta molto bene, una sorta di infotainment.

Quanto e in che modo lo sport, soprattutto quello outdoor, può influire e aiutare il pianeta? E quanto permette di sensibilizzare le persone che non hanno ancora affrontato il tema?
Federico: storicamente lo sport ha già dimostrato di poter essere in grado di influenzare politica e società, basti pensare al gesto di Tommie Smith e John Carlos alle Olimpiadi di Messico ’68 o, più recentemente, alle influenze di Putin nel sistema olimpico russo o la vicenda di Colin Kaepernick. È un linguaggio globale, che si presta bene a una diffusione attraverso un pubblico trasversale. Nel caso degli sport outdoor, poi, il messaggio viene rafforzato grazie alla spettacolarizzazione dell’ambiente in cui si svolge la pratica.

Achille Mauri

Da un po’ di tempo sembra che tutte le aziende siano preoccupate delle problematiche ambientali, realtà o marketing?Federico: sicuramente per alcune aziende il green è un trend orientato ad ottenere benefici in termini di fatturato, così come lo era stata un paio di anni fa una certa attenzione al pubblico femminile. Allo stesso tempo, però si è venuta a creare una consapevolezza collettiva tale da fare in modo che i brand, per essere apprezzati, debbano assolutamente rispondere a certi requisiti di sostenibilità ambientale. Lo stesso vale per i consumatori, che ora orientano i loro acquisti in modo più mirato, quindi ben venga. Certo, poi questa filosofia andrebbe applicata anche al di fuori del mondo dell’outdoor, che di per sé è veramente una formica.

Galleria 24 foto inedite
di Federico Ravassard

Colonnata
Colonnata
Fausto Guadagni
Fausto Guadagni
Chiara Taponecco
Lorenzo Carasio
Achille Mauri e Marzio Nardi
Marzio Nardi

 

Ho pensato che l’arrampicata potesse ridare una dignità a queste montagne ferite (Marzio Nardi)”.

Federico Ravassard, Marzio Nardi, Achille Mauri e Luca Andreozzi
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