Trentacinque anni dopo Gian Carlo Grassi, Renzo Luzi e Mauro Rossi, ecco che Yann Borgnet e Charles Dubouloz sono riusciti nella prima ripetizione della loro Direttissima sul versante sud-sud-est delle Grandes Jorasses. E in inverno per di più! Yann Borgnet racconta.
Direttisima Grassi: 1a invernale alle Grandes Jorasses
di Yann Borgnet
(pubblicato su montagnes-magazine.com il 24 gennaio 2020)
I progetti più belli sono sicuramente quelli che maturano in molto tempo. Già nel 2012 vidi questa linea affascinante. Dalla Val Ferret, si sale con lo sguardo il caotico ghiacciaio di Pra-Sec, quindi si segue uno scivolo ghiacciato quasi diretto alla cima della Punta Walker.
Questo percorso, chiamato Gianni Comino Memorial Route, ma anche Phantom Direct, è stato aperto nel giugno 1985 da Grassi, Luzi e Rossi, e finora non era mai stato ripetuto integralmente.
“Questa è una via che non sarà ripetuta tanto presto! (Gian Carlo Grassi)»
Il progetto iniziale della cordata guidata da Grassi era diverso. Volevano aprire la linea incassata che termina a sinistra della grande torre caratteristica della cresta di Tronchey. Dopo cinque volte in cui giudicano che l’itinerario non è in condizioni, alla fine partono il 19 giugno 1985 con questo progetto. Ma dopo le prime lunghezze, le condizioni li convincono a divergere. Attraversano un’impressionante cengia disegnata nel mezzo di lastre compatte per raggiungere l’ovvia linea di goulotte che scende come un filo a piombo dalla cima delle Jorasses. Al suo ritorno, Gian Carlo Grassi dichiarò: “Questa è una via che non sarà ripetuta tanto presto!“.
Venticinque anni dopo, il 22 maggio 2010, la guida e professore dell’ENSA Michel Coranotte, assieme agli italiani Marco Appino, Sergio De Leo e Marcello Sanguineti realizzeranno il sogno iniziale di Grassi, aprendo Plein Sud. E trentacinque anni dopo l’apertura, siamo noia a ripetere questa Direttissima Grassi in inverno (i vari nomi, Gianni Comino Memorial Route e Phantom Direct alla fine sono soppiantati da quello di Direttissima Grassi, in onore al grande capocordata scomparso, NdR). Con i suoi 1400 m di dislivello, è considerata la via glaciale più lunga del massiccio del Monte Bianco.
Goulotte che di solito sono in buone condizioni in primavera o in autunno ora lo sono a gennaio
Le stagioni sono collegate senza mai essere uguali. Sono sempre meno prevedibili. E questo inverno conferma la tendenza. Goulotte che di solito sono in condizioni in primavera o in autunno, ora lo sono nel cuore di questo mese di gennaio 2020. Beyond all’Aiguille des Pélerins, la Modica-Noury e il Supercouloir al Tacul hanno visto molte ripetizioni nelle ultime settimane. Un effetto dovuto ai social media. E questo mi ha messo la pulce nell’orecchio.
Tuttavia, quando sono arrivato a Planpincieux domenica scorsa per verificare le condizioni, inizialmente ero disilluso. La parete sembrava del tutto asciutta. Però, osservandola da diverse angolazioni, scoprii che la linea sembrava essere continua. Più mi inoltravo nella Val Ferret, più la linea veniva rivelata e il mio giubilo cresceva. Un piccolo messaggio con una foto a Charles: “Per me ci siamo! E’ bellissima!”. In dubbio la mattina, ora non ci potevo credere!
Charles è un amico d’infanzia. Grazie a un comune amico, il compianto Stéphane Brosse, e grazie allo scialpinismo, ci siamo conosciuti più di dieci anni fa. Dopo alcune grandi salite sulle Dolomiti nel 2017, era già un po’ di tempo che non ci legavamo più assieme. Però avevamo voglia di vivere assieme una grande avventura. La sua salita della parete nord dell’Eiger la settimana prima, in inverno e in giornata, confermava la motivazione del ragazzo!
“Ma che figata questo approccio!”
La nostra cordata funziona meravigliosamente. Tutto, dai preparativi per la salita alla gestione delle grandi prove si svolge con fluidità e senza intoppi. Ci troviamo alle 2 di questo martedì mattina 21 gennaio 2020 ad Annecy. Direzione val Ferret. Il cruscotto legge -5°. È da un po’ di tempo che qui non fa così freddo, ma adesso l’inverno sembra esserci davvero. A Planpincieux, al capolinea della strada, questa volta il contatore indica -12°. Dobbiamo metterci rapidamente in moto per non congelare sul posto! Lasciamo l’auto intorno alle 4 del mattino, sperando di arrivare alla base della parete all’alba.
Ma che figata di approccio! Sono le 9.30 del mattino quando finalmente arriviamo all’attacco della goulotte. E’ da un po’ che c’è luce e dovremmo essere molto più in alto in parete. Peccato, ma prenderemo le decisioni di momento in momento. Partendo in modalità “veloce e leggero” nel bel mezzo dell’inverno, sappiamo che l’impresa richiede un certo impegno. E sappiamo in particolare che, d’ora in poi, i soli punti di appoggio sono il bivacco Canzio al Col des Jorasses e il rifugio Boccalatte situato alla fine della discesa della via normale. Fino a quel momento, e non importa quanto tempo impieghiamo, non possiamo fermarci, con il rischio di non poter più ripartire.
Vento, spindrift e oscurità
La prima sezione è incredibilmente bella. Lo strapiombo della crepaccia terminale dà il tono. Seguono una bella lunghezza su placca, una di misto e due risalti quasi verticali. Il sole, molto apprezzabile, si nasconde presto dietro a uno spesso velo di nuvole. Non abbiamo davvero scelto il giorno migliore di questo lungo anticiclone invernale!
Dopo queste poche lunghezze tecniche, arriviamo al famoso bivio. La cengia, fortemente inclinata, è incastonata nel mezzo di grandi placche. Tecnicamente facile, questo passaggio è del tutto inquietante! Dà accesso a una linea di goulotte dritta e continua. A volte di conserva, a volte facendo tiri, avanziamo su questa parete che ci sembra, mentre progrediamo, interminabile! E più in alto andiamo, più forte diventa il vento. Sapevamo che il tempo non era il migliore, con 20-25 km/h di previsione di vento da sud-est. Ma è invece un buon 40 km/h che frulla le nostre narici e ci cosparge di spiacevoli docce ghiaciate.
E per aggravare ancora una situazione paradossalmente divertente, la notte arriva molto più velocemente del previsto. Dopo aver lottato al buio per fare un salto verticale, sono felice di vedere Charles prendere il comando per un’altra lunghezza del genere. Sbuffando come un cavallo, lo vedo fare corpo a corpo contro la gravità, a volte contro gli spindrfti, il più spesso contro entrambi insieme, per superare il passaggio. Nel frattempo, la frequenza dei miei sbadigli mi impedisce di chiudere la bocca anche solo per un momento. Comincio a non poterne più, ma sono anche consapevole che il peggio doveva ancora arrivare…
12 ore per Grassi, Luzi e Rossi, 10 ore per Borgnet-Dubouloz
Adesso è buio. Con il vento e la neve che volano, è difficile guardare in alto e scegliere l’opzione migliore. Sono andato a tentoni, improvvisando metro dopo metro, su per una linea di salita che spesso mi metteva a contatto con neve del tutto incoerente. Supero un breve passaggio di misto con non so quale energia, perché il vento mi sta sfinendo. Ora posso percepire la linea di cresta, ma l’accedervi ci è impedito da alcune rocce.
Non ci penso più, vado avanti. Eccomi lì, appiattito, tremolante per il vento. Avanzo nella direzione opposta, pianto un chiodo da ghiaccio e aspetto impazientemente l’alone della frontale di Charles. Ecco fatto, eccoci qui. Sono le 19.40. Grassi & soci ci hanno messo dodici ore, da mezzanotte a mezzogiorno (e in cordata da tre, aggiungiamo noi, NdR). Noi solo due orette in meno… un bell’andare quel Grassi!
Ora rimane la parte più bestiale dell’avventura, la discesa. Epica, lo sarà. Dopo un bell’incastro di corda doppia nella prima parte della discesa, succede che faccio una bella cazzata. A forza di scendere meccanicamente, ci troviamo alla stessa altitudine del rifugio Boccalatte, ma separati da esso da uno sperone indicato come insuperabile sulla mappa. Non riesco nemmeno più a seguire il mio GPS, la situazione è davvero seria! Quando ormai eravamo fuori da tutte le difficoltà della discesa, e proprio quando stavamo per toccare con un dito il rifugio, ecco che dobbiamo risalire un centinaio di metri su neve instabile.
“Non ho nemmeno più la forza di arrabbiarmi”
Ci fermiamo per un attimo nella neve per prendere una decisione. Risalire o scendere? Alla fine ritorniamo in alto, anche se ci costa: è più saggio. Mi biasimo, ma non ho nemmeno la forza di arrabbiarmi. Charles, da parte sua, ha una calma così olimpica che mi sorprende. Mi impressiona, anche. Determinato, lo vedo andare avanti, su per una ripida lingua di neve che sale lo sperone. “Charles, non facciamo cazzate… è meglio fare il giro”. Troppo tardi, ormai è là, in lotta solitaria con un passaggio esposto e su neve incoerente. Mi faccio gettare la corda, perché io non ho più la forza Gli chiedo la corda, non avendo più la forza di impegnarmi a questo modo. Sono le 4 del mattino quando camminiamo sul tetto innevato del rifugio.
Ma stanotte (o stamattina?) non ci è risparmiato nulla. Arrivare al rifugio non significa la fine dei nostri problemi: la porta della sala invernale è sepolta sotto 1 metro di neve. Le nostre piccozze saranno anche molto tecniche, ma non possono competere con una buona pala da neve, che ovviamente non abbiamo!
Un quarto di toma e due salsicce
Siamo “liofilizzati”. Per fortuna l’aver messo nei nostri sacchi un piccolo fornelletto JetBoil è stata la più gran bella idea dei nostri preparativi. Mentre la neve si scioglie, divoriamo tutto ciò che abbiamo ancora di commestibile. Data la frugalità della giornata, stanotte è la “grande abbuffata”. Diciamo, almeno, la “grande bouffe” di montagna: un quarto di toma (dei Bauges) e due salsicce. Per quanto riguarda i piatti liofilizzati, tra l’altro scaduti dal 2017, l’odore che emanano difficilmente ci ispira. Non abbiamo fatto tutto questo cammino venendo da così lontano per arrischiare proprio ora…
L’unica attività senza rischi è il sonno e, dopo una giornata così intensa, bastano pochi secondi per dormire come si deve!
Poche ore dopo, non rimaneva che approfittare dei piccoli piaceri della cucina valdostana e goderseli. Sembra che gli gnocchi alla fonduta di Proment siano famosi…