Le montagne sono tutte sacre

Le montagne sono tutte sacre
di Wolfango Sbodio, docente di Diritto-Economia, alpinista, canoista su torrenti, sciatore-alpinista.

Firmo con piacere questa sollecitazione che invita a creare una zona chiusa agli umani anche in alta montagna, sollevando però alcune osservazioni:

1) Ritengo importante l’individuazione di aree che siano precluse al turismo e alla frequentazione anche sporadica, ma non solo in montagna. Contemporaneamente l’iniziativa si dovrebbe allargare a siti marittimi e insulari (di isole chiuse già ne esistono, di coste frequentate mi pare meno) e soprattutto a zone di pianura, che sono ben più frequentate e ben più martoriate che la montagna;

2) Fondamentale e prioritario ritengo debba esserci l’appoggio di enti comunali e regionali per segnalare in loco l’iniziativa con tabelloni e informativa varia, quindi non solo su internet dove la realtà e le dichiarazioni svaporano in dimensioni impalpabili;

In contemplazione del Monveso di Forza e della luna. Foto: Toni Farina.

3) Ritengo che contemporaneamente debbano essere dichiarati i criteri con i quali si è individuato un determinato sito e, a mio parere, ne evidenzierei tre:
A) La salvaguardia della natura, cioè flora, fauna a rischio di estinzione o da proteggere e la natura mineralogica del terreno di particolare interesse;
B) La bellezza del luogo (carattere soggettivo, che però può essere individuato per approssimazione);
C) La notorietà del sito: cioè conosciuto e frequentato da un gran numero di esseri umani.

Senza la presenza dichiarata di questi tre criteri trovo sia inutile un’iniziativa del genere. Cioè interdire una località priva di interesse, che nessuno conosce, dove nessuno si sognerebbe di andare non capisco cosa voglia rappresentare, se non interdire tanto per mettere l’etichetta.
Ora il Monveso di Forzo non solo è sconosciuto alla maggior parte degli umani, ma anche alla maggior parte degli alpinisti. Dal 1999 ad oggi è stato salito una decina di volte (dati del sito Gulliver dove si usa segnalare le salite); non tutti segnalano, per cui possiamo approssimativamente triplicare la frequenza, comunque bassissima. Senza punti d’appoggio validi (a parte il bivacco Davito allungando il percorso) sono 2144 m di dislivello in salita e altrettanti in discesa, gran parte su pietraia. E’ pericoloso: per la via normale bisogna risalire un canalone con rischio di frane. Per me, malato di montagna, firmare questo appello, che mi vieta una salita così poco appetibile, mi dà un gran senso di liberazione e di tranquillità. A meno che si ipotizzi (fantanaturalismo) di pubblicizzare una cima sconosciuta per renderla nota e quindi solleticare la curiosità di alpinisti seriali con conseguenze prevedibili e contrarie. Molto più significativo sarebbe stato (senza toccare vette come il Gran Paradiso) indicare i Becchi della Tribolazione o la Torre del Gran S. Pietro. La quasi totalità degli alpinisti è ben disponibile a rispettare le zone chiuse. A Finale Ligure (mecca degli scalatori di tutta Europa) ci sono zone precluse alle scalate (con presenza di cartelli esplicativi) che sono rispettate da tutti. Basta individuare i siti e segnalarli. Ben diverso sarebbe promuovere operazioni di questo tipo in pianura o su spiagge frequentate da turisti della domenica; e ben lo sappiamo. Resta il fatto che individuare una vetta da dichiarare irraggiungibile esalta l’importanza di raggiungere le vette e che questa pratica produce “vita felice” e divulga un alto senso civico.

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