(presentazione di Adamo e l’Unicorno, di Antonio Bernard, Europa Edizioni, Roma 2023)
di Alessandro Gogna
Di sette racconti in 128 pagine è composto il volumetto specchio della seconda vita di Antonio Bernard, quella dedicata alla scrittura. E, a giudicare dalla qualità di questo libro, c’è da pensare che l’Autore vi abbia trasferito tutta la competenza e la passione che avevano dominato la sua prima vita, quella spesa in montagna quando non insegnava letteratura inglese.
Il bugiardino recita che questi racconti sono “incentrati sulla condizione dell’uomo contemporaneo nella società globalizzata”, “dove il confine tra realtà e fantasia è estremamente labile, con personaggi intriganti e situazioni surreali”.
Niente di più vero, ma forse insufficiente a descrivere il fascino che emana dalla loro lettura.
L’andamento è quello onirico: si parte sempre da una situazione di vita normale dei vari protagonisti, da un episodio o da un progetto, per arrivare a una serie di eventi la cui logica non corrisponde ai programmi e al volere dei vari “io” che raccontano, dove si perde la strada, l’orientamento e gli stessi motivi per cui si era partiti. Ma il lettore intuisce che non è neppure casuale ciò che succede, anzi. Quello che accade spiazza ad ogni riga lettore e protagonista, ma risponde a una logica che non può essere quella corrente. I fatti che sono raccontati, le atmosfere e i dialoghi sono quelli onirici, è così che noi sogniamo, è così che ogni mattina ricarichiamo il nostro essere troppo pensante.
Così i tanti personaggi che affollano questi racconti sono delle manifestazioni dello stesso protagonista, “fantasmi” di ciò che giace dentro a lui, sepolto, irriverito e dimenticato. Sono ciò che emerge da noi stessi ogni qual volta abbassiamo la soglia di attenzione.
Riporto solo un breve brano, così per dare un’idea delle situazioni kafkiane in cui ci si ritrova ad ogni pagina, ricche di mistero ma anche di grande fascino.
Il topografo Ismael desidera che la guida alpina Elia lo ragguagli su una serie di nomi di montagne locali. Si comprende subito che Elia esita a compiere quest’operazione di conoscenza, che con tutta probabilità ridurrebbe assai la grandiosità stessa delle sue montagne.
Ismael: – Dunque torniamo al punto. Io sono qui perché vorrei che tu mi accompagnassi in giro per indicarmi i nomi giusti dei posti. Tu me li dici ed io me li segno. Tu li conosci bene, vero?
Elia: – Sì, lui li conosce.
I: – Lui chi? Chi li conosce? Non sei tu che li conosci?
E: – Sì, lui. Elia.
I: – Senti, – questa volta era sul punto di spazientirsi – ma perché dici “lui Elia” e non “io Elia”? Sarò un po’ stupido, ma faccio fatica a capirti così!
E: – Ah, sì, scusa. E’ una sua abitudine. Però Elia può anche sforzarsi di parlare come vuoi tu, se preferisci. Vedi, – ed abbassò lo sguardo, come per confessare una sua debolezza – ma Elia non è quello che vedi. C’è un altro Elia più vero di quello che sta davanti a te. E’ quello che li conosce. E’ quello che vive davvero. per questo non riesco a dire “io”. Perché quello che vedi non è il vero Elia. Hai capito?
Naturalmente Ismael non capisce e il racconto va avanti, dialogo che continua tra due interlocutori in cui il sordo però è uno solo… Perché la debole candelina del nostro “io” volitivo e pervicace rischia ad ogni momento di essere spenta con un soffio più forte degli altri. E invece deve rimanere accesa, se vogliamo comprendere l’immensità di ciò che abbiamo dentro, che si affolla disordinatamente, a volte con bontà, spesso con cattiveria. Se vogliamo realizzare quanto gli altri siano null’altro che una parte di noi stessi, amici o nemici a seconda di come noi stessi li trattiamo (considerandoli, ignorandoli, opprimendoli), in questo grande Hotel che è la vita dove ci troviamo senza neppure più sapere perché, dopo che c’eravamo illusi di esservi entrati con uno scopo preciso.
La conclusione di ogni racconto è spesso rapida, a volte con qualche spiegazione a volte senza. Esattamente come avviene alla fine dei sogni, quando ci si sveglia e rimaniamo delusi: a meno che non iniziamo a capire, e allora potremmo essere tutti dei piccoli Elia.