di Ennio Cristiano
(pubblicato sul Bollettino del Centenario della GEAT)
Foto: Ennio Cristiano
Cento anni della GEAT, bella meta! Questa importante ricorrenza e il caloroso sollecito di Giuliano e Gianfranco, mi hanno indotto a superare la mia ritrosia a scrivere, ed eccomi qua, dopo ben 62 anni.
Da parecchi anni non partecipo più all’attività geatina e da più anni ancora non svolgo attività alpinistica; partecipo saltuariamente alle serate più importanti. Mi sono iscritto al CAI e alla GEAT nel 1958, grazie alla spinta di un compagno di scuola, Bruno, che lavorava presso lo studio Pocchiola, ed era già socio, e con cui frequentavo un corso di disegno ornamentale alle Scuole Tecniche Operaie San Carlo. La famiglia Pocchiola era il pilastro della GEAT. Il cavaliere Eugenio Pocchiola era il reggente, la moglie Margherita, i figli Marco (purtroppo morto, con Giuseppe Meneghello, travolto da una slavina il 12 maggio 1974 sul Monte Colmet) e Maddalena, la nuora Adriana e il genero Filippo erano tutti attivamente coinvolti nell’associazione. Il ritrovo avveniva, come ora, il giovedì sera nella sede del CAI di via Barbaroux. Le serate erano sempre molto animate, la presenza di Carlo Carena, detto Carlaccio, contribuiva in modo sostanzioso. Era l’occasione, come ora, per l’scrizione alle gite sociali, sempre molto frequentate, e gli accordi per le gite del weekend, poi, per alcuni di noi, la serata continuava al monte dei Cappuccini con qualche bicchiere e tante cantate, fino ad ore antelucane, cacciati a forza dal gestore. La mancanza degli attuali mezzi di comunicazione favoriva gli incontri. Un ricordo che credo dia bene l’idea di quel nostro periodo di apprendisti alpinisti, un po’ allo sbaraglio, è la salita con Natale Lino Fornelli, anche lui giovane geatino e compagno di molte belle avventure alpinistiche, all’Uja di Mondrone per un itinerario non ben definito che si doveva svolgere fuori dalla via normale, sfruttando alcuni salti di roccia un po’ più impegnativi. Credo fosse l’inizio dell’estate 1958.

Non eravamo molto attrezzati e fortunatamente l’associazione metteva a disposizione dei soci delle corde, che venivano prestate per il fine settimana (corde di canapa da 12 mm di diametro e 20 o 30 m di lunghezza, molto sensibili all’acqua: si irrigidivano diventando eufemisticamente poco manovrabili).
La domenica mattina da Mondrone ci portiamo alla base del nostro itinerario, credo un po’ a destra della normale, armati di corda, un chiodo, un moschettone (acquistati per l’occasione) e un martello di casa.
Dopo aver raspato qualche ora su pendii di erba e saltini di roccia, siamo arrivati in cima. Non sarei in grado di ricostruire l’itinerario. Il chiodo non l’avevamo usato, la corda in alcune occasioni era servita per l’assicurazione… si fa per dire… la facevamo a spalla senza ancoraggi… Il santo protettore degli alpinisti quel giorno ha avuto da fare.
Un altro bel ricordo, sempre del ’58 è l’accantonamento estivo a Cretaz (Cogne) dove ho trascorso con gli amici la settimana di ferragosto. La casa era gestita in modo familiare da soci volontari: bella iniziativa molto apprezzata. Il 14 e 15 agosto con Bruno, Natale e i coniugi Felice e Anna, siamo saliti al Gran Selz, Punta Rossa. Interpellando Natale per avere conferma della data, abbiamo ricordato le cantate della sera prima al rifugio Vittorio Sella. Come sempre le cantate per noi erano parte integrante dell’attività alpinistica.
Alcuni anni dopo, è apparso Piero Danusso, subito soprannominato Pierìn mani di fata, per la dimensione e la forza delle sue mani. A causa del suo fisico, era definito da Carlaccio “fatto senza economia”. Piero, il nostro prezioso idraulico-lattoniere, sempre disponibile ad ogni richiesta per la manutenzione dei nostri rifugi, ha aderito al nostro gruppetto: voce potente. Si è subito dimostrato bravo anche in montagna. Con lui e Natale abbiamo realizzato parecchie ascensioni e alcune prime. Diventati più sofisticati, ci ponevamo il problema dell’allenamento, ma secondo lui non lo era, perché l’allenamento si fa man mano che si sale, giustamente, quindi più la gita è lunga e più ci si allena… Un modo molto diretto per risolvere i problemi.
La GEAT di quegli anni era anche la gara sociale di sci.
Gara di slalom gigante che si svolgeva, in quei tempi, a Cesana-Monti della Luna, lungo la pista che dall’arrivo del secondo tratto della seggiovia, ora non più esistente, al rifugio Capannina scendeva a Sagna Longa. Aperta a tutti, molto animata e partecipata, con i sostenitori lungo il percorso a incitare i partecipanti. La capacità sciistica era molto eterogenea, tra i primi e gli ultimi i tempi erano piuttosto ampi, un minuto e mezzo il primo e un quarto d’ora l’ultimo. Per non fare favoritismi, l’ordine di partenza era a sorteggio, ed era perciò importante sciare bene, ma anche essere fortunati nell’estrazione per non trovarsi il concorrente partito prima, tra le porte che scendeva tranquillamente a spazzaneve. Tra le battute ricorreva sovente l’invito ai cronometristi, che erano soci e si prestavano all’impegnativo compito, a munirsi anche di calendario per i meno veloci.

La premiazione avveniva poi con la coppa al primo arrivato che si conservava per un anno e si rimetteva in palio l’anno successivo: bisognava vincerla tre volte per ottenerla definitivamente; venivano inoltre distribuiti vari premi offerti da ditte e soci, l’ultimo riceveva sempre un bel premio. Per rimanere sempre nello spirito goliardico, un anno mi era stata commissionata una coppa di gesso per l’ultimo arrivato… era una bella festa!

Momenti alpinisticamente meno importanti, ma significativi e piacevoli per la vita dell’associazione. Naturalmente una notevole attività alpinistica sociale e individuale si svolgeva e si svolge tuttora con punte di eccellenza, ma preferisco lasciare lo spazio ad altri per questo.