Ansia Septumaniaca

di Marina Morpurgo

Ansia Kammerlander soffre. Ha la sensazione che la famiglia nutra dei profondi sentimenti di ostilità nei suoi confronti; che la sua famiglia si vergogni di lei e della sua pochezza montana. Ma perché non è nata in una famiglia di poeti tisici, di artisti esangui, no, proprio in mezzo a questi maledetti alpinisti barbuti con la pelle sbruciacchiata doveva venire al mondo, in mezzo a questi cornutazzi che si dilettano a faticare e sudare e rischiare di accopparsi nell’aria rarefatta. Le sue sofferenze si sono acuite da quando ha scoperto che qualcuno aveva ficcato una dose letale di topicida nei suoi knodel al formaggio grigio (i suoi preferiti). E poi tre settimane dopo, mentre studiava pigramente delle genzianelle in un prato, un grosso macigno piovuto dal nulla ha rischiato di spiaccicare lei e quella flora graziosa. Ansia Kammerlander si è convinta che Hans o Beat o Kurt o Franz o Sepp o Johann (ma quanti sono, quei maledetti?) stiano cercando di ucciderla per cancellare l’onta di una sorella così alpinisticamente degenerata. Per questo Ansia K. ha deciso di redimersi. Sì, farà vedere al mondo che anche lei è una Kammerlander.

Sì, fanculo. Il suo riscatto sarà una via il cui nome echeggia potente sulle pareti di granito dell’universo mondo: sì, Ansia K. scalerà Septumania all’Eldorado di Grimsel e farà ringoiare il topicida a chi non crede in lei. Perché proprio Septumania? Beh, intanto il nome le piaceva: contiene un gradevole richiamo alla psicopatologia, a lei tanto cara. Ma soprattutto le piaceva il colore di quel favoloso granito rosa e oro. Stupendo! Ansia K. ha sempre sognato di avere un pavimento di cucina così e vuole andare a vederlo da vicino. Naturalmente ai suoi fratelli non spiega le vere motivazioni di questa scelta. Anzi, poco prima di partire scrive una lettera disgustosamente ipocrita a Hans, dicendogli che non vede l’ora di affrontare quello stupendo strapiombetto in L8, di affondare le mani nella fessura di L5 e di strisciare come un verme sotto il tetto di L10. Hans non le ha neanche risposto (gli alpinisti sono sempre i soliti). E finalmente, dopo mesi e mesi e mesi e mesi e mesi di allenamento, arriva il grande giorno. L’Eldorado di Grimsel è lì che splende sotto il sole settembrino, contro un limpido cielo settembrino. Le acque del bacino di Grimsel purtroppo non sono partecipi di questa lustra settembrinitudine, e con il loro colorito un po’ fangoso depredano Ansia K. della possibilità poetica di narrare come la parete dei suoi sogni si specchi nel lago. Amen. Comunque, ebbra di tanta bellezza e delle endorfine scatenate da due ore di marcia di avvicinamento, Ansia K. alza agli occhi sull’immane muraglia di granito con le sue forme morbide – sì, è esattamente quel rosa-­oro che starebbe bene con il tavolo della colazione – e si chiede con un certo sgomento quanto verrà al metro quadro quel po’ po’ di roba. In fotografia sembrava meno alta. Ma in ogni caso Ansia è determinata a non cedere. No, dovranno ricredersi sul suo conto.

Septumania, Eldorado, Grimsel, 17 ottobre 2010. Foto: Costantino Sertorio

Aggredisce con animo lieto il tiro iniziale di Septumania, nonostante la sua inquietante somiglianza con una pista da bob di piccole dimensioni. Il rosa da vicino è ancora più rosa, e screziato di giallo e oro e bianco, stupendo. Ansia però si chiede chi sia quel deficiente maniaco che ha dato la cera, tirandola con lo spazzolone. C’è da scivolare e farsi male, cazzarola! La via prosegue zigzagando in quel mare immenso di placche. Ansia si sente piccola piccola (lo è), e anche cretina. Non poteva sfidare quei selvaggi in una gara di torte farcite, invece che cimentarsi in un campo che non è il suo? Ma per fortuna è ormai una donna diversa da quella in odio alla sua famiglia, quella che copriva di vergogna il nome dei Kammerlander piantandosi come un mulo davanti a ogni minimo accenno di traverso e facendo scene isteriche. E neanche quella che nidificava sotto i tetti, restandoci per settimane nel vano tentativo di superarli. No, non è più quella donna lì. Adesso i tetti li aggredisce con pochissimo stile ma discreta efficacia – ha scoperto che con la quinta di reggiseno è come fare dry-­tooling, basta piazzare bene l’attrezzo sopra il margine del tetto e poi pedalare energicamente nel vuoto urlando contemporaneamente “Tiraaaaaaaaaaaaaa!”. E anche i traversi, sì, ora se proprio li deve fare li fa, sia pure minacciando di morte chi ce l’ha portata e continuando a inveire e a lamentarsi a voce alta. E meno male, perché Septumania i traversi li ha (Ansia K. non aveva letto attentamente il foglietto illustrativo – o meglio non aveva letto tra le righe). Tuttavia il capocordata ha ormai elaborato una strategia vincente che sfrutta lo stato di inebetimento che immancabilmente coglie Ansia K. dopo i primi cinque tiri: ha cambiato il nome di “traverso” in “diagonale”. Nomina sunt consequentia rerum – quell’allocca di Ansia procede con la candida convinzione che cadendo in diagonale non si spendoli. Inoltre ogni volta che deve procedere in orizzontale la parete diventa di terzo grado e appigliatissima – così sostiene il capocordata. Se Ansia non vede quegli incredibili gradini larghi come un marciapiede e i passaggi continuano a sembrarle di quinto o sesto grado è solo perché si lascia suggestionare.

Guardando quella roccia miserabilmente liscia e povera di sporgenze, Ansia sente di essere stata fregata. All’ottavo tiro Ansia ha un attimo di sbandamento. Pattina come la Kostner su una placca infamissima e ripidissima, tentando invano di raggiungere un appiglio buono, a cui mancano almeno quindici centimetri. È lì lì per desistere e invocare la ritirata a valle quando le appare come in sogno il volto barbuto e sogghignante del maledetto Hans che la invita a darsi al macramè, e a quel punto Ansia vortica i piedi, protende il braccio e gridando “Aiutami! Aiutami!” finalmente branca l’appiglio con un gemito rabbioso, e può placare il battito cardiaco. Passata la metà parete, sente di potercela fare. Nona lunghezza – andata. La decima – la più temibile, andata anche quella, grazie alla tecnica del dry tooling giunonico. La undicesima. La dodicesima. Ansia si sta gasando, nonostante i piedi gonfi come meloni e i polpacci in preda agli spasmi dell’agonia. La tredicesima. La quattordicesima. Ansia ormai carica come un toro, a testa bassa. Purtroppo a un certo punto si trova costretta dalla conformazione della roccia a rialzare la testa dalla placca e vede con un certo orrore uno strapiombetto di tre metri e la corda che lo risale. Cazzarola, bisogna rimontare quel coso! Piena di buona volontà e di entusiasmo afferra una lama e issa i piedi, senza tergiversare. Dalla via di fianco e dai suoi compagni si levano urla di incoraggiamento e tripudio. È lo zimbello del Grimsel! Questo le dà la carica necessaria per una dülfer spaventosamente energica che le consente di azzannare un rinvio che una mano caritatevole si affretta ad aggiungere in sosta. Fanculo, Hans, pure gli strapiombi! Te lo fai tu il macramé, sciattone!

Alla quindicesima lunghezza Ansia vede abbattersi la placca e capisce. Ormai non arrampica più, gattona farfugliando frasi estatiche miste ad accenni di preghiera. Mancano dieci metri all’uscita. Ansia si ritrova su un praticello, e si getta a terra, felice. Ha ha ha ha, è una Kammerlander di razza, altro che palle! Però per la cucina ha deciso: una bella piastrella di grès marron andrà benissimo.

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