Brucio anch’io

Per dare voce alla vita del bosco che arde in silenzio, una mostra artistica a Lemie (To), dal 2 agosto al 30 agosto 2020.

La mostra Brucio anch’io – Per dare voce alla vita del bosco che arde in silenzio, realizzata da Federica Caprioglio e Marco Demaria, in collaborazione con il Civico Museo Didattico di Scienze Naturali “Mario Strani” di Pinerolo, verrà inaugurata sabato 1 agosto alle ore 15.30 nella ex Confraternita della Chiesa Parrocchiale di Lemie (To), in Valle di Viù (Valli di Lanzo). Qui di seguito le indicazioni di Google Maps (Piazza Don Girardi n. 3 – Lemie): https://goo.gl/maps/6MEnb2YcZKHiJHUbA.

Organizzazione: Emanuela Lavezzo (Lungo la Stura di Viù – Museo Diffuso Valle di Viù).

Per diffondere la locandina con invito all’inaugurazione della mostra: cliccate qui.

La mostra sarà aperta al pubblico (ingresso libero) il sabato e la domenica nel periodo 2 agosto – 30 agosto 2020 con orario 15.00 – 18.00.

Per informazioni ed eventuali prenotazioni: tel. 0123 756421 | Mail: museocivicousseglio@vallediviu.it

Qui di seguito potete scaricare il pdf (1,54 MB) relativo al progetto e alla mostra “Brucio anch’io”.

Brucio anch’io
di Luca Giunti
(pubblicato su camoscibianchi.wordpress.com il 25 luglio 2020)
Foto di Luca Giunti

Domenica 22 ottobre 2017 un incendio probabilmente doloso è stato appiccato alle spalle di Bussoleno, nella media Val Susa. Complice la prolungata siccità e il forte vento, il materiale vegetale accumulato al suolo in decenni di abbandono ha costituito un facile innesco ed il fuoco si è rapidamente propagato per valli e canaloni. In oltre una settimana di devastazione ha percorso 3500 ettari di prati e boschi, superando quota 2000 e annerendo vaste porzioni della montagna di Bussoleno, Mompantero, Chianocco. Altri focolai negli stessi giorni colpivano Caprie e diversi comuni della collina e della cintura torinese. Centinaia di persone hanno lavorato giorno e notte per contrastare le fiamme e limitare i danni. In gran parte, ci sono riusciti: nessun ferito, o peggio; nessuna abitazione danneggiata. Alcune seconde case, nelle antiche borgate alpine, sono invece state distrutte dal fuoco, direttamente, o dai tetti in legno bruciati e crollati, o ancora dalle bombole del gas esplose per il calore elevatissimo.

Incendio a Bussoleno, 22 ottobre 2017

I boschi hanno subito i danni maggiori e ogni componente naturale è stata colpita: non solo gli animali “superiori” ai quali pensiamo subito – uccelli, caprioli, lepri – ma soprattutto i piccoli mammiferi – arvicole, talpe, scoiattoli – gli anfibi e i rettili – rospi, rane, salamandre, coronelle, ramarri, lucertole – e i milioni di insetti, invertebrati e molluschi che popolano il suolo e non possono scappare dalle fiamme. Ovviamente, ogni fiore, pianta, muschio, lichene, fungo, cespuglio, arbusto è stato incenerito ma molti di loro avevano già terminato la stagione riproduttiva e i loro semi sparsi hanno potuto resistere alle vampate. Già durante la scorsa primavera i primi germogli hanno cominciato a punteggiare i prati rinsecchiti e qualche uccello è ritornato a nidificare sugli alberi risparmiati, approfittando anche della minore copertura erbacea che permette una migliore visibilità per la caccia di bruchi e cavallette – le prime a ricomparire.

Incendio sopra Foresto da Pinetti, 27 ottobre 2017

Perché sempre una disgrazia per qualcuno è un vantaggio per qualcun altro. Valanghe, frane, alluvioni anche di piccole dimensioni modificano continuamente l’ambiente, uccidono e sfavoriscono certe specie mentre ne aiutano altre.

Canadair, incendio a Bussoleno, 22 ottobre 2017

Possiamo fare qualcosa, per riparare e prevenire? Certamente. Molto si sta facendo, già dai primi giorni dopo la fine dell’emergenza. Innanzitutto, la stima dei danni e la cartografia esatta delle aree incendiate. Infatti la Legge, per disincentivare speculazioni, impone i divieti di caccia, edificazione e pascolo per un decennio ed occorre perimetrare bene le zone interdette. Poi la rimozione di una parte delle piante morte, soprattutto vicino strade e case, per evitare rischi di crollo. Una parte dei ceppi tagliati viene lasciata sul terreno parallela alla pendenza, per ridurre gli smottamenti e favorire l’attecchimento di nuovo humus e nuove vite.

Ceppi tagliati oltre Pampalù

Si procede con molta cautela, invece, nel valutare nuove piantagioni di alberi: il rischio di importare specie aliene, insetti dannosi soprattutto, è alto nonostante le cautele impiegabili; inoltre la vecchie radici morte continuano a trattenere il suolo e occorrerebbe estirparle per fare spazio ai nuovi impianti: il lungo intervallo privo di ancoraggi in attesa di quelli nuovi potrebbe favorire crolli e frane. Dunque, piano piano si ripara il danno e si accompagnano i tempi lenti del recupero naturale.

Nuova erba sul bruciato a Foresto

Si può agire molto sulla prevenzione, sia in campo (pulizia dei boschi e delle bealere, ripristino dei muretti a secco e dei sentieri, preparazione di vasche e bocchette antincendio) sia in società (formazione di squadre AIB, dotazione di mezzi, investimenti nella protezione civile). Sono scelte politiche nel senso alto della parola, che impegnano tutte le pubbliche amministrazioni se hanno una visione ampia del territorio e del futuro.

Incendio a Chiamberlando, 26 ottobre 2017. Anti Incendio Boschivo (AIB) all’opera.

Per aiutarle in tal senso occorre che tutti i cittadini rimangano consapevoli delle necessità prioritarie dell’ambiente. Pubblicazioni e conferenze aiutano a mantenere l’attenzione sul tema e ad informare correttamente sui progetti in corso. Ma la forzante più efficace – come sempre nelle cose umane – è l’emozione. Per tenerla viva, servono l’arte e gli artisti che possono interpretare e sublimare le tragedie. Ricordare la catastrofe del 2017 significa individuare le cause (abbandono, cambiamenti climatici, reati), ipotizzare correttivi (prevenzione, manutenzione, protezione) e mantenere viva e forte la commozione suscitata dal fuoco. Come mostrano Federica e Marco, dobbiamo continuare a “bruciare anche noi” perché non brucino più i boschi e gli animali.

Due libri
a cura della Redazione di Camoscibianchi
(pubblicato su camoscibianchi.wordpress.com il 25 luglio 2020)

Se noi fossimo alberi, per la nostra sopravvivenza dovremmo fare i conti con due pericoli devastanti: il vento e il fuoco. La mostra di Federica Caprioglio e Marco Demaria ha il nobile intento di dar voce ad un dolore inflitto quasi sempre dall’uomo, perché nel Bel Paese un incendio è quasi sempre doloso e, non dimentichiamolo, rischiano la vita esseri umani per spegnerlo. Ma, come se non bastasse il fuoco, il vento è un’ulteriore e grave minaccia, soprattutto nell’epoca dei cambiamenti climatici.

Ma perché ogni cittadino dovrebbe preoccuparsi dello stato di salute delle foreste? Sono scelte politiche nel senso alto della parole dice qui Luca Giunti. Ma tali scelte non possono essere prese in considerazione se manca la consapevolezza nell’opinione pubblica. Se, forse, possiamo permetterci di assistere all’estinzione della tigre del Bengala, o dell’elefante (ma fino a quando di questo passo?), senza che tutto ciò provochi improvvisamente il collasso della vita del pianeta, così non vale per le foreste perché loro, insieme agli oceani, producono ossigeno.

Possiamo permetterci di perderle?

Abbiamo il piacere di suggerirvi un percorso che inizia necessariamente dalla mostra Brucio anch’io, con il dolore inflitto dal fuoco, ma che potrebbe poi proseguire leggendo due libri molto belli e autorevoli, passando così dall’emozione alla riflessione. E poi alla coscienza politica.

Iniziamo con il vento che in Europa è la prima causa di danni ai boschi. Sapete che a dispetto della nostra vita senza limiti – che ci permettiamo bruciando innanzitutto ossigeno – gli alberi invece ne conoscono uno – vitale per loro -, che al momento non sono in grado di superare? Questo limite è proprio la velocità del vento.

“[…] Quando il vento supera una certa soglia, i fattori strutturali (altezza dell’albero, specie, diametro, struttura del popolamento, apparato radicale) svolgono un ruolo marginale nella sua protezione, in quanto le forze di resistenza dell’albero sono di gran lunga inferiori a quelle esercitate dalla massa d’aria che lo colpisce. Questa soglia, spesso chiamata «critica» perché una volta superata l’albero non può resistere, è ovviamente variabile. Interessante vedere come qui l’unione fa la forza: nel caso di alberi isolati, è stata calcolata in circa 94-100 km/h (circa 26 m/s), valore che però tende a salire se gli alberi fanno gruppo e sono particolarmente resistenti, fino a circa 150 km/h (42 m/s). […].
[…] Mi spiego meglio: per venti sotto queste «velocità critiche», la vulnerabilità degli alberi e dei boschi agli attacchi di episodi estremi può essere ridotta grazie a tecniche di gestione forestale oculate. Ma se il vento soffia oltre un certo valore limite, allora non ce n’è per nessuno: indipendentemente da struttura e composizione, le foreste non sono in grado di resistere alla forza del vento e vengono giù come birilli
”.

Ricordiamoci di questo limite quando i bollettini meteo ci avviseranno dell’arrivo delle tempeste: oltre i 150 km/h (la velocità massima di una Panda) le foreste crollano come stecchini.
La tempesta “Vaia”, che a fine ottobre 2018 imperversò dalla Lombardia al Friuli-Venezia Giulia, distrusse 42.000 ettari di foreste e abbatté tra i 15 e i 20 milioni di piante. La massima velocità del vento fu registrata al Passo Rolle (Dolomiti): 217 km/h.

Quanto avete appena letto lo trovate descritto e documentato stupendamente nel libro C’era una volta il bosco – Gli alberi raccontano il cambiamento climatico. Sarà una pianta a salvarci? scritto da Paola Favero e Sandro Carniel (Hoepli 2019). Un libro rigoroso e avvincente, ricco di contributi, anche storici, che abbiamo scoperto grazie alla recensione di Linda Cottino scritta per Montagne360 di ottobre 2019 (mensile del Club Alpino Italiano). Qui potete leggerla in formato pdf.

Per memoria, segnaliamo che Vaia ha lasciato il segno che anche nelle Valli di Lanzo, per quanto nulla di assolutamente paragonabile alla distruzione nel Nord-est. Potete vedere dei birilli crollati a causa del vento con questo post.

Le due foto sopra (1 giugno 2019) ritraggono lo stesso tipo di albero. Sembra impossibile, vero? Entrambi sono dei larici (Larix decidua) che potete osservare sul sentiero che da Ala di Stura (Val d’Ala) va fino al Monte Doubia 2463 m. Quello di sinistra si trova a circa 1800 metri di quota ed è bello slanciato mentre quello di destra, terribilmente aggrovigliato e contorto, avvinghiato al terreno, lo si incrocia a circa 2250 metri, una quota di tutto rispetto per questo pioniere delle Alpi. Stesso versante ma ben diverse le situazioni limite. Commovente soffermarsi a riflettere sulla durissima lotta per la sopravvivenza, in ambienti estremi. E pensare soprattutto alle centinaia milioni di anni di evoluzione necessari affinché questa pianta imparasse a resistere alle forze naturali del nostro pianeta. Nel 2020 d. C., la sua evoluzione gli consente di resistere a venti intorno ai 90-100 km/h e possiamo tranquillamente scommettere che l’esemplare di destra abbia sovente dovuto mettersi alla prova con questo limite. Ma ora è entrata in gioco una forza che possiamo ritenere ben più potente di un’esplosione atomica: si chiama Homo sapiens (leggete questo post) che sta modificando alcuni parametri della Terra. Ma lo fa troppo velocemente affinché i produttori di ossigeno (e accumulatori di CO2) possano evolversi per resistere ai nuovi e rapidissimi scenari dell’antropocene. Vaia potrebbe essere un segnale inquietante?

Lo troveremo ancora in vita, tra qualche anno, il larice che lotta a 2250 metri di quota, grazie ai suoi svariati milioni di anni di evoluzione, oppure dovrà inesorabilmente arrendersi ai venti fuori scala dei nuovi scenari climatici, favoriti dalle attività umane?

Dentro Vaia. “Birilli” crollati sul sentiero 322A a circa 1300 metri, versante sud della Val Grande di Lanzo.
Abete rosso sradicato dalla violenza del vento. Il tronco è stato poi tagliato per riaprire il sentiero 322A. Le gocce di resina sembrano lacrime di dolore.

«Fin dalle prime estati che trascorrevo sulle Alpi da bambino, ho imparato a chiamare ‘casa’ i sentieri, le praterie alpine, i boschi di larice e di faggio. E ho scoperto che siamo intimamente connessi con il mondo naturale, anche se spesso non ce ne rendiamo conto, e che ciò che fa bene al pianeta fa bene, se si guarda bene, anche a noi (Giorgio Vacchiano)».

Resilienza. Lo so, non ne potete più di questa parola ampiamente abusata. Da tutti. Chi invece non ne abusa ma ne parla con competenza scientifica, ma anche con genuino sentimento e trasporto, è Giorgio Vacchiano ricercatore e docente in Gestione e pianificazione forestale all’Università Statale di Milano, seriamente preoccupato della sorte delle foreste. Nel 2018 è stato nominato dalla rivista Nature tra gli 11 migliori scienziati emergenti nel mondo che “stanno lasciando il segno nella scienza”.

Resilienza. Perché è importante riflettere su questo termine facendo uno sforzo di comprensione verso le colonne del cielo? Perché i boschi ci stanno dicendo, con la loro sofferenza, che dobbiamo tutti essere alleati (mondo naturale e mondo culturale), perché in verità viviamo interconnessi e la nostra resilienza dipende dalla prosperità di una foresta tanto quanto la loro dipende dalla nostra capacità di comprenderla. Leggere il suo bellissimo libro La resilienza del bosco. Storie di foreste che cambiano il pianeta (Mondadori 2019) ci permette di sentire, come se fossimo tra le braccia degli alberi, quanto la vita del Pianeta dipenda dalla loro salute. L’autore ci porta in giro per il mondo facendoci conoscere il ruolo fondamentale che hanno le foreste. Si parla anche del fuoco, ma in questo caso è un fuoco amico, un fuoco che può, in certi casi particolari e sotto lo stretto controllo di esperti, essere di grande aiuto per la vita del bosco. Soprattutto per il Pinus palustris che è fondamentale che prosperi a Fort Bragg, nel North Carolina, dove vivono 50 mila marines (il più grande complesso militare del mondo), affinché il picchio dalla coccarda, l’unico al mondo che scava il tronco di alberi vivi, possa continuare ad aiutare a mantenere la biodiversità della zona.

Ogni bosco nel mondo racconta storie di connessioni: tra alberi e alberi, tra alberi e animali, tra alberi e acqua, o aria, o fuoco. Tra alberi e uomini. E anche tra uomini e uomini. Giorgio Vacchiano ci accompagna in un viaggio straordinario al termine del quale potremo comprendere chiaramente che di tutti i problemi ambientali di cui il mondo soffre, e di cui ogni giorno l’informazione mainstream ci inonda, dobbiamo soprattutto concentrarci sulla conservazione delle foreste e sulla loro difesa, senza dimenticarci che non sono solo produttori di ossigeno ma anche di habitat per un’infinità di specie animali e vegetali, oltre che di bellezza, di spiritualità, di benessere, di legno per scaldarci e di materiali con cui fare cose belle, accoglienti e resilienti. Di musica da un violino.

E se poi volete provare a camminare in un bosco, lasciando che il vostro cuore, passo dopo passo, si spalanchi al suo regno attivando connessioni, allora sappiate che il Club Alpino Italiano esiste anche per questo.

«Frodo posò la mano sull’albero accanto alla scala: mai come allora aveva percepito così all’improvviso e con tale intensità il contatto e la consistenza della corteccia di un albero e della vita che vi scorreva. Il legno in se stesso e il suo contatto gli procuravano una gioia diversa del falegname e della guardia forestale: era la gioia vissuta dall’albero che penetrava in lui (J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli)».

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