Cambiamenti climatici in montagna

In occasione dei 160 anni del CAI e della Giornata della Terra che si è celebrata nell’aprile 2023, abbiamo intervistato il climatologo Luca Mercalli, la cui passione per le tematiche ambientali nasce proprio dalle montagne vicino a Torino, dai ghiacciai delle Levanne che vedeva da bambino nelle prime gite al Colle del Nivolet.

Cambiamenti climatici e montagna
(intervista a Luca Mercalli)
di Jessica Pedone
(pubblicato su caitorino.it/montievalli il 2 maggio 2023)

Per la precisione – ci svela lui stesso durante l’intervista – il ghiacciaio che mi incuriosì in un lontano giorno d’estate dei primi anni ‘80 fu quello del Carro Occidentale, che poi studiai a fondo e oggi è ridotto a un ammasso di detriti rocciosi, un labile ricordo del ghiaccio di un tempo. Dalla dinamica dei ghiacciai arrivai poi ad occuparmi della ricostruzione del clima alpino e allo studio della meteorologia di montagna, per poi approdare alla divulgazione e alla militanza nel settore della crisi climatica e ambientale”.

Come è cambiato il mestiere del climatologo negli anni?
Due elementi hanno segnato questi quarant’anni di mio percorso di studio e ricerca: lo sviluppo di potenti calcolatori accessibili sempre più anche a livello di piccole strutture di ricerca e l’irruzione di internet alla metà degli anni ‘90. La prima condizione ha permesso a queste scienze di diventare da prevalentemente descrittive a vere e proprie discipline analitiche, basate su modelli matematici e simulazioni di scenario futuro, la seconda ha permesso un impensabile sviluppo della conoscenza, facendo circolare pubblicazioni scientifiche aggiornatissime prima difficili da rintracciare e costose, mettendo in circolazione dati misurati in tempo reale in tutto il mondo, mappe satellitari, immagini e filmati,  e rendendo immediati i contatti tra i colleghi e lo scambio di informazioni. Un acceleratore della conoscenza veramente straordinario.

Luca Mercalli

Quanto e cosa dei cambiamenti climatici che stiamo vivendo si può considerare “normale” e quanto invece è frutto di condizioni “indotte”?
I cambiamenti climatici attuali sono determinati dal riscaldamento globale che è un fenomeno interamente dovuto alle attività umane. In questo momento non ci sono processi naturali responsabili dell’aumento della temperatura globale, ma soltanto le emissioni di gas a effetto serra provenienti dalla combustione di materiali fossili, da altri processi industriali o agricoli e dalla deforestazione. Questa attribuzione è riconosciuta ormai come “inequivocabile” dalla nostra comunità scientifica, ma ci sono ancora sacche di negazionismo che cercano di attribuirla ad altre cause per rallentare i provvedimenti economici e politici di contenimento delle emissioni.

Gli scenari per il futuro prossimo sono estremamente preoccupanti e ne stiamo già sperimentando i segnali: mancanza d’acqua, siccità, eventi atmosferici sempre più violenti e inizio delle migrazioni climatiche. E’ possibile tornare indietro? C’è qualcosa che ognuno di noi può fare concretamente per invertire la rotta?
Tutti scenari già anticipati oltre trent’anni fa, e derisi, inascoltati, rimossi, perfino tra gli stessi frequentatori della montagna. Ora invece li tocchiamo tutti con mano. Tornare indietro non è più possibile, questo nuovo assetto climatico ci accompagnerà per molti secoli a venire. Possiamo però fermare il peggioramento della situazione climatica: l’Accordo di Parigi ci offre questa scelta: o due gradi in più a fine secolo se facciamo una rapida cura disintossicante dell’atmosfera, oppure fino a cinque gradi in più con conseguenze catastrofiche soprattutto per le generazioni più giovani. Possiamo tutti fare qualcosa per ridurre i nostri impatti ambientali e climatici: consumare meno, consumare meglio, eliminare gli sprechi, utilizzare energie rinnovabili, viaggiare meno in aereo, mangiare meno carne, opporsi alla cementificazione, piantare alberi, limitare la produzione di rifiuti. Ma la parola “meno” oggi è molto impopolare! Tutti vogliono soltanto di “più”, però la Terra ha dimensioni limitate e quindi non può sostenere la crescita infinita.

Il governo italiano e l’Europa sono ben coscienti dell’emergenza climatica e sembrano voler prendere dei provvedimenti a riguardo. Secondo lei, finora, sono state attuate delle misure davvero efficaci da parte delle istituzioni per cercare di ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici?
No, quanto fatto non è sufficiente, molte parole, pochissimi fatti, perlopiù greenwashing. Lo dimostrano le emissioni che continuano a crescere, ogni italiano emette circa 7000 kg di CO2 fossile all’anno, e non siamo nemmeno i peggiori, gli americani arrivano a quasi il triplo di noi! La guerra in Ucraina ha complicato le cose, aumentando inquinamento e finanziamenti per le armi sottratti alla transizione ecologica.

Secondo lei, la mobilità elettrica e l’abbattimento degli allevamenti intensivi attraverso la riduzione del consumo di carne sono davvero la chiave per combattere i cambiamenti climatici, come i mass media ci fanno credere?
La complessità della crisi ambientale fa sì che non ci siano soluzioni uniche o bacchette magiche. Le responsabilità investono tutti i settori e i processi, chi più chi meno. Quindi la riduzione del consumo di carne può dare un contributo, così come le auto elettriche, a patto che siano caricate con energia rinnovabile, ma sono soltanto elementi parziali di un quadro più vasto che tocca qualsiasi nostra attività legata a consumi di energia e materie prime. Il cambiamento comincia prima di tutto nella nostra testa, che deve contemplare la parola “sobrietà” e poi si declina con le scelte tecnologiche o comportamentali.

Lei, per sfuggire al riscaldamento globale è andato a vivere in alta montagna…
Sì, mi sono trasferito a Oulx, alta Val di Susa, in un’antica baita a 1650 m, che ho ristrutturato con criteri di sostenibilità e autosufficienza energetica. Grazie al telelavoro posso continuare la mia attività di ricerca e di informazione stando vicino al mio ambiente prediletto e ovviamente evitando il caldo tropicale delle città. Una scelta consapevole di adattamento al clima futuro che ho raccontato nel mio libro Salire in montagna, pubblicato da Einaudi.

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2 Comments

  1. says: grazia

    Non credo sia il consumo di carne che si debba ridurre – benché sia vegetariana – ma gli allevamenti intensivi che, non solo sfruttano in maniera poco umana altri esseri viventi, ma producono alimenti tossici, sia per i farmaci utilizzati che per le condizioni di vita degli animali stessi.
    Credo che se tutti i consumatori di “carni” acquistate al supermercato si facessero un giro in un qualsiasi allevamento, smetterebbero di consumarle all’istante.

    Per quanto riguarda gli aerei, sicuramente andrebbero ridotti i voli giornalieri per vari business o quelli per far shopping, soprattutto per abbracciare ritmi più naturali e meno compulsivi.

  2. says: Luciano Regattin

    Grazia, gli allevamenti intensivi esistono in conseguenza ad una elevata domanda di carne. Tanto per dare un numero, ogni giorno nel mondo finiscono al macello 200 milioni di polli. Senza allevamento intensivo dove li metti? Per questo è a monte che si deve intervenire. Almeno questo è ciò che rilevo dai dati che sono disponibili in rete sul consumo di carne.

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