di Smaranda Chifu, pubblicato su Insalita in data 19 luglio 2020
Stefano Benni dice “Sarebbe bello durare quanto i racconti che ascoltiamo e raccontiamo, ma loro dureranno più di noi.”
Forse per questo che ho sempre ritenuto importante il ruolo degli insegnanti, declinato in qualsiasi ambito: chi insegna si prende l’enorme responsabilità di tramandare, del racconto, a volte inconsapevolmente diventa motore della fantasia di qualcuno. Siamo tutti responsabili gli uni degli altri e siamo tutti insegnanti, perché abbiamo tutti qualcosa da raccontare e ciò che raccontiamo, come lo raccontiamo a volte è fondante per gli altri.
Ma lo sai che una volta ho pagato una guida alpina per fare la normale alla Capanna Margherita?” “Ma sei seria?” “Te lo giuro, tre anni fa, prima esperienza alpinistica che avevo fatto prima di decidere di iscrivermi al corso, anzi, credo sia pure stata l’esperienza che mi ha fatto decidere di fare un corso di alpinismo!”
Questo l’incipit della nostra discesa dalla normale alla Capanna Margherita, giù di corsa a prendere la funivia in mezzo alla fiumana di persone, dopo aver fatto la Signal.
Ma ripartiamo un po’ dall’inizio… precisamente tre anni fa.
Sì, una volta ho preso una guida alpina per fare la normale alla Capanna Margherita, è stata l’unica esperienza con una guida che ho fatto e gliene sono tutt’ora grata, aveva acceso una bella fiamma in me quella giornata! Correva il 2017, l’inverno dopo mi sarei iscritta al corso di alpinismo, non sapevo legarmi, non sapevo cosa fosse un crepaccio, non ero mai stata in quota. Quando ho visto la prima volta un seracco in vita mia mi si è fermato il cuore in gola. La guida fu bravissima, mi legò, mi rassicurò, arrivammo alla Capanna Margherita nei tempi giusti e da brava bimba sognante gli dissi che mi sarebbe piaciuto fare la cima del Bianco, chiaramente dalla normale francese. Mi disse che potevo farla tranquillamente. Bè, non l’ho mai fatta la normale francese al Bianco e non è che proprio mi pianga il cuore. Ma tre anni dopo quella Capanna Margherita son tornata esattamente lì, ma dalla Signal e questa volta con un’amica.
Il programma è piuttosto semplice: festeggio i miei 30 anni dormendo nel furgone ad Alagna (sì, il giorno della partenza era il mio 30esimo compleanno), il giorno dopo si sale alla Resegotti a dormire e quello dopo si fa la cresta. Semplice no? No.
Prepariamo lo zaino al parcheggio un po’ come Honnold con Caldwell preparano la salita record al Nose “dai, questo micro friend non servirà mai, lasciamolo giù, son du’ grammi in meno!”. Guardo il micro-friend appena lasciato in panchina e spero che davvero non serva mai. Sabato mattina iniziamo il nostro purgatorio risalendo 2.100 metri di dislivello di gironi e peccati da espiare, meta: bivacco Resegotti, ovvero nido delle aquile reali che sta messo su sassi in bilico con improbabili tiranti, uno di quei posti che se per caso ti scappa ed esci a farla di notte e sei un po’ poco sveglio e distratto, letteralmente muori cagando.
Il sentiero che sale alla Resegotti è tutto sentiero, sono cinque ore tediose in cui si attraversano la foresta subtropicale piena di felci, si arriva all’isola felice del Rifugio Barba Ferrero a metà strada, si risale una sassaiata e infine per pendio di neve che una volta fu ghiacciaio, rosolando come una salamella con in spalla il peso del formaggio che abbiamo portato sacrificando un paio di friend, si supera una terminale e si risale la ferrata fino al bivacco. Semplice no? No.
Vorrei fare un piccolo excursus manzoniano su rifugio Barba Ferrero. Credo sia messo lì di proposito, così uno magari ci ripensa, che la Signal alla fine inizi a farla da Alagna e son 2.100 metri il primo giorno e 900 (d+) di cresta il secondo, così se sei ancora in possesso delle facoltà mentali quando ti imbatti nel Barba Ferrero magari due neuroni collidono assieme e, alla vista di secchi di acqua che rinfrescano angurie e birre, torte e caramelle, il dubbio che stai andando a fare una cazzata ti viene e ti fermi lì, col capanat che è mezzo lecchese mezzo orobico, che se ci fai a gara di amari tu finisci in coma etilico, lui forse è un filo brillo. Un’oasi di esagerata gioia, l’ultimo baluardo di felicità superato il quale c’è solo sofferenza.
Ovviamente scegliamo la sofferenza.
Arriviamo alla Resegotti fresche come un mazzo di fiori lasciato a marcire un mese, ma ad accoglierci c’è già un’altra cordata che nel mentre ha fatto la legna e riscaldato il bivacco! Omaggiamo tale benedizione offrendo caseina e simpatia. Il bivacco è dotato dei principali comfort, gas, piatti e posate, acqua frizzante (che userò per riempire il camelbak sulla cresta, emettendo rutti simili a valanghe) e coperte che il Covid a confronto è tutta salute. Cinque stelline su TripAdvisor! La compagnia è ottima, siamo quattro cordate, noi due, i taglialegna, una cordata di fotografi-alpinisti e una cordata composta da una guida alpina svizzera insieme alla moglie che partiranno dal bivacco due ore dopo tutti per sverniciarci comunque tutti e fare colazione alla Capanna Margherita, livello!
Il giorno dopo la sveglia suona imperante, solito rituale, frontale, sciogli la neve, fai il thè, tira giù due bestemmie che fa freddo, una controllata al rigelo notturno, massì dai, andiamo.
La prima parte della Signal è un’estetica cresta di neve, ben affilata anche! Dopo l’esperienza non positiva della scorsa settimana sulla Biancograt sono decisamente contenta che col buio non si veda una cippa, mi guardo i piedi e basta, un passo dietro l’altro e via verso la roccia. Arriviamo all’inizio della parte di roccia che nel mentre albeggia e ci fermiamo a fare due foto: saranno le ultime fino alla Capanna. Perché c’è questa cosa qua, capisci dov’è il duro di una salita in base ai buchi temporali delle foto, se fai foto sei sereno, poi dopo abbiamo smesso di farle, distratte da diedri, roccia marcia e il desiderio di sopravvivere. Semplice no? No, ma proprio no!
Si prosegue per diedri al suon di “non so se questo blocco sia stabile, so solo che lo devo tirare”, neve che ormai sfonda e fango (sì, fango!). Togli i guanti che non ho sensibilità sulla roccia, metti i guanti che fa freddo, infila la picca nello spallaccio, aspetta che il friend non viene via, tira fuori la picca su ‘sto lastrino di ghiaccio. Mamma mi scappa la pipì, mamma quanto manca?
Siamo lentine, ma proseguiamo col rumore del generatore di corrente della Capanna Margherita, di tanto in tanto controlliamo la quota “mancano duecento metri”. Ma mancan’ ducento metri da duecento anni!
È là. La Capanna sta là, sul cucuzzolo della montagna, che comunque come v’è venuto in mente di piazzare un rifugio là, su quella roccia, in quel punto! Comunque sta là e là sembra Achille e la tartaruga, irraggiungibile! Che tortura di Tantalo vederla là, maledetta, che se urlo da qua di buttare la pasta mi sentono, eppure tra noi e lei diedri, neve, fango, roccia marcia. Eterna. E per eterna intendo che la neve sfonda ma se stiamo ancora un po’ qua in mezzo arriva l’inverno, mica la notte, e rigela tutto. Eterna. Parti da Alagna e non arrivi mai.
E il generatore canta e ci incanta. Mancano cento metri. Un altro diedro, massì, ce ne saranno altri cento, ci dice l’orologio, ma inizio a pensare che cento siano i diedri a mancare mica i metri. Finché Mari salta fuori da blocchi di roccia che di fatto son sassi tenuti assieme con lo sputo, “tu non sai cosa vedo da qui!”. Penso “nemmeno la Luna mi commuoverebbe come panorama, fidati” e rispondo “se non è la Capanna sicuramente è qualcosa di brutto!”.
Usciamo a vista Capanna e gli ultimi metri iniziamo a capire di avercela fatta, siamo state lente, abbiamo come sempre sbagliato alcune cose e sicuramente impareremo e miglioreremo. Ma siamo fuori dalla via, finalmente. E di sicuro no, non è stato semplice venirne fuori! Confrontata alla Kuffner al Maudit di appena due settimane fa, nonostante sulla carta il livello sia lo stesso, la salita ha decisamente un altro sapore!
Me la ricordo bene la Capanna quel giorno tre anni fa, che mi sembrava la Luna quel posto. Quei seracchi che, scendendo dalla normale, mi fermo a fotografare, gli stessi di tre anni fa, la stessa sensazione di allora ma con più elementi, con più consapevolezza, più forte e più matura: ma se tutto questo esiste al mondo e se ho la possibilità di guardarlo così da vicino, con quale coraggio poi sono pure ingrata verso la vita? Mi sento circondata da capolavori della natura e mi viene da sorridere. Un passo dietro l’altro, non si smette mai di crescere, non si smette mai di imparare, si supera tutto, si affronta tutto.
Se tutto questo esiste al mondo, se posso viverlo e raccontarlo, se me l’hanno insegnato e a modo mio posso anche io tramandarlo…
PS: quando si ritorna ad Alagna con la funivia ricordatevi che sono tre km di tornanti ad andare a riprendere la macchina e non fate come noi, che dopo essere sopravvissute alla Signal facciamo l’autostop e io mi faccio caricare su da un tecnico delle strade che per poco non m’ammazza in macchina. Fate l’autostop consapevolmente.