Nel dossier Nevediversa. Una montagna diversa è possibile? lo stato di salute dell’economia dello sci alpino in Italia: sempre più stazioni in difficoltà sono costrette a chiudere. Lo studio allarga lo sguardo anche sulle Alpi francesi e svizzere attraverso l’analisi dei dati di Mountain Wilderness Francia. Ad aprile 2024 sono stati censiti 101 impianti abbandonati in 56 siti distribuiti sulle catene montuose francesi, mentre in Svizzera risultano dismessi da anni oltre 55 skilift e funivie. Segno che il turismo invernale è in crisi anche oltralpe.
Crisi dello sci
(i comprensori dismessi raddoppiano in 5 anni: sono 265)
di Elena Migotto
(pubblicato su ilfattoquotidiano.it il 14 marzo 2025)
Il numero dei comprensori di sci dismessi, in Italia, è raddoppiato in cinque anni. È il dato che emerge dall’annuale report di Legambiente, Nevediversa 2025 “Una nuova montagna è possibile?“, che monitora lo stato di salute delle nostre montagne e delle attività legate allo sci alpino. Si tratta di ben 265 stazioni totali di cui: 76 in Piemonte, 33 in Lombardia, 31 in Abruzzo e 30 in Veneto. A queste si aggiungono 112 strutture temporaneamente chiuse e 128 “un po’ aperte, un po’ chiuse” (35 in più rispetto al 2024). Coerente coi dati dell’anno scorso rimane la quantità di strutture (31 circa) soggette a smantellamento e riuso, mentre un certo peggioramento riguarda i casi di cosiddetto “accanimento terapeutico” che hanno coinvolto quattro impianti in più rispetto al 2024, con una media totale di 218 strutture.
Uno dei casi più emblematici è quello di Pian dei Fiacconi, sul versante nord della Marmolada, Regina delle Dolomiti, ribattezzata “bidonvia” o “impianto della vergogna”. Il motivo? Chiusa nel 2019 e travolta da una valanga nel dicembre 2020, da più di quattro anni rimane in stato di abbandono, senza che vengano prese le misure adeguate per il suo smantellamento, in uno dei luoghi dichiarati da sempre Patrimonio dell’Unesco. Una grave “dimenticanza” su cui al tempo dei fatti puntarono un faro le associazioni ambientaliste proprio a causa del pesante impatto paesaggistico registrato.
Come ha sottolineato il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani, la causa della crisi del modello sci-centrico risiede nella crisi climatica: da un lato la netta riduzione di nevicate, dall’altro la fusione dei ghiacciai legata a doppio filo all’impennata della colonnina di mercurio nel termometro. I dati della Fondazione per il Monitoraggio Ambientale (CIMA) parlano chiaro: il 13 febbraio 2025 si è registrato, sulle Alpi, e precisamente tra i 1000 e i 2000 metri di altitudine, un deficit nevoso del 71% rispetto alle medie storiche, seguito dalla riduzione di innevamento sugli Appennini del 94%. Percentuali che restano vertiginosamente alte anche a quote più elevate dove, tra i 2000 e i 3000 metri, gli Appennini hanno perso il 78% della neve superando di 35 punti le Alpi (- 43% di neve). Per tamponare le conseguenze della siccità e dell’incremento delle temperature, i gestori dei comprensori sono stati costretti a ricorrere alla neve artificiale (o tecnica). Ecco quindi l’aumento del numero di bacini artificiali nella nostra Penisola.
Come emerge dal report, infatti, ad oggi in Italia sono 165 i bacini di innevamento artificiale mappati dalle immagini satellitari, quasi la metà dei quali (60) situata nel solo Trentino-Alto Adige. Altri 46 si trovano, divisi equamente, tra Lombardia e Piemonte, mentre la Valle d’Aosta ne conta 14. Ma solo quei 14 primeggiano su tutti per estensione, occupando ben 871.832 mq a fronte del 1.896.317 mq complessivi. C’è però il retro della medaglia a questa strategia apparentemente solida: i costi. I costi che le piste artificiali richiedono e che causano il proporzionale aumento dei prezzi della vacanza a scapito di singoli e famiglie. Stando alle stime riportate da Federturismo, sono in aumento i costi di hotel (+ 5,1%), scuole di sci (+ 6,9%) e servizi di ristorazione (+ 8,1%), rendendo di fatto inaccessibile la montagna a tutti coloro che non possono permettersi spese folli. In sintesi, per una settimana tra la “neve”, un adulto andrebbe a spendere in media 1.453 euro, a fronte dei 3.720 euro circa di una famiglia composta da genitori e figlio.
Alla luce dei dati emersi, le Olimpiadi Milano-Cortina 2026 sembrano aprirsi all’insegna del dubbio. Dubbi sulla sostenibilità, che appare obiettivo sempre più lontano. Dubbi sui progetti faraonici annunciati, che rischiano di accumulare ritardi o di uscire incompleti, e di far schizzare i costi alle stelle. In effetti quest’ultimo dato è già realtà: ad oggi il budget iniziale di 1,5 miliardi di euro è salito a 5,7 miliardi.
Quali le vie di uscita possibili? Per Legambiente non ci sono dubbi: urgono azioni di mitigazione e adattamento, nonché maggiori finanziamenti indirizzati al turismo dolce e una miglior gestione del territorio. “Servono percorsi di governance tra istituzioni, comunità locali e realtà territoriali”, spiegano, riferendosi ad alcune esperienze virtuose come quelle della Valle dei Cavalieri nell’Appennino tosco-emiliano, e della Val Maira in provincia di Cuneo. O ancora al progetto BeyondSnow volto a supportare le stazioni sciistiche di mezza quota nella transizione verso modelli più sostenibili. L’impresa è ardua ma bisogna riuscirci. E l’unica soluzione possibile è adottare “buone pratiche” capaci “di innovare l’offerta turistica in armonia con la valorizzazione dell’ambiente naturale, delle competenze professionali, e del patrimonio storico e architettonico nella sua unicità”.
Il commento
di Carlo Crovella
Se non ci convinciamo definitivamente che gli impianti di risalita sono deleteri per l’ambiente, non faremo altro che acconsentire al disastro finale. La ragionevolezza impone di impedire la costruzione di nuovi impianti, di eradicare quelli non più in uso e di convertire le stazioni sciistiche verso un “modello leggero”, ovvero: solo skilift, solo piste naturali “gobbute”, solo per veri appassionati dello sci (“via” tutto il resto del circo, tipo: apericena, musica a palla, cubiste, ostriche in quota, ecc.). L’alternativa turistica esiste: è il cosiddetto turismo dolce, lento e a misura umana. La Valle dei Cavalieri (nell’Appennino tosco-emiliano) e la Val Maira (in provincia di Cuneo) dimostrano che questo modello può funzionare.
Io per fortuna abito in montagna e abbiamo gli impianti sci…il nostro paese lavora grazie a quello e non di sicuro per gli sci alpinisti che sono talmente tirchi che non entrano nei bar e si fermano nel paese….viva gli impianti di sci…
Gli illudi talebani ambientali pensano che si possano riconvertire stazioni da milioni di sciatori e il crovella vuole distruggere tutti gli impianti. Proponetelo in montagna e sarete cacciato con i forconi dsi valligiani. Lo scialpinismo non sfama neanche un abitante delle località montane, sono turchi e non spendono su portano la sghiscietta da casa
Amo lo scialpinismo, e alla fine della gita sono d’obbligo birra e panino al bar, ma amo anche lo sci in pista e non rimpiango certo le piste gobbate di decenni fa. Prima o poi la neve non ci sarà più né per i pistaioli né per gli scialpinisti, ma fin che si può sciare godiamocela e facciamo ciò che serve con ragionevolezza. Perchè non ragioniamo anche sulle condizioni delle spiagge, totalmente occupate da bagni a pagamento, o delle città dove ogni anno migliaia di ettari di verde vengono asfaltati e cementati per realizzare palazzi e centri commerciali mentre altre zone si svuotano. Tutto il male sta solo in montagna ?
Assolutamente d’accordo con Carlo Crovella. Io vivo a Genova, ma mio padre era di Courmayeur. Dagli anni 60 ad oggi ho visto l’ambiente sfigurarsi in modo orribile ed esponenziale. Oggi tornare su mi fa male. Mi fa male vedere gente che non capisce un cavolo di montagna, piena di soldi, che si sta comprando tutta la valle. Io pratico sci alpinismo dagli anni 70 e sta diventando una spiaggia anche quello…
Rispondo ad Alberto ed a Andrea Belingheri. È vero che lo sci alpinismo non potrà mai riempire il vuoto che la scomparsa dell’industria tradizionale dello sci creerà a causa della crisi ambientale. Ma è altrettanto stolto pensare che il vostro sci di massa sopravviverà in queste condizioni. Rifiutare poi i prezzi sempre più alti che ruotano intorno allo sci, imposti dai costi di gestione per mantenere in vita comprensorio agonizzanti non significa essere tirchio, ma avere buonsenso. Lavoro in Austria in alta montagna (Hinterux) dove ancora si ostinano a mantenere aperti gli impianti sciistici anche d’estate e vedo lo sforzo che si fa per permettere alla gente di esercitare questa attività ormai anacronistica vista la temperatura media di questi ultimi anni. Capisco perciò la “sghiscetta” visto che la anche la mia Pizza Margherita, una dunque, costa 14 euro in quanto il lusso di sciare ad agosto su improvvisi ruscielli creati dal disgelo ricadono anche nell’indotto.