Alessandro Di Donna e Enrico Sartori hanno rigenerato un’area agricola abbandonata con il progetto SoulFood Forestfarms Hub Italia, che dà priorità alle piante spontanee e usa poca irrigazione: “L’obiettivo è restituire uno spazio alla collettività, il nostro sogno è metterci anche dei pollai cogestiti dai cittadini”.
Il parco Vettabbia non è più in abbandono
(grazie ai residenti)
di Giorgia Colucci
(pubblicato su ilfattoquotidiano.it il 14 dicembre 2021)
Un ettaro dove convivono peschi, meli, ciliegi, fichi, susini e più di 2.500 altri piccoli alberi da frutto. Tra i filari crescono anche ribes, ribes josta, lamponi e altre piante più basse in armonia con la vegetazione locale. Nel 2019, il loro primo anno di attività nel parco della Vettabbia, a sud-est di Milano, Alessandro Di Donna, 33 anni, ed Enrico Sartori, 39 anni, hanno provato a piantare anche delle patate. L’esperimento è riuscito e, a distanza di due anni, i volontari dei vicini quartieri di Corvetto e Vigentino e di alcune associazioni locali hanno gustato i primi frutti. A quella prima area se ne è aggiunta una seconda con noccioli, salici che offrono riparo alle api, piante ornamentali e per la produzione di biomassa. Così l’innovativa scommessa sull’agricoltura sintropica e sull’agroforestazione di SoulFood Forestfarms Hub Italiasta gradualmente riconquistando 9 ettari e mezzo di campi abbandonati alla periferia della città. Il progetto è in crescita e si sta imponendo come un modello per la transizione ecologica e la riqualificazione delle aree verdi milanesi. “Oggi il nostro sogno è metterci anche dei pollai cogestiti dai cittadini, dove possano dare da mangiare alle galline e raccogliere le uova – spiega Alessandro – L’ obiettivo è restituire uno spazio alla collettività” spiega Alessandro.
Il parco della Vettabbia si estende per quasi 3.400 ettari fino a Chiaravalle. Tra il 1400 e il 1500 era un terreno fertilissimo, coltivato dai monaci cistercensi con tecniche innovative. Si dice che proprio lì, grazie al raccolto abbondate di fieno, sia nato il Grana Padano. Oggi però la maggior parte dei terreni sono trascurati, invasi da rovi e sterpaglie. Il resto sono sfruttati da terzisti per la produzione intensiva di soia e mais. Solo qualche anziano, verso la zona del Ticinello, continua la gloriosa tradizione del fieno, ma sono sempre meno. Però grazie ai vincoli ambientali imposti dal Parco Agricolo Sud molto del potenziale dell’area non è andato perduto. “Volevamo restituire a questo territorio il suo valore e la sua identità culturale – racconta Alessandro – ma in chiave moderna, proponendo un modello per la città del futuro”. L’intento era ridare dignità anche alla figura dell’agricoltore, che “ha una responsabilità nei confronti delle future generazioni. Deve interagire in maniera funzionale con il territorio per generare abbondanza”.
Il Comune di Milano, negli anni scorsi, aveva fatto già alcuni tentativi per coinvolgere gli abitanti nella valorizzazione delle aree verdi del sudest. I risultati delle esperienze di Openagri e del Progetto Comune Europeo su 40 ettari al confine con la Vettabbia però non erano stati brillanti. I terreni erano infatti in concessione per solo per 3 anni, ma la difficoltà più grande era la scarsità di risorse idriche: “Sono vicini a un depuratore che serve un milione e mezzo di abitanti – spiega Alessandro – l’acqua che doveva bagnare le rocce veniva fatta confluire lì”.
L’agricoltura sintropica praticata dal progetto SoulFood Forestfarms Hub Italiainvece ha un fabbisogno di irrigazione molto limitata. Infatti non consiste nella creazione di “un orto pure e semplice, ma mira a ricreare l’ecosistema di un bosco, con querce, arbusti e pianti, che si è formato in 300 anni – spiega Di Donna – Anziché coltivare un ortaggio nel tuo appezzamento, tu coltivi tutte le piante che apparirebbero in maniera spontanea. In questo modo crei un contesto più naturale e rigeneri il suolo”. Proprio il processo di “successione ecologica è il motore propulsivo” di questa tecnica, l’agroforestazione successionale.
Prima di utilizzarla in Vettabbia però, Di Donna e Sartori l’avevano già provata con Cascinet. Nel 2015 avevano trasformato infatti un appezzamento di 6mila metri quadri in Cascina Sant’Ambrogio, una struttura dismessa in zona Forlanini. “In Brasile stava funzionando bene con azienda di 5 o 6 mila ettari”. Entrambi i padrini del progetto si sono avvicinati a questo metodo e, in generale, all’agricoltura, da altri percorsi: “Enrico ha studiato fisica e io informatica musicale. Avevo un locale mio – racconta Alessandro – poi un po’ per rabbia un po’ per amore ho voluto cambiare aria e sono andato per 6 mesi in Brasile”. Lì l’attaccamento alla terra e le lotte delle reti di agricoltori per l’autodeterminazione e la sovranità alimentare lo hanno impressionato a tal punto, da desiderare di portarle anche in Italia. “Mi sono avvicinato a Terzo Paesaggio, e poi a Cascinet, dove ho conosciuto Enrico e con i soldi di un premio abbiamo depurato e setacciato la terra, che era una discarica a cielo aperto, e abbiamo iniziato le prime coltivazioni”.
In pochi anni la cascina è diventata un luogo d’aggregazione per circa 10mila persone, dove si organizzano cene e concerti. A quel punto è arrivata la sfida del Comune: “Per avere la cascina in concessione per 30 anni, abbiamo dovuto costruire un’azienda agricola e ci sono stati affidati questi campi in Vettabbia”. Inizialmente sono stati in 7 a piantare i primi alberi, poi però Soul Food è riuscita a coinvolgere anche la rete di Cascinet. Col tempo sono però aumentati anche i volontari delle zone limitrofe: “Questo patrimonio è loro e deve essere inclusivo. Non lo vogliamo chiudere o recintare, ma lasciare semilbero – spiega Di Donna – Dobbiamo creare un paesaggio commestibile che coinvolge e attrae le persone e le convince a presidiare il posto e a non ritenerlo luogo abbandonato e pericoloso, ma un laboratorio dove si può sperimentare la transizione ecologica”. Per il momento i frutti sono ancora piccoli ed è ancora presto per una commercializzazione, ma i terreni hanno ottenuto la certificazione biologica. La sfida è però responsabilizzare sempre di più i partecipanti e tentare di distribuire i frutti e gli altri prodotti a prezzi accessibili. L’intento è infatti “lavorare per l’inclusione anche sociale e lavorativa dei volontari di Corvetto e Vigentino”.
Il campo inoltre ha iniziato anche a ospitare feste, eventi teatrali e performance d’arte, in collaborazione con realtà locali come l’Accademia di Brera e il Politecnico e altre università. Soul Food è diventata una startup e offre consulenze alle aziende interessati al tema dell’agricoltura rigenerativa. L’alleanza con Cascinet e Terzo Paesaggio e altre realtà no profit e culturali sta aprendo le possibilità per nuovi progetti. La pandemia poteva segnare una battuta d’arresto, ma sono stati proprio gli abitanti di Corvetto e Vigentino a tenerla viva: “L’anno scorso a dicembre ci siamo trovati, tutti con la mascherina e i termos, per mettere a dimora 10mila alberi. Faceva freddissimo ma hanno partecipato circa 400 persone grazie al passaparola – racconta Alessandro – È stato un momento molto bello, di scoperta di quanto si può rimanere connessi in lavoro condiviso senza dover andare in un locale. Una forma di scambio e collaborazione sana, necessaria”.
Nota degli avvocati Veronica Dini e Luca Saltalamacchia
Quest’articolo riporta informazioni incomplete e in parte errate. I terreni in questione sono risultati contaminati da metalli pesanti. La dichiarazione di potenziale contaminazione è stata inviata agli enti competenti proprio dall’ azienda di promozione sociale Cascinet nel marzo 2020. Contestualmente, era stata interrotta la produzione agricola svolta, sulla medesima area, dall’Azienda agricola La Vitalba, legata a Cascinet da un contratto di rete. Di tali fatti, era stata data notizia attraverso un comunicato stampa congiunto con il Comune di Milano. Cascinet ha poi avviato – insieme a La Vitalba – una procedura di mediazione, invitando l’Amministrazione comunale, proprietaria dell’area. Nell’autunno del 2021, tuttavia, le trattative si sono arenate in quanto il Comune non ha mai provveduto a effettuare la caratterizzazione e l’analisi di rischio richieste dalla normativa di settore. A fronte di ciò, La Vitalba – assistita dall’avv. Luca Saltalamacchia – ha avviato, nell’ottobre scorso, un’azione civile nei confronti del Comune e della stessa Cascinet, per ottenere la bonifica dei terreni e il risarcimento dei danni patrimoniali subiti. A novembre, sono intervenuti nel giudizio anche alcuni cittadini, in qualità di consumatori dei prodotti agricoli coltivati sui terreni in uso a Cascinet, e l’associazione AIAB Lombardia, con il patrocinio dell’avv. Veronica Dini. Il procedimento è pendente, in attesa della prima udienza. Anche di tali circostanze, era stata informata la stampa. In tale contesto, appare sorprendente la condotta di Cascinet, che dà conto di coltivazioni su terreni che sono, in realtà, del tutto inadatti a tale uso, per ragioni di salute pubblica.