Il Prete del Gavia
di Giuseppe Gervasio
(8 settembre 2024)
Foto: Enrico Rainoni (saldo diversa menzione)
Milano è profondamente cambiata a seguito dell’EXPO del 2015: la città, dopo questa manifestazione e forse proprio in virtù di essa, ha assunto una più marcata connotazione internazionale ed è diventata una delle principali mete per i turisti di tutto il mondo. Naturalmente, non ha perso la vocazione prettamente economica che la contraddistingueva in passato, anche se si è maggiormente affermata in alcuni specifici campi, quali il design, la moda e l’architettura moderna, fino a diventare una tappa obbligata per i professionisti e appassionati di queste discipline.
La mutazione che ha subito la città non è stata omogenea, ma si è concentrata in particolare in alcune zone che hanno subito una vera e propria rivoluzione. Tra queste vi è certamente l’Isola: un quartiere a ridosso del centro storico che ha perso completamente la sua originalità sociale ed è diventato, insieme a Brera ed ai Navigli, una delle zone più frequentate della “movida” cittadina. In origine il quartiere, almeno per come me lo ricordo io che ci sono nato e vi ho abitato per 15 anni, era in un certo senso un po’ isolato dal resto della città (da qui il suo nome), ma aveva una sua caratteristica peculiare: tante botteghe, numerosi artigiani, case di ringhiera e una popolazione per la maggior parte di famiglie operaie e della classe media.
In questi ultimi anni, le botteghe man mano che chiudevano sono state sostituite da bar, ristoranti, locali di tutti i generi: c’ è solo l’imbarazzo della scelta se qualcuno è alla ricerca di un luogo dove passare la serata. Anche gli edifici sono significativamente cambiati: le poche case di ringhiera rimaste hanno subito delle ristrutturazioni pesanti e, al posto di quelle demolite, sono stati costruiti dei palazzi avveniristici ed esclusivi che hanno accresciuto la fama di Milano.
Ogni volta che torno all’Isola (mi sono trasferito in un altro quartiere di Milano dal 1969), mi trovo un po’ a disagio, perché mi pare abbia perso tutto quel calore umano e di solidarietà che la contraddistingueva, a beneficio di un luogo di divertimento e di ricreazione un po’ anonimo.
L’Isola è attraversata da un cavalcavia che collega la zona Stazione Garibaldi – Porta Nuova con il cuore del quartiere: quest’opera è stata intitolata ad un sacerdote, Don Eugenio Bussa, nato proprio all’Isola, dove ha svolto per tutta la vita la sua attività pastorale all’Oratorio Patronato San Antonio. Don Eugenio è stato per molti anni un personaggio “centrale” della vita del quartiere e credo e penso di non sbagliarmi che la sua fama, malgrado i tanti anni trascorsi dalla sua scomparsa avvenuta nel 1977, sia ancora ben presente nelle persone che lo hanno abitato. Il suo radicamento è stato talmente forte che anche le sue spoglie furono trasferite, pochi anni dopo la sua morte, nella chiesa del Santo Volto: la chiesa del suo Oratorio.
La biografia di Don Eugenio è veramente ricca e merita uno spazio importante, non si presta quindi ad una descrizione frettolosa; a questo proposito rimando alla consultazione del sito www.doneugeniobussa.org , all’interno del quale è possibile trovare tutte le informazioni rilevanti.
Per una breve collocazione storica, mi limiterò a dire che Don Eugenio nacque all’Isola da una modesta famiglia nel settembre del 1904, maturò la sua vocazione sacerdotale nell’Oratorio Patronato Sant’Antonio di cui diventò prima Vice-Direttore nell’ottobre del 1928, subito dopo la sua ordinazione sacerdotale, e Direttore dal 1937, fino alla sua scomparsa avvenuta il 29 gennaio 1977.
49 anni di azione pastorale totalmente dedicata all’educazione dei giovani, ragazzi e, negli ultimi anni, anche ragazze, senza mai risparmiarsi e con dedizione totale alla missione perseguita, la dicono veramente lunga sulla grandezza del personaggio e sull’importanza dell’opera svolta: numerose generazioni di giovani dell’Isola devono, in gran parte, la loro formazione a Don Eugenio. Tra questi ci sono anche io e non ho difficoltà ad affermare che è stato una delle persone più importanti della mia vita e, a distanza di tanti anni, ogni tanto ripenso alla fortunata coincidenza di averlo incontrato.
Cercherò ora di descrivere la figura di Don Eugenio attraverso alcune tratti salienti della sua persona e della sua attività: non ho la pretesa che il quadro che ne risulterà sia del tutto esaustivo ma aiuterà a comprendere meglio la dimensione del personaggio.
Educatore
Tutte le energie di Don Eugenio sono state impiegate nell’educazione dei giovani: sentiva questa missione come una grande responsabilità che gli era stata affidata dalle famiglie dei ragazzi/ragazze che frequentavano l’Oratorio e cercava in ogni modo di non deluderne le aspettative.
Don Eugenio, senza tema di smentita, non era un Prete qualunque: aveva delle qualità intellettuali e personali non comuni, unite ad un forte ascendente, dovuto non al ruolo che svolgeva ma alla autorevolezza che tutti gli riconoscevano.
Il dovere di educare le generazioni di giovani dell’Isola che si sono succedute lungo tutti gli anni del suo apostolato, lo svolse cercando sempre con il suo esempio e la sua azione di formare persone caratterizzate da un forte senso di rettitudine, lealtà e apertura al sociale.
In aggiunta alle normali attività sportive e ricreative di ogni Oratorio, che curava ed organizzava con una presenza ed assiduità straordinarie e naturalmente alla sua azione pastorale, Don Eugenio era anche un uomo del suo tempo: viveva le trasformazioni sociali avvenute a partire dal dopoguerra e cercava di dare una risposta ai bisogni delle persone.
Il miracolo economico italiano aveva consentito l’apertura di numerose fabbriche a Milano e molta manodopera proveniva da fuori, con tutti i problemi abitativi e di reddito che si possono immaginare: Don Eugenio aprì per i giovani lavoratori, all’interno dell’Oratorio, un Pensionato che li ospitava durante la settimana e gli forniva vitto ed alloggio.
Tutto quanto aveva seminato tra i giovani aveva comunque reso i suoi frutti: nella sua azione veniva aiutato da un nutrito gruppo di Cooperatori che presidiavano le varie attività dell’Oratorio. Si trattava, per la gran parte, di ex-Allievi che, abbandonato l’Oratorio per un certo tempo per le normali vicende della vita, poi ritornavano a svolgere qualche ruolo per aiutare e portare il proprio contributo. Un esempio di “restituzione sociale” tra generazioni che consentiva così il proseguimento delle attività dell’Oratorio nel tempo.
In aggiunta ai Cooperatori, Don Eugenio riuscì a costruire intorno a sé anche una rete di Benefattori che ne apprezzavano l’opera e lo sostennero economicamente nella realizzazione di numerose iniziative, tra cui le colonie al mare e in montagna.
Alla sua scomparsa, gli ex-Allievi dell’Oratorio, riuniti in un’associazione, hanno portato avanti la sua opera per quanto possibile, non facendo mai mancare il sostegno ai suoi successori e cercando di mantenere vivo il ricordo della sua persona.
Il fascismo e la seconda guerra mondiale
Don Eugenio durante la seconda guerra mondiale si prodigò attivamente ad aiutare perseguitati politici e diversi ebrei, anche ospitandoli nella sua casa, e collaborò a metterli in salvo. La sua attività non passò inosservata alla Brigata Muti che svolgeva le funzioni di polizia politica e militare ed era composta in prevalenza da fascisti milanesi, che si erano resi responsabili di numerose torture, violenze e rastrellamenti.
Nel novembre del 1944, fu arrestato dai fascisti della Muti e liberato qualche giorno dopo, soltanto a seguito dell’intervento dell’Arcivescovo di Milano Ildefonso Schuster e grazie anche alla grande mobilitazione degli abitanti dell’Isola.
Nel contempo, manteneva i contatti con i giovani dell’Oratorio che erano stati chiamati alle armi, non facendogli mancare il suo affetto e la sua vicinanza: i nomi di quelli caduti in guerra furono poi incisi su una campana che scandiva tutte le attività dell’Oratorio.
Ogni anno, in riconoscimento dell’azione svolta, i Rappresentanti della sezione dell’Isola dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia ricordano la figura di Don Eugenio con la deposizione di una corona sulla sua tomba.
“Giusto fra le nazioni”
Nel settembre del 1944, Don Eugenio aprì una colonia di sfollamento a Serina, in provincia di Bergamo, nella quale ospitò numerosi giovani dell’Oratorio per proteggerli dai pesanti bombardamenti cui era oggetto la città di Milano. Tra questi, alcuni erano ebrei e ciò era noto soltanto a lui, neanche il Direttore della colonia ne era a conoscenza: lo scopo era quello di preservare questi ragazzi dalle persecuzioni razziali. Nessuna forzatura fu messa in atto verso di loro e mantennero la propria fede originale.
Il penultimo Presidente dell’Associazione degli ex-Allievi del Patronato San Antonio, recentemente scomparso, con una tenacia straordinaria fece delle puntigliose ricerche finalizzate ad individuare qualcuno dei ragazzi ebrei che erano stati ospitati a Serina. Dopo parecchi anni, riuscì a stabilire un contatto con Alberto Fazio, già ospite di Serina, e residente in Israele che confermò la vicenda.
Nel 1990, l’Istituto Yad Vashem di Gerusalemme, istituzione israeliana titolata alla memoria della Shoah, riconobbe Don Eugenio “Giusto fra le nazioni” per la sua opera di salvataggio degli Ebrei dalle persecuzioni nazi-fasciste, a rischio della propria vita (https://collections.yadvashem.org/en/righteous/4043682).
Con la stessa motivazione, la figura di Don Eugenio è ricordata anche a Milano nel “Giardino dei Giusti” del Monte Stella con la dedica di un albero alla sua memoria (https://it.gariwo.net/giardini/giardino-virtuale/storie-del-monte-stella/3/don-eugenio-bussa/).
Il Passo del Gavia è molto conosciuto in Italia non per la sua altezza (2652 metri, il secondo passo per altitudine dopo quello dello Stelvio) ma per il fatto che ha rappresentato per molti Giri d’Italia la c.d. “Cima Coppi” e cioè la quota più alta raggiunta dalla gara ciclistica a tappe. Anche oggi è famoso tra gli appassionati di ciclismo e nella stagione di apertura della strada è molto frequentato.
Arrivando al Passo del Gavia, accessibile dalla Valtellina (da Santa Caterina Valfurva) o dalla Valle Camonica (da Ponte di Legno), si incontrano soltanto due costruzioni: un rifugio privato e una casa di alta montagna dedicata a Don Eugenio, in precedenza proprietà dell’Oratorio poi trasferita alla Parrocchia, costituita dopo la sua scomparsa, che successivamente la pose in vendita.
La storia della casa del Gavia è avvincente e tutto ebbe inizio da un’intuizione visionaria di Don Eugenio: credeva che un’esperienza di vita comunitaria in un ambiente naturale così severo ma unico avesse un grande valore formativo.
Cominciò con l’acquisto nel 1948 dell’albergo Alpino al Passo del Gavia, una costruzione un po’ malandata che aveva bisogno di notevoli lavori di ristrutturazione. Aiutato da un Benefattore, il finanziere Michelangelo Virgillito, Don Eugenio riuscì ad acquistare l’albergo e ad eseguire i lavori necessari: nel 1949 la Casa iniziò ad ospitare i giovani dell’Oratorio nei mesi estivi. L’ambiente del Gavia era straordinario, a cominciare dalla strada che bisognava percorrere per raggiungere il passo: si trattava di una strada completamente sterrata in tutti e due i versanti e particolarmente stretta e ripida e transitabile per circa 3 mesi all’anno. Tutto ciò non facilitava la frequentazione del Passo ma contribuì a mantenere intatto l’ambiente circostante; la situazione cambiò dopo la grande alluvione avvenuta in Valtellina nel 1987, che isolò completamente l’alta valle. Per ovviare a questa situazione, la strada fu asfaltata, allargata ove possibile e protetta con gallerie, in particolare nel punto chiamato “le rocce”, sul versante della Valle Camonica, teatro della grave sciagura del 1954 occorsa ad un camion degli Alpini con numerose vittime (https://www.ana.it/lalpino/quelle-diciotto-vite-spezzate-a-passo-gavia1632/).
Veramente “avventurosa” era l’apertura stagionale della casa: con il pullman si raggiungeva Ponte di Legno e si trasbordava su mezzi adatti a percorrere la strada del Gavia: una jeep ed un camion sul quale salivano i ragazzi con i loro bagagli e i materassi per i letti. La casa era abbastanza “spartana”, non disponeva del riscaldamento e le estati al Gavia, in quegli anni, non erano come le attuali: spesso nevicava e la temperatura esterna scendevo sotto lo zero. Negli anni successivi fu aggiunto il riscaldamento e, in previsione di un’apertura anche alle ragazze dell’Oratorio, fu significativamente ampliata e migliorata.
L’aspetto per un certo verso “qualificante” dello stare al Gavia era quello di aiutare nella gestione quotidiana della casa: servizio di cucina, lavori di manutenzione svolti sempre sotto l’attenta regia di Don Eugenio, riassetto delle camere, ecc.: insomma, non si trattava di una vacanza tradizionale, ma di una vera e propria esperienza di vita, che, per chi l’ha vissuta, è stata certamente unica.
Don Eugenio dava il meglio di se stesso quando era al Gavia: riusciva a ritagliarsi un breve periodo di permanenza e durante queste giornate, abbandonando il suo atteggiamento un po’ burbero che manteneva a Milano, seguiva ancor più da vicino i suoi giovani, gli parlava, ascoltava le loro confidenze e forniva i suoi insegnamenti. Questa sua azione personale, si accompagnava alle mansioni quotidiane che ciascuno aveva nella gestione collettiva della casa e alle gite sulle montagne circostanti.
Unitamente a ciò, a questo ambiente di alta montagna, Don Eugenio riconosceva una dimensione straordinaria e grandiosa, che avrebbe certamente “contagiato” in senso positivo tutti i suoi giovani.
Favoriva quindi anche la pratica dell’alta montagna con escursioni e salite alpinistiche nei gruppi vicini dell’Adamello, Ortles-Cevedale e Bernina. Si occupava personalmente di accompagnare i ragazzi alla prima esperienza di salita in alta montagna alla Cima Presena, un tremila nel gruppo dell’Adamello: il ghiacciaio allora era ancora tale e l’ascensione, seppur facile, attraversava un ambiente maestoso.
Consapevole, però, della complessità e pericolosità dell’alta montagna, Don Eugenio aveva anche a cuore l’incolumità dei suoi giovani e quindi ricorse ad una Guida Alpina che li potesse guidare nelle salite più impegnative con la necessaria sicurezza. Su indicazione del Parroco di Valfurva, conobbe Dante Vitalini, guida alpina e maestro elementare, molto impegnato nel sociale e nella promozione della sua valle. Dante Vitalini fu per molti anni Amministratore pubblico, responsabile del Soccorso Alpino di zona, fondatore e primo Presidente della locale sezione del Club Alpino Italiano e della Pro Loco.
Dante Vitalini entrò subito in sintonia con Don Eugenio e per circa 30 anni accompagnò i giovani del Gavia in montagna: era una persona riservata e un po’ taciturna ma, malgrado questi aspetti del suo carattere, si era integrato molto bene con loro e ne apprezzava la compagnia.
Tutte le salite condotte da Dante Vitalini con i ragazzi e le ragazze del Gavia (per citarne alcune: Corno dei Tre Signori, Adamello, Ortles, Cevedale, Gran Zebrù, Bernina, Presanella, la “corona” di montagne che compongono la “Traversata delle tredici cime” e che si affacciano sul ghiacciaio dei Forni, il secondo più grande d’Italia e il più “himalayano”) furono portate a termine senza alcun incidente degno di nota, considerando anche le numerose cordate che affrontavano le ascensioni e l’esperienza variegata dei partecipanti.
La mia passione per la montagna è cominciata al Gavia e, dopo 50 anni, è ancora viva e tenace, malgrado gli anni che passano e le forze che non sono più quelle di una volta. Devo anche questo a Don Eugenio e alle volte rimpiango il fatto che forse negli anni giovanili avrei dovuto fare maggiormente tesoro di alcuni suoi ammonimenti che poi, con il tempo, si sono rivelati giusti e visionari.
Insomma, una “grande persona”: tutti quelli che passeranno o sono già passati dal Passo del Gavia e magari si chiederanno chi era quel Sacerdote cui è stata dedicata la Casa, mi auguro potranno trovare nella lettura di questo testo una risposta alla loro domanda.