Intervista con la glaciologa Guglielmina Diolaiuti

I ghiacciai del mondo stanno soffrendo. Eppure, trovandosi in luoghi spesso inaccessibili, lo stato di salute di alcune di queste grandi masse ghiacciate ci è ancora oggi sconosciuto.
Cosa sappiamo dello stato dei ghiacciai del mondo? La febbre globale ha raggiunto un punto critico? Cosa significa per la sicurezza idrica del nostro paese? 

Intervista con la glaciologa Guglielmina Diolaiuti
di Valeria Pagani
(pubblicato su 3bmeteo.com il 15 giugno 2022)

Lo chiediamo a Guglielmina Diolaiuti, laureata in scienze naturali con un dottorato di ricerca in scienze della terra. Ha seguito corsi di specializzazione in geografia fisica e glaciologia presso il Laboratorio di glaciologia e fisica ambientale dell’Università di Grenoble e nel 2000 ha ricevuto il premio del Comitato glaciologico italiano per la miglior tesi di laurea in glaciologia. È professoressa associata nel Dipartimento di scienze e politiche ambientali dell’Università degli Studi di Milano, membro del Comitato glaciologico italiano (Cgi) e dell’Associazione italiana di geografia fisica e geomorfologia (Aigeo).

Professoressa, su cosa si rivolge la sua ricerca più recente?
“Sto lavorando a un progetto denominato “Glacier and Student”, lanciato pochi mesi fa dall’UNDP – il programma di sviluppo delle Nazioni Unite – in collaborazione con l’Ambasciata italiana. È un progetto di cooperazione internazionale per studiare i ghiacciai del Pakistan, portando a collaborare giovani studenti e ricercatori italiani con i loro colleghi asiatici. L’obbiettivo è quello di redigere un catasto degli oltre 5000 ghiacciai del Pakistan, che sono tra i più grandi del pianeta, e di farlo tramite un lavoro di dettaglio, così da poter meglio comprendere la loro risposta di fronte ai cambiamenti climatici. Chiaramente il grosso del lavoro sarà di telerilevamento, perché i 5000 ghiacciai – tra i quali il Baltoro, il ghiacciaio lungo 60 chilometri che conduce alla cima del K2 – si trovano a quote comprese tra i 3000 e gli 8000 metri. I ricercatori italiani inizieranno questa estate a studiare il Pasu e il suo vicino Ghulkin, un ghiacciaio nero, ovvero coperto di detriti, entrambi situati nella valle dell’Hunza, nella regione di Gilgit-Baltistan. Essendo vicini, ma con diverse condizioni superficiali, sarà molto interessante confrontare come, a parità di quota, rispondano diversamente al riscaldamento globale e analizzare a che differenti velocità stanno fondendo.”

Quali potrebbero essere le possibili conseguenze della fusione dei ghiacciai?
“Per risponderti ti faccio un esempio: quest’estate studieremo anche lo Shispars, sempre nella valle dell’Hunza, un ghiacciaio fuso così intensamente che il mese scorso ha provocato grandi inondazioni che hanno portato al crollo di un ponte ad Hassanabad, un villaggio nel nord del Pakistan. Questo è un surging glacier, cioè un ghiacciaio che si muove più velocemente del normale a causa dell’acqua di fusione che si accumula sul fondo. Praticamente quest’acqua può scalzare il ghiacciaio dalla roccia e farlo scivolare velocemente sui versanti. Il movimento verso valle è un evento normale durante la vita di alcuni ghiacciai, ma quello che oggi sta avvenendo è un intensificarsi dei processi di fusione alle quote più basse. Già negli scorsi anni lo Shispars si è mosso di alcuni chilometri verso valle, dove, a causa delle temperature maggiori, sta fondendo più velocemente, riempiendo i fiumi e portando all’insorgere di piene e inondazioni. E le conseguenze di questa repentina fusione colpiscono soprattutto le popolazioni che vivono nelle vicinanze del ghiacciaio. Così i giovani ricercatori cercheranno di capire dove oggi si trova la fronte dello Shispar, che caratteristiche ha e quanto velocemente si sta sciogliendo. Oramai sappiamo che laddove ci sono eventi di surge come questo, quindi di scivolamento del ghiacciaio verso valle, gli effetti sono devastanti. E questi effetti devastanti potrebbero moltiplicarsi, complici i cambiamenti climatici e il riscaldamento dell’atmosfera.”

Qual’ è l’obbiettivo del progetto sul lungo periodo?
“L’obbiettivo è che questo progetto lasci al governo pakistano il catasto di tutti i ghiacciai del Pakistan, ma anche delle informazioni puntuali su quanto velocemente stanno fondendo. Comprendere lo stato di salute dei ghiacciai ci permette anche di conoscere meglio l’impatto che abbiamo avuto sull’ambiente e di conseguenza di intervenire più prontamente di fronte ai possibili rischi ambientali. Inoltre l’idea è quella di formare persone che abbiano le capacità e le competenze tecniche per mantenere questo inventario e per aggiornarlo nel tempo con immagini satellitari, così che le banche dati possano continuare a vivere e possano essere utilizzate e condivise con altri ricercatori.”

Cambiando areale e spostandoci in Italia, qual è lo stato attuale dei ghiacciai sulle Alpi?
“Nel 2016, sempre con l’Università Statale degli studi di Milano, abbiamo redatto un catasto dei ghiacciai delle alpi italiane: abbiamo censito novecentotre ghiacciai, di cui novecentodue sulle Alpi e uno in Appennino (il Calderone). Nel momento della pubblicazione questi ghiacciai si estendevano su una superficie di circa 360 chilometri quadrati, pari all’areale del lago di Garda, e risultavano ridotti rispetto al cinquantennio precedente di 157 chilometri quadrati. Ovvero in mezzo secolo i ghiacciai italiani avevano perso una superficie pari a quella del lago di Como. Nel 2019 abbiamo partecipato a un progetto europeo volto alla creazione dell’inventario di tutti i ghiacciai delle Alpi europee e il gruppo di glaciologia dell’università statale ha curato i dati italiani. Quello che abbiamo scoperto ci ha profondamente allarmato. Rispetto ai dati che avevamo pubblicato nel 2016, i dati ottenuti nel 2019 hanno mostrato che i ghiacciai italiani si sono ridotti del 15% in soli dieci anni. Quindi tra il 1970 e il 2010 hanno perso il 30% della loro superficie e dal 2010 al 2020 hanno perso un ulteriore 15%. Quello che ci ha fatto preoccupare di più è l’accelerazione del ritiro: non solo che il ritiro continua, ma che è sempre più intenso e veloce. Questo vale per tutte le Alpi, ma in particolare per quelle italiane, che si trovano a sud della catena. In collaborazione con il Politecnico abbiamo poi applicato dei modelli evolutivi e siamo giunti alla triste conclusione che tra il 2060 e il 2070 buona parte dei ghiacciai delle Alpi non ci saranno più. Le proiezioni infatti mostrano che entro il 2060 oltre l’80% dell’estensione glaciale attuale andrà perso e ne resterà un misero 20%. Questo precesso è favorito da un fenomeno che chiamiamo darkening, ovvero l’annerimento dei ghiacciai causato dalla copertura di detrito. Sotto l’azione degli agenti atmosferici e dell’aumento delle temperature le montagne si frammentano di più e coprono di roccia i ghiacciai, che così perdono la capacità di riflettere la luce solare. Ma non solo: si anneriscono anche a causa dell’inquinamento industriale, della fuliggine degli incendi, dei detriti e delle polveri. E l’effetto finale è che soffrono sempre di più e fondono sempre più rapidamente. Così come noi patiremmo grandemente il caldo se ci vestissimo di nero per andare in spiaggia.

Come possiamo provare a frenare questo declino?
“La prima cosa sicuramente è ridurre le nostre emissioni climalteranti. Servono in primis politiche adeguate, ma credo che anche ognuno di noi, nel nostro piccolo, possa agire per salvaguardare il futuro del pianeta. Per questo insieme al Dipartimento di Scienze Politiche Ambientali abbiamo creato un web tool che si chiama “calcola la tua impronta” che permette a ciascuno, in maniera anonima, di calcolare l’impatto dei propri comportamenti sull’ambiente. Possiamo quindi capire quanto pesiamo sulle risorse e, di conseguenza, riflettere su cosa saremmo disposti a rinunciare. Potremmo per esempio evitare di prendere l’automobile tutti i giorni, preferendo i mezzi pubblici, oppure seguire una dieta più virtuosa, riducendo il consumo di carne o anche fare acquisti più responsabili o differenziare correttamente i rifiuti. Le possibilità per impattare meno sono molte e il cambiamento deve venire anche da noi, perché ognuno può fare qualcosa.”

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