Dopo la manifestazione del 19 luglio 2020 a Cortina d’Ampezzo, riportiamo quattro significativi articoli sulla protesta ambientalista al riguardo delle opere sul territorio per i Mondiali di Sci del 2021.
Il primo, di Luigi Casanova, è l’articolo con il quale è partita la coraggiosa denuncia di quanto stava succedendo.
Il secondo articolo, della redazione di amicodelpopolo.it, è la cronaca di una manifestazione che ha avuto in effetti poco successo, per la generale sensazione di inutilità dovuta al “fatto compiuto”.
Il terzo, della redazione di bellunopress.it, rispecchia il trionfo di chi crede di aver ragione solo per aver dimostrato che i dimostranti erano quattro gatti e “ambientalisti da salotto”.
Il quarto, di Carlo Alberto Pinelli, è la risposta a Lorraine Berton.
La distruzione pianificata della montagna
(I mondiali di Cortina 2021)
di Luigi Casanova
(pubblicato su mountainwilderness.it il 1° luglio 2020)
Foto di Luigi Casanova
Nonostante fossimo preparati a scenari devastanti mai avremmo previsto quanto abbiamo potuto documentare (FOTO nell’articolo) in un sopralluogo condotto sull’area di svolgimento dei mondiali di sci alpino 2021 a Cortina d’Ampezzo.

Le immagini parlano da sé
Lo scenario è impressionante: l’intero versante della Tofana di Mezzo è già oggi sconvolto sia dal punto di vista naturalistico che paesaggistico. Certo, le nuove piste aperte o quelle raddoppiate di ampiezza feriscono, ma la distruzione che ferisce ogni sensibilità riguarda in modo sconcertante, assurdo, per lo più quanto sta avvenendo sul fronte della viabilità.

La zona sciistica era già penetrata da una strada asfaltata, larga circa 7 metri: più che sufficiente per permettere il transito in sicurezza dei mezzi pesanti e delle macchine operatrici. Questa strada sta per essere allargata fino a 9 metri, in alcuni punti supererà i dieci metri specie in prossimità dei tornanti (stiamo parlando di un paesaggio forestale), si sono tagliati centinaia di abeti e larici secolari, decine di pini cirmoli. Si sono aperte nuove strade definite bypass, anche queste larghissime. In alcune situazioni troviamo, accanto alla viabilità esistente, nuova viabilità parallela, fino a tre direttrici in meno di cento metri di dislivello.

Nella zona del Rumerlo, dove vi sarà l’arrivo delle gare di velocità, si sta costruendo un enorme piazzale che ospiterà la tribuna d’arrivo e il parcheggio. Si sta lavorando su un’area umida di grande pregio che era già da tempo utilizzata dal locale mondo impiantistico in modo irresponsabile e privo di sensibilità ambientale. Laddove vi sarà l’arrivo si lavora su terreno di riporto, infatti tre mesi fa le opere già realizzate avevano avuto cedimenti strutturali irreversibili.

E’ sufficiente vedere le fotografie che alleghiamo: piante che si piegano, il terreno che si apre e cede a valle. Per recuperare questo danno si sono moltiplicati i murazzi di sostegno della viabilità arrivando a cementificare per centinaia di metri e si sono costruite alte scogliere (fino a 8 metri) di massi impressionanti.

Non è quindi vero quanto ha riportato la stampa nazionale: a dire di un giornalismo ormai incapace di inchieste autonome la FISI avrebbe chiesto lo spostamento dei mondiali al 2022 per timore di una ripresa del CoViD-19. Come dimostrato nel marzo 2020 all’imprenditoria degli impiantisti non interessa la salute dei nostri cittadini: mentre il paese si rinchiudeva in casa le strutture turistiche invernali avevano tenuto tutto aperto. I risultati si sono visti con l’esplodere dei contagi nelle valli Gardena, Badia e Fassa, a Vermiglio. La richiesta dello spostamento è invece motivata solo dal fatto che le opere non saranno concluse entro l’inverno 2020: non certo le nuove piste, nemmeno l’accoglienza nelle zone degli arrivi e men che meno la viabilità di accesso (per le circonvallazioni si parla addirittura del 2024). Ancora una volta, nonostante i commissariamenti, il disprezzo per la normativa ambientale, il nostro Paese dimostra la totale inadeguatezza nell’ospitare eventi sportivi di tale rilevanza. Fra le prescrizioni dei lavori vi era inserita la dovuta sospensione dei lavori boschivi e stradali in bosco fino a settembre per permettere la cova e la nascita in tranquillità di specie protette e in via di estinzione nelle Alpi, il gallo cedrone ed in quota il gallo forcello. Abbiamo documentato come i lavori siano in corso in pieno giugno e in alcuni cantieri si lavori anche nei giorni festivi.

La Carta di Cortina
Il quadro che abbiamo documentato dimostra come la Carta di Cortina, un documento che nelle intenzioni dei sottoscrittori garantiva la piena sostenibilità dell’evento sportivo, non sia stata rispettata in nessun passaggio. Sembra invece si sia posta attenzione a massificare i danni all’ambiente, a costruire perfino il superfluo. Molte strade di cantiere aperte potevano essere evitate, del potenziamento della viabilità e dei parcheggi esistenti abbiamo già detto. Alla nostra attenzione è emersa una ulteriore sorpresa che fa il doppione con quanto avevamo già documentato in Marmolada, del resto i gestori a Cortina sono gli stessi attori presenti a Rocca Pietore. Laddove vi erano impianti dismessi il territorio non è stato bonificato. Nelle pieghe del bosco sono stati aperti magazzini in discariche (tali diventano i luoghi di deposito di materiali di lavoro abbandonati) sicuramente non autorizzate e non segnalate.

Con questo documento vogliamo ricordare come le istituzioni avevano sostenuto la candidatura della cittadina alpina ai mondiali 2021 definendoli i “primi mondiali sostenibili al mondo”. Era stata strutturata una “Carta di Cortina sulla sostenibilità degli sport invernali”. Il documento era stato subito contestato dagli ambientalisti e definito un documento privo di credibilità, un proclama ideologico, nullo nella indicazione di azioni dirette tese alla tutela dell’ambiente e della biodiversità presente nei luoghi che ospitavano le gare. Infatti poco tempo dopo le associazioni cadorine, compresa Mountain Wilderness e la CIPRA Italia elaboravano un documento alternativo, chiamato “la Carta verde di Cortina”.

Ritornando al documento istituzionale questo viene firmato in forma solenne e autocelebrativa a Cortina il 24 gennaio 2016. E’ sottoscritto dal Ministero dell’ambiente (quale garante?), dalla Regione Veneto, dal Comune di Cortina, dalla Confindustria degli impiantisti (ANEF), dalla Fondazione Cortina 2021, dalla FISI, da una sconosciuta associazione come SprecozeroNet e incredibilmente dalla Fondazione Dolomiti UNESCO, oggi, in presenza di un disastro tanto diffuso e a monte della sede, sempre più assente.
Nella parte introduttiva della Carta di Cortina si citano una caterva di documenti strategici in tema di conservazione dell’ambiente: i documenti UNESCO sulla sostenibilità dello sviluppo in montagna e del Turismo, le dichiarazioni emerse dalla COP21 di Parigi del dicembre 2015, perfino l’umiliata Convenzione delle Alpi. Nel documento si prende atto che “il turismo sostenibile costituisce un elemento chiave per lo sviluppo di un modello di una green economy alpina fondato sulla efficienza nell’uso delle risorse”.

Gli obiettivi proposti, tutti molto semplificati, dichiarazioni inefficaci, fanno riferimento alla Innovazione tesa al risparmio energetico con il fine di non penalizzare le generazioni future; si invita a considerare la vulnerabilità del territorio alpino rispetto agli impatti dovuti ai cambiamenti climatici in atto, si dice di investire nella partecipazione e nel coinvolgimento di tutte le parti interessate attraverso un processo partecipativo; si propone di investire in target misurabili sulla riduzione degli impatti. Non si è visto attuato alcuno di questi passaggi.

Nel prendere atto della situazione evidenziata anche dalle fotografie e da successiva nostra documentazione si deve dire a posteriori che gli ambientalisti locali e alcune associazioni avevano purtroppo avuto ragione nell’irridere la banalità di questa Carta. Non è un caso che ancora oggi venga continuamente ricordata dagli impiantisti e dai predatori delle alte quote come documento di riferimento del loro agire, ovunque. Con tristezza prendiamo atto come la tempesta Vaia e i cambiamenti climatici che l’hanno favorita, che la pandemia di CoViD-19, non abbiano lasciato traccia positiva sulla necessità di modificare radicalmente il nostro modello di sviluppo e il rispetto che tutte le componenti sociali devono alle montagne di tutto il mondo.
Protesta contro le opere per i Mondiali di sci 2021
a cura della redazione di amicodelpopolo.it
(pubblicato il 19 luglio 2020)
Oggi, domenica 19 luglio, oltre un centinaio di soci di comitati locali, di associazioni ambientaliste, del Cai, di liberi cittadini si sono ritrovati a Cortina d’Ampezzo per manifestare contro le opere in via di realizzazione per i Mondiali di sci alpino del 2021. La manifestazione si è svolta in due fasi “statiche”. La prima presso il parcheggio Alexander Hall, dove si sono tenuti diversi interventi. I rappresentanti locali hanno illustrato il percorso della assegnazione dei Mondiali a Cortina e l’impegno svolto dall’ambientalismo locale e nazionale per opporsi prima e per mitigare poi gli effetti negativi della manifestazione. E’ stato anche sottolineato che molti dei cantieri che sono stati aperti appaiono superflui e che nessuna opera del passato, non più usata, è stata demolita. E’ stata anche espressa la convinzione che siano state violate le normative europee riferite a Rete Natura 2000, direttiva Uccelli e Habitat, la Carta del Paesaggio, la Convenzione delle Alpi in 5 dei 9 protocolli (Difesa dei suoli, Foreste, Paesaggio e aree protette, Mobilità, Turismo) e che sia stata violata anche la Costituzione italiana all’art. 9, laddove si tutela il paesaggio, e all’art. 118, dove si esplicita che i processi partecipativi dei soggetti interessati devono essere favoriti dalle istituzioni.

Nel corso degli interventi è stato anche fatto presente che l’attuale generazione non può permettersi di consumare un solo metro quadrato in più di quanto è già avvenuto, nel rispetto dei diritti delle generazioni future.
Ora il lavoro dell’associazionismo consisterà nel raccogliere documentazione per illustrare all’Unione Europea e alle Federazioni sportive le inadempienze nei confronti delle direttive europee, nella convinzione che le Alpi non dispongano di luoghi idonei a sostenere i grandi eventi sportivi internazionali.
Nela seconda parte della manifestazione “statica” in località Cianzoppè (verso le 5 Torri) i partecipanti hanno messo a dimora un abete rosso di 8 anni, nato da sementi autoctone: una pianta simbolo dell’azione propositiva delle associazioni e dei cittadini italiani sensibili all’ambiente.
Berton (Confindustria): “Ambientalismo da salotto. Non rappresentano la montagna vera di chi vuol rimanere”
a cira della redazione di bellunopress.it
(pubblicato il 20 luglio 2020)

“L’aver piantato un abete rosso come gesto simbolico è effettivamente emblematico di come l’ambientalismo ideologico e da salotto guardi la montagna secondo gli stereotipi e gli interessi di chi vive in pianura e in città. Una visione distorta e pericolosa perché rischia di pregiudicare il futuro di chi vuole continuare a lavorare e a vivere in queste aree. I montanari, quelli veri, sanno benissimo che nelle nostre zone gli alberi sono troppi e di certo non serve piantarne di altri”.
Il presidente di Confindustria Belluno Dolomiti, Lorraine Berton, commenta così la manifestazione inscenata a Cortina d’Ampezzo domenica pomeriggio, per contestare gli interventi in vista dei Mondiali del 2021 e, da quanto si apprende, anche delle Olimpiadi del 2026.
“Ha perfettamente ragione un grande conoscitore della montagna come Annibale Salsa – prosegue Lorraine Berton – quando sostiene che bisognerebbe abolire la festa dell’albero a favore della festa dei prati, perché il paesaggio montano è stato stravolto dall’avanzare dei boschi, causato dall’abbandono dell’uomo. Chi invece guarda la montagna dalla prospettiva sbagliata viene qui a piantare alberi, con la scusa di un ambientalismo ideologico, salottiero e prevaricatore della volontà e degli interessi dei bellunesi”.
“Le grandi manifestazioni sportive – prosegue la numero uno degli industriali bellunesi, che presiede anche il Tavolo Tecnico “Sport e Grandi Eventi” a livello nazionale – sono una grande opportunità per il futuro del nostro territorio. Non solo per la visibilità planetaria che avremo, ma anche, e soprattutto, per le opere infrastrutturali che saranno realizzate, per affrontare la vera emergenza della nostra provincia: l’inadeguatezza delle infrastrutture fisiche e virtuali. Il che significa strade migliori, una ferrovia efficiente, nuovi collegamenti sciistici e banda larga ovunque. Solo così sarà possibile evitare l’isolamento della montagna bellunese e frenare lo spopolamento”. “Nei giorni scorsi – prosegue Lorraine Berton – abbiamo letto numeri a dir poco allarmanti: solo nel 2019 duemila giovani avrebbero lasciato la nostra provincia. È un pezzo di futuro che se ne va. Dobbiamo tamponare questa emorragia, rendendo il nostro territorio più attrattivo e più competitivo. Dobbiamo creare le condizioni perché le nostre imprese restino a produrre qui, garantendo occupazione e benessere diffuso. Dobbiamo favorire uno sviluppo sostenibile e inclusivo della montagna, investendo in tecnologia, competenze e green economy. Insomma, dobbiamo mettere al centro il futuro e la vita dei bellunesi, non i capricci e la smania di visibilità di qualche sparuto ambientalista che rappresenta poco più che sé stesso. La montagna è di chi la abita, non di chi la vive solo per una gita fuori porta”.
“Anche nell’ultimo fine settimana abbiamo visto cosa significhi avere una rete infrastrutturale inadeguata con la viabilità in tilt su A27, Alemagna ma anche sull’Agordina. Chiedo agli ambientalisti: quanto inquina una macchina in coda? Qual è il costo – anche paesaggistico – di una montagna che si spopola? Quali proposte alternative avanzano, piantare altri alberi?”.
“Rispetto le idee di questi signori, ma mi sento in obbligo di dire che non rispecchiano il parere della stragrande maggioranza dei bellunesi”, rimarca Berton. “Il nostro territorio ha bisogno di investimenti soprattutto ora: l’emergenza economica derivante dalla pandemia rischia di darci il colpo di grazia e accentuare le nostre fragilità strutturali. Per questo”, dice Berton, “il partito del no è fuori dal tempo e dalla storia ma soprattutto dal territorio”.
“Facile salire dalla pianura e protestare con merenda al sacco per poi tornarsene a casa, troppo facile”, conclude il presidente dell’Associazione industriali.
Una risposta
di Carlo Alberto Pinelli, presidente onorario di Mountain Wilderness International
L’esternazione della signora Lorraine Berton, responsabile della Confindustria del Bellunese è talmente intessuta di luoghi comuni, di frasi fatte, di affermazioni disinformate che grande sarebbe la voglia di rimandare in blocco alla mittente il suo giudizio sulla manifestazione ambientalista della scorsa domenica a Cortina,, senza perdere tempo per contestarlo punto per punto. Lo “sparuto gruppo di ambientalisti” che ha dato vita alla manifestazione era composto da qualificati esponenti di Mountain Wilderness Italia, di Italia Nostra, del WWF, della Fondazione Alex Langer, eccetera. Era presente lo stesso Club Alpino Italiano, noto per la prudenza delle sue prese di posizione. Ritengo però opportuno utilizzare qualche minuto per avanzare alcune riflessioni forse non marginali anche se certamente non esaustive. La signora Berton tira ancora una volta fuori dal cassetto la consunta definizione di “ambientalisti da salotto” per sostenere che “ la montagna è di chi la abita e non di chi la vive solo per una gita fuori porta”. Soprattutto se le motivazioni di questi gitanti derivano unicamente “da capricci e da smania di visibilità”. E meno male che la signora dichiara contestualmente di rispettare le idee di “quei signori”. Chissà cosa avrebbe detto se non le rispettasse! Ora, tralasciando il fatto che la definizione di ambientalisti da salotto (o di ambientalisti talebani) è l’ultima freccia (spuntata) di chi non ha argomenti seri da opporre, vorrei che la presidente della Confindustria bellunese ci spiegasse come la mette con la Costituzione italiana. La quale tutela il paesaggio (art. 9) a nome dell’intera comunità nazionale, senza fare differenza tra chi vive in pianura, in collina o in montagna e sovraordinando tale tutela alle convenienze circoscritte di ciascuna comunità locale, come ha sentenziato più volte la Corte Costituzionale.
Non ci sarebbe bisogno di ricordare che ciascun cittadino è eguale di fronte alla legge, per diritti e doveri. Mi sembra di capire che invece la signora Berton dia punteggi diversi a seconda della quota alla quale ciascuno di noi ha avuto in sorte di nascere e di operare. Chi proviene dalle città della pianura deve solo star zitto, anche se storicamente proprio ai ceti abbienti di quelle stesse città si deve la trasformazione di Cortina da piccola borgata abitata da un pugno di simpatici allevatori, boscaioli, contadini, in una delle più famose stazioni turistiche dell’intero arco alpino. Come reagirebbe a una simile imposizione il barone Franchetti, se fosse ancora vivo? Chi proviene dalla pianura può solo portare quattrini e non proporre limiti alla degradazione dei paesaggi che ha contribuito a rendere famosi?
Cortina, regina delle Dolomiti. Le valli, le vette, le rocce, le nevi, le foreste e le praterie delle Dolomiti, in larga parte inserite tra i monumenti del mondo dell’UNESCO, rappresentano un patrimonio naturale unico al mondo. Per questo motivo anche un abitante del Ghana o del Perù avrebbe tutto il diritto di preoccuparsi e di reagire venendo a conoscenza di minacce all’ integrità di questo patrimonio. La signora Berton si autoproclama l’ avvocato difensore delle autonome decisioni delle popolazioni locali. Pretesa poco credibile, mi si consenta di dire, perché non mi risulta che abbia mosso un dito per contestare le decisioni del Comitato Olimpico. Decisioni calate dall’alto, senza prevedere un vero e proprio percorso condiviso con la gente del posto. Guarda caso, la richiesta in questo senso era partita proprio dalle tanto disprezzate associazioni ambientaliste.
Non si deprima, la signora Berton, leggendo queste osservazioni. Alla fine concordo con Annibale Salsa, che lei cita a difesa delle proprie tesi. L’avanzata del bosco che a poco a poco si mangia prati e pascoli ormai abbandonati, addolora chi è legato sentimentalmente all’immagine culturale delle Dolomiti. Però eviterei di proclamare, come invece fa lei, che questi mutamenti naturali “stravolgono il paesaggio”. Suona strano che un verbo così melodrammatico venga utilizzato da chi ritiene che i vistosi sbancamenti dei pendii naturali, per aprire e modellare sempre nuove piste da sci, il paesaggio invece non lo stravolgono. Chissà perché. Difendere i prati e i pascoli significa anche – anzi soprattutto – difendere la cotica erbosa che nessun tentativo di “rinverdimento” potrà ricostituire, una volta sradicata. Forse la signora Berton non ne è al corrente, ma il microcosmo della cotica erbosa delle nostre Alpi è un prezioso relitto che risale all’ultima glaciazione. Le condizioni climatiche attuali non permettono quasi mai di ricrearlo artificialmente. Quando la neve se ne va restano solo i sassi e le ghiaie.
Tutte queste in fondo sono quisquiglie. Il punto centrale a mio parere è ancora un altro. Non è accettabile, perché è immorale, utilizzare il prestigio della Confindustria per spingere le comunità locali a proseguire lungo percorsi di sviluppo economico, non solo progressivamente sempre più dannosi per il patrimonio naturale montano, ma anche destinati al fallimento a causa degli inarrestabili effetti del riscaldamento globale del pianeta. Nei progetti studiati all’interno dei salotti dei sodali della signora Berton di questo triste destino non c’è traccia. L’imperativo degli imprenditori è quello di spremere in fretta e fino all’ultima goccia lo sci di pista con le sue devastanti infrastrutture, prima che il disastroso vicolo cieco in cui hanno cacciato le comunità locali divenga chiaro e inequivocabile a tutti.