La nascita della sezione del CAI di Lecco, 22 maggio 1874

Nella storia delle centinaia di Sezioni del Club Alpino Italiano si contano ormai con difficoltà le pubblicazioni edite in occasione delle classiche ricorrenze: decennali e loro multipli, che in alcuni casi hanno ormai raggiunto quota 150 anni. In questa vastità di commemorazioni stampate in volumi più o meno corposi e/o eleganti sono molte quelle che non sono riuscite ad andare neanche un po’ oltre all’interesse che può essere loro dedicato dai diretti soci protagonisti. Altrettanto parecchie però sono le pubblicazioni che sono andate al di là del semplice elenco di articoli celebrativi, nel tentativo (riuscito) di produrre storia e cultura.

Sono invece pochissime quelle che emergono dalla “solita rassegna di alpinismo giovanile, vecchietti, arrampicatori, ciclisti, soccorritori, bocciofila (Alberto Benini)”, riuscendo nel compito sovrumano quanto ingrato di presentare qualcosa che si lasci davvero leggere con interesse. Agili, godibili.

E’ questo il caso di In cammino con i pionieri, edito dal CAI Lecco in occasione dei suoi 150 anni (1874-2024), volutamente riservato ai primi cinquanta anni della sua storia.

Una scelta corretta, se consideriamo l’immane vastità di cose che avrebbero potuto trovarvi spazio se si fosse considerato il triplo degli anni. Gli autori, Alberto Benini, Pietro Corti e Sergio Poli, in accordo con la Presidenza del CAI Lecco, si sono concentrati sul filo rosso che collega l’attualità della sezione ai suoi primi decenni di vita.

Un gran lavoro, “stampato su carta a mano invece che lucida, per valorizzare figure citate a proposito e a sproposito (sempre Alberto Benini)”.

Altri Spazi è lieto di presentare al suo pubblico qualche articolo estratto da queste prestigiose 128 pagine. Altri due articoli sono stati pubblicati su GognaBlog, qui e qui.

La nascita della sezione del CAI di Lecco, 22 maggio 1874
di Alberto Benini, Pietro Corti e Sergio Poli
(pubblicato come introduzione a Il cammino con i pionieri, CAI Lecco)

Ma chi l’ha detto che necessariamente un richiamo al passato debba associarsi all’idea di noioso? Seguiteci in questo percorso fra le pagine solo apparentemente ingiallite in cui i nostri trisnonni e quadrisnonni ci raccontano le loro gite, il loro inventare un rapporto con le loro montagne che poi si estende ad altri monti e siamo certi che cambierete idea.

Affrontano con il sorriso sulle labbra la pioggia, le perdite di itinerario, i ritardi, gli osti grami e le guide impreparate (sarà vero, o anche qui chi sa maneggiar la penna scrive la storia?), i mille contrattempi, gli inevitabili accidenti che non sono poi tanto cambiati in questi 150 anni.

Inquadratura della Lecco a cavallo del XIX e XX secolo, che rappresenta efficacemente la simbiosi montagna – città.

Fondato a Torino nel 1863 da padri nobilissimi, Quintino Sella, Giovanni Barracco, Paolo e Giacinto di Saint Robert, tutti esponenti della classe politica di élite che aveva appena realizzato l’unità d’Italia, il Club Alpino Italiano si diffuse per il neonato Regno d’Italia, cui ancora mancava Roma capitale, abbastanza rapidamente. E giusto dieci anni dopo, in un immutato clima patriottico, metteva radici sulla sponda orientale del Lario, in quel borgo avviato “a diventar città”. Ma non ancora un unico comune, come si realizzerà una cinquantina di anni più tardi.

A costituire, ai piedi del Resegone e del San Martino la sezione lecchese del CAI, contribuì, non poteva essere altrimenti, una sorta di élite della cittadina costituita da industriali, commercianti e professionisti. Basti in proposito osservare che al proprio nome un buon quinto dei soci faceva precedere un titolo professionale (tipicamente ragioniere, dottore, ingegnere, professore). Ed è un vero peccato che di gran parte di queste figure non si sappia praticamente nulla, non avendo lasciato altra traccia di sé, se non in qualche resoconto alpinistico.

Altra inquadratura della Lecco a cavallo del XIX e XX secolo.

E così alcuni nomi (Chiesa, Castelli, Bonelli) che sovente tornano nell’alternarsi delle vicende schematizzate nei verbali del consiglio del CAI o nelle relazioni delle gite, non riescono a prendere dimensione di personaggi, come invece accade a Milano, Bergamo e Sondrio dove il CAI affonda radici più profonde nelle famiglie storiche delle rispettive città.

Altri nomi acquistano una certa rilevanza, spiccando dagli altri (Pozzi, Ongania, per tacere di Cermenati) soprattutto perché hanno lasciato traccia scritta del loro agire anche fra le vie della città, che comunque si è data parecchio da fare per dimenticarli. Sul piano della ricostruzione storica delle vicende del CAI a Lecco, le cose vanno definendosi un po’ meglio quando sulla scena appare Mario Cermenati che del CAI Lecco fu l’indiscusso sovrano dal 1890 all’anno della sua morte, il 1924, come si addice ad un vero monarca, seppure, nel nostro caso, di fede repubblicana-radicale.

Funamboli sulla piazza XX settembre: l’immagine evoca la confidenza col vuoto a un passo dalle abitazioni, caratteristica peculiare dell’alpinismo lecchese, nato sulle pareti verticali a ridosso della città.

È lui, con lo spirito ordinatore che gli deriva da un approccio scientifico cui si accompagnano un indiscutibile zelo pedagogico e una forte ambizione di primeggiare, a guidarci nella ricostruzione di quei primi anni, tenendo sott’occhio, come è agevole verificare, i libri dei verbali. E lo fa partendo proprio con un riferimento forte al suo maestro di geologia, il concittadino Antonio Stoppani, rivendicando per lui il ruolo di vero apostolo dell’alpinismo italiano:

Il Bel Paese del nostro Stoppani era appena uscito dai torchi [1873], che una folla di neofiti s’accalcava attorno agli alpinisti già consumati. La magica parola del sommo geologo aveva invogliato moltissimi a diventar soci del Club alpino italiano, quel Club che ha scritto sulla propria bandiera dell’excelsior, le sante parole: patria, scienza, educazione, igiene”.

La ricostruzione di Cermenati occupa una novantina di pagine nel più rilevante testo dedicato alla nostra storia: le Note alpinistiche volume II pubblicate nel 1893 dalla sezione lecchese, una specie di seguito alla pubblicazione di uguale titolo uscita nel 1885, col significativo sottotitolo di Note alpinistiche: reminiscenze di alcuni soci.

In quelle pagine Cermenati ricostruiva, pur non tacendo della difficoltà di scovare notizie sui primissimi anni della sua vita, l’attività della sezione, nata fra mille entusiasmi, ma presto ripiegatasi su se stessa e ingloriosamente spentasi nel 1880, per rinascere nel 1883 dalle proprie ceneri. E prima di addentrarci fra carte e documenti un’avvertenza: per non appesantire il testo con note e rinvii, affidiamo le indicazioni di ordine bibliografico (citazioni di fonti) e altre osservazioni complementari alla fine del volume, dove cerchiamo di dare conto di quanto permette, a chi lo desiderasse, di approfondire il nostro racconto.

Cermenati menzionava come primo cittadino “lecchese” (le virgolette sono evidentemente d’obbligo) appassionato di monti, tale John Franklin, insegnante di francese nelle locali scuole commerciali, che “aveva una gran smania per le escursioni ai monti. E seco conduceva i discepoli: mostrava loro le bellezze naturali di questa nostra plaga benedetta dalla natura […], in tal modo addestrò per vari anni i futuri soci della Sezione lecchese al nobile esercizio dell’alpinismo”.

Sia lode a Franklin e passiamo oltre, per ritrovarci il 24 maggio del 1874 sulla vetta del Resegone, dove la neonata Sezione svolge la sua gita inaugurale. È il dottor Giovanni Pozzi da Acquate a scriverne la cronaca. Ricopre la carica di presidente perché il concittadino, anche se ormai milanese e cosmopolita, abate Antonio Stoppani, essendo già a capo della sezione meneghina non ha potuto accettare la carica che gli sarebbe naturalmente spettata e che gli era stata ovviamente offerta.

La nascita della sezione Lecco racchiusa tra le montagne e il lago, vista dalla cresta sommitale del Monte Barro. Dai rioni periferici si è subito in montagna…
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