La storia delle rane verdi è quella di una epurazione genetica di una specie autoctona. Ed è da questo racconto che prende il via una rubrica in cui riveleremo alcune delle eccellenze degli anfibi della nostra regione (ma non solo) e dei pericoli che stanno correndo. A condurci in questa nuova avventura, Franco Andreone, conservatore di zoologia al Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino nonché uno dei massimi esperti in materia che ci rivelerà l’affascinante mondo degli anfibi, animali marginali a prima vista, ma che in realtà sono simboli di un mondo fragile e in estinzione.
La triste storia delle rane verdi del Piemonte
di Franco Andreone, Museo Regionale di Scienze Naturali (MRSN)
(pubblicato su piemonteparchi.it l’8 giugno 2022
Foto: Matteo Di Nicola
Studiare, parlare e raccontare di anfibi è un po’ la mia passione, oltre che il mio lavoro (sono conservatore di zoologia al Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino).
Da sempre ammiro questi animali, brillanti esempi di una biodiversità fragile ma affascinante. Presenti con 8474 specie mondiali (al 24 aprile 2022 secondo AmphibiaWeb), ma molte altre ancora da scoprire e descrivere, sono splendidi esempi di adattamenti e di evoluzione. Purtroppo gli anfibi – rane, salamandre, tritoni e cecilie – stanno scomparendo a una velocità accelerata per tutta una serie di cause.
Fra queste annoveriamo cambi e alterazioni di habitat, riscaldamento planetario, competizioni con specie introdotte, epidemie causate microscopici funghi parassiti. Una vera rivisitazione anfibia delle 7 piaghe d’Egitto in salsa batracologica!
Proprio per questo ho accettato con grande piacere l’invito di Piemonte Parchi, rivista con cui collaboro da diversi decenni, a vestire gli abiti di una sorta di “Sherlock Holmes degli anfibi” per scoprire le cause di meraviglia ma anche della loro estinzione. In questa rubrica racconterò un po’ delle eccellenze degli anfibi della nostra regione (qualche volta mi perdonerete excursus in altre aree del Mondo), e dei pericoli che stanno correndo. Perché abbiamo bisogno degli anfibi, anche se a prima vista ci possono sembrare animali marginali, simboli di un mondo fragile in estinzione e perché fanno parte del nostro patrimonio di biodiversità.
Le rane verdi che conosciamo tutti
Un anfibio che sicuramente un po’ tutti conoscono è la rana verde. Anzi, le rane verdi. Perché in Piemonte troviamo sotto questo nome specie definite in gergo scientifichese come “autoctone”, vale a dire originarie del nostro territorio, nonché altre specie, “alloctone”, aliene, esotiche, introdotte insomma, che stanno conducendo (e, purtroppo, vincendo) una guerra ecologico-evolutiva. Ma andiamo con calma e analizziamo tutti gli indizi e le prove.
Tanto per dire: le rane verdi sono le rane che tutti noi conosciamo e riconosciamo con il nome di rane per antonomasia. Canterine, a volte anche un po’ disturbatrici, vero simbolo di estati assolate al pari delle rumorose cicale. Oggi appartengono ad un genere dal nome di origine latino piuttosto difficile da ricordare, vale a dire Pelophylax, il cui significato etimologico è “guardiano del fango”. Fino a qualche anno fa era un po’ più semplice, in quanto erano tutte raggruppate, neanche a farlo apposta, sotto il genere onnicomprensivo Rana.
Poi, l’analisi dei tassonomi (gli scienziati che, come me, si occupano di sistematica e di nomenclatura del mondo biologico) ha dimostrato che con il nome Rana vanno considerate solo le cosiddette “rane brune”, di cui certamente vi parlerò nel corso di una prossima indagine.
Le rane verdi del genere Pelophylax erano originariamente presenti in Piemonte con P. lessonae e con P. kl. esculentus. La prima é nota con il nome volgare di “rana verde minore”, o, per l’appunto, “rana verde di Lessona”. Personalmente ho un una vera venerazione per Michele Lessona, zoologo e politico torinese (anzi venariese – Venaria Reale, nei dintorni della città, NdR) che da’ il nome ad una via della nostra città (uno dei pochi zoologi ad avere questo privilegio), direttore del Museo di Zoologia alla fine dell’Ottocento.
Suo genero, Lorenzo Camerano, anche lui zoologo e successore alla guida del museo torinese, gli dedicò questa bella rana verde, caratterizzata da dimensioni piuttosto piccole e da una colorazione spesso giallo/verde.
Pelophylax kl. esculentus, alias “rana esculenta” o “rana dei fossi”, é in realtà un ibrido fra P. lessonae e la rana verde maggiore, P. ridibundus. Quest’ultima specie in realtà non é presente in Piemonte, ma rappresenta una c.d. “specie parentale” che ha dato origine, insieme a P. lessonae all’ibrido P. kl. esculentus.
In greco esculentus significa mangiabile o mangereccia, un nome che tradisce l’interesse culinario verso queste rane che un tempo erano molto abbondanti, soprattutto nelle risaie del Vercellese e del Novarese.
Pelophylax kl. esculentus é una sorta di “parassita genetico”, nel senso che ha due corredi genetici delle specie parentali, P. lessonae e P. ridibundus. L’abbreviazione “kl.” che sta fra i due nomi significa klepton, vale a dire “ladro” in greco. Infatti, nel corso della fecondazione, di fatto si comporta come se fosse P. ridibundus, contribuendo a creare popolazioni miste lessonae-esculentus.
Purtroppo l’introduzione, sempre per scopo alimentare, di altre rane verdi da aree balcaniche ha scombussolato tutta la situazione. E’ la globalizzazione, bellezza! In pratica questa specie, P. kurtmuelleri, molto simile a P. ridibundus, riesce anch’essa ad accoppiarsi con le rane verdi autoctone. Ma in questo caso, purtroppo, il suo corredo genetico si comporta differentemente da quanto avviene con P. ridibundus. Nel senso che sostituisce quello di P. lessonae e di P. kl. esculentus, creando de facto delle popolazioni pure della loro specie.
Le conseguenze della contaminazione genetica
Questa contaminazione genetica è’ una vera e propria epurazione e ha di fatto portato a una notevole compromissione delle popolazioni del basso Piemonte (provincia di Cuneo e di Alessandria). Le popolazioni originarie di rane verdi di queste aree (ma non solo oramai) sono quasi scomparse (come in precedenza dalla Liguria) e sopravvivono solo in aree marginali. Una vera e propria estinzione in atto, ma silenziosa. Il tragico di questo racconto è che le rane verdi dei Balcani sono per i più sostanzialmente indistinguibili dalle rane verdi autoctone. Dunque, é ben difficile proporre azioni di contenimento, perché, in fin dei conti “una rana vale (per il popolo) una rana”.
Per il resto, storie di ordinaria follia ed estinzione. La scomparsa delle rane verdi é anche causata dall’alterazione degli habitat, dalla scomparsa dei siti riproduttivi, dalla riduzione delle risaie e dalla loro trasformazione irreversibile: specie un tempo frequenti, visibili e abbondanti oggi scompaiono da molti dei siti un tempo loro propri. Sostituite dalle rane balcaniche o minacciate dalla presenza e dall’espansione di un altro alloctono pericolosissimo, il gambero della Louisiana, di cui scriverò in una prossima puntata.
La rarefazione/estinzione della rana verde di Lessona e del suo ibrido rana esculenta è un simbolo, in quanto mostra come anche un animale (un tempo) comune stia scomparendo.
Al Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino conserviamo l’esemplare tipico, vale a dire l’esemplare su cui è avvenuta la descrizione di Rana lessonae da parte di Lorenzo Camerano. Un grande onore e una grande responsabilità. Camerano, non ho dubbi, non sarebbe affatto contento di assistere all’estinzione della specie dedicata a Michele Lessona.
Per intanto la specie é anche diventata simbolo del Congresso della Societas Herpetologica Italica che avrà luogo proprio a Torino dal 13 al 17 settembre 2022.
In quest’occasione si parlerà sicuramente di estinzione di anfibi e, per questo, invito ufficialmente tutti i lettori di Piemonte Parchi a informarsi sul web e, se interessati, a partecipare al Congresso.
NB Le fotografie di Matteo Di Nicola sono soggette a Copyright (per eventuali richieste: matteodinicola86@libero.it )
Affascinante l’argomento “anfibi”, animali un po’ negletti ne3ll’immaginario collettivo. Bellissime le foto dell’articolo. Il tema della conservazione delle specie autoctone è molto più importante di quello che appare ai normali cittadini. Non voglio rubare spazio all’autore che è ovviamente molto più preparato di me. Ma il tema si estende ben oltre i confini degli anfibi, riguarda ormai molte specie animali e anche vegetali. Ovviamente è sempre “colpa” dell’attività umana: abbiamo importato (volutamente o senza rendercene conto) specie da altri contesti ambientali e queste stanno colonizzando i nostri spazi, spesso a scapito delle nostre specie storiche. Proprio a Torino, il Parco del Valentino è ormai completamente invaso da scoiattoli grigi, di provenienza americana. Sono più grossi e “sfacciati” degli scoiattolini nostrani, rossicci e piccolini, che di fatti non si vedono più, potrebbero già essere estinti. Non che i cugini americani li abbiano sbranati, semplicemente prendono più rapidamente le “provviste” (parlo in modo spicciolo per farmi capire) e tolgono spazio e risorse ai nostri rossicci. Gli scoiattoli americani, con gran codone color sale e pepe, non hanno timori e si avvicinano ad adulti e bambini. Questi ultimi sono felicissimi, credono di essere immersi in un cartone animato di Walt Disney, ma nessuno si rende ben conto che la diffusione degli scoiattoli americani è una nostra “sconfitta” sul piano ecologico… Potrei fare mille altri esempi, dalle nutrie che hanno colonizzato il Po cittadino fino al “pesce siluro”, importato dall’area danubiana per far felici i pescatori del Po nel suo tratto finale, verso il delta. Peccato che il siluro sia un predatore spietato, non ha avversari naturali e sta risalendo il letto sia del Po che di alcuni suoi affluenti, sterminando la fauna ittica nostrana… “Continuiamo così, facciamoci del male” diceva Nanni Moretti 40 anni fa (mi pare che il film fosse “Bianca”)…