Si chiude dopo quattro anni il processo di primo grado sul caso delle sostanze dannose per le persone e per l’ambiente rilasciate nella falda del Vicentino: 141 anni di reclusione per 11 imputati.
Pfas in Veneto: condanne per chi ha avvelenato l’acqua
di Luca Bortoli
(pubblicato su avvenire.it il 26 giugno 2025)
Dopo quattro anni e 133 udienze, si è concluso con una sentenza storica ieri pomeriggio al tribunale di Vicenza il processo di primo grado per la più grande contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) che si sia registrata fino a oggi. Numerose e pesanti le condanne per 11 dei 15 manager e dipendenti dell’azienda chimica Miteni di Trissino, nel Vicentino: le fattispecie di reato di cui sono responsabili sono l’avvelenamento delle acque, il disastro innominato, l’inquinamento ambientale e la bancarotta per falso in bilancio. A fare di questa sentenza una pietra miliare del diritto ambientale è la natura dolosa dei primi due reati: in sostanza, chi ha inquinato lo faceva essendo cosciente dei danni che avrebbe potuto procurare a persone e cose.
A carico dei condannati – tra cui figurano giapponesi e tedeschi in forze alle multinazionali Mitsubishi e Icig, controllanti di Miteni – la Corte d’assise presieduta dal giudice Antonella Crea ha spiccato in totale 141 anni di reclusione (quattro gli assolti) a fronte di 121 anni e sei mesi e sei assoluzioni chiesti della procura berica. La pena massima tocca a Brian Anthony Mc Glinn (17 anni e sei mesi), la minima a Davide Drusian (2 anni e otto mesi e 15mila reo di multa), 17 anni di reclusione attendono anche Patrick Schnitzer, Achim Rieman e Luigi Guarracino; 16 anni di carcere attendono Naoyuki Kimura, Yuji Suetsune e Alexander Smit, 11 anni a Maki Hosoda, 6 anni e 4 mesi all’ultimo amministratore delegato di Miteni Antonio Nardone e 4 anni e sei mesi a Martin Leitgeb. Delle 338 parti civili oltre 200 sono Mamme no Pfas e altri cittadini che a partire dal 2017 hanno scoperto che nel loro sangue e in quello dei loro figli erano presenti concentrazioni preoccupanti di Pfas: per ognuno di loro la corte ha stabilito un risarcimento di 15mila euro, 80mila euro vanno ai Comuni costituitisi parte civile, mentre 50mila euro vanno a ciascuna organizzazione ambientalista che ha seguito dapprincipio il caso: Greenpeace, il circolo Perla Blu di Legambiente, Acqua Bene Comune onlus. Risarcite anche le istituzioni, a partire dal Ministero dell’Ambiente (56,8 milioni di euro), la Regione Veneto (6,5 milioni), i consigli di bacino, e gli enti gestori della risorsa idrica.
A 12 anni dallo studio condotto dal dottor Stefano Polesello per Cnr-Irsa, che dimostrava la presenza di questi temibili contaminanti in molti bacini fluviali italiani, ma in misura fuori scala nel Veneto centrale, si giunge così a un punto fermo giudiziario, atteso da tutti i 300 mila veneti toccati dalla contaminazione nelle provincie di Vicenza, Verona e Padova, che ogni giorno convivono con delle molecole indistruttibili, utilizzate in svariati campi (dalla medicina al tessile, passando per materiali per la cucina o lo spegnimento di incendi) che più ricerche scientifiche hanno correlato a patologie come il cancro del rene e del testicolo, malattie cardiovascolari, ma anche preeclampsia in gravidanza oltre che malformazioni alla nascita. Dal sito della fabbrica (nata negli anni Sessanta come Rimar-Ricerche Marzotto), gli inquinanti hanno contaminato la seconda falda acquifera d’Europa per capacità per poi raggiungere l’organismo umano e animale.
Alla lettura del dispositivo, le Mamme no Pfas presenti in aula si sono lasciate andare a profonda commozione e gioia. Michela Zamboni, mamma attiva dalla prima ora: «In questo momento siamo letteralmente sopraffatte dall’emozione. Speravamo in una sentenza così, ma sentire leggere in aula tutti i nomi nostri e dei membri delle nostre famiglie, e pensare alla storia che c’è dietro a ciascuno di questi nomi è stato davvero molto forte. Ora la nostra missione non si ferma: ci sono gli altri gradi di giudizio, ma stiamo ancora aspettando che inizi la bonifica del sito Miteni che continua a sversare veleni in ambienti, attendiamo una legge che imponga limiti nazionali allo sversamento di queste sostanze e soprattutto perseguiamo il bando di queste molecole da ogni processo industriale».
Maria Chiara Rodeghiero di Medicina democratica è colei che ha depositato l’esposto in procura da cui il processo è partito: «L’etica e la morale non devono mai essere abbandonata da nessun cittadino e tanto meno da un imprenditore – ha detto in lacrime – È necessario imparare a fare imprenditoria sana, senza minare nel silenzio la salute dei cittadini. Oggi abbiamo sperimentato una giustizia “giusta”». Alberto Peruffo, attivista della prima ora, ha sottolineato come «questa sentenza storica dimostra che le multinazionali possono essere fermate quando sono criminali. Ma adesso dobbiamo rivolgere l’attenzione a chi ha permesso tutto questo».
Per ulteriori approfondimenti
https://lavialibera.it/it-schede-2334-miteni_pesanti_condanne_agli_ex_manager_per_l_inquinamento_da_pfas_nel_vicentino
https://lavialibera.it/it-schede-1123-inquinamenti_pfas_miteni_solvay