GognaBlog il 5 ottobre 2020 aveva pubblicato un articolo, ripreso dal pregevole sito camoscibianchi.wordpress.com, contenente la proposta di Toni Farina di istituire una Montagna Sacra nel territorio del Parco Nazionale del Gran Paradiso, in occasione dei festeggiamenti del centenario della sua nascita. A detto articolo era seguito un altro, a complemento il 26 gennaio 2021.
Di seguito pubblichiamo le considerazioni di un alpinista, accademico del CAI, in merito alla proposta di Farina.
Riflessioni sulla Montagna Sacra
di Luca Enrico
(pubblicato su camoscibianchi.wordpress.com il 23 aprile 2021)
Il prossimo anno ricorrerà il centenario di uno dei parchi più antichi, famosi e rappresentativi di tutta Italia: il Parco Nazionale del Gran Paradiso. Certamente un evento che non potrà passare in sordina vista l’importanza di quest’area protetta, nata dalle ceneri della riserva di caccia nella quale scorrazzava il re Vittorio Emanuele II, dilettandosi nell’abbattere volatili e ungulati di ogni specie. Oggigiorno camosci e stambecchi non devono più temere le doppiette del sovrano, finendo appesi come trofei in qualche palazzina di caccia, ma devono solo più convivere con escursionisti e turisti che nelle belle giornate salgono lassù per godere dell’aria fresca e delle bellezze del panorama.
Leggo di una proposta di Toni Farina, rappresentante delle associazioni ambientaliste nel Direttivo del Parco, volta ad istituire una sorta di “Montagna Sacra”, all’interno dell’area protetta, inviolabile “come limite che l’uomo – o la comunità degli alpinisti – decide autonomamente di darsi e di rispettare con lo scopo di creare consapevolezza e cultura ambientale”. L’idea di Toni nasce sicuramente con l’intento di creare un simbolo contro l’antropizzazione e la mercificazione della montagna, contro un certo sentire, prettamente da cultura occidentale, che si riverbera anche e inevitabilmente nella pratica alpinistica, quello del “fare” ad ogni costo. Il pensiero non ci basta, non ci è sufficiente, deve sempre essere accompagnato dall’azione, dalla concretizzazione del nostro desiderio, che molto spesso però significa anche la fine di un sogno. Forse, in verità, questo modo di approcciarsi altro non è che un retaggio dell’epoca dei lumi quando la scienza e la ragione portarono a conquistare le prime grandi montagne. Non avvenne per il bisogno di entrare in sintonia con la natura ma semplicemente per la sete di conoscenza, per affermare la supremazia dell’uomo su un ambiente ostile e che di umano ha ben poco.
Per l’alpinista moderno, che non agisce con scopi scientifici, l’importante è riuscire a calcare la vetta, a mettere l’ennesima “bandierina” sulla nuova cima conquistata. E poco importa se per farlo abbiamo dovuto prendere una funivia o aver fatto i turni per mangiare in un rifugio, che di alpino ha solo più il nome perché dotato di tutti quei comfort che solo nelle nostre intenzioni vorremmo lasciare in pianura. Forse però la montagna più bella è quella che non saliremo mai, ma questo poco ci importa.
L’intento di Toni, ammirevole e per certi versi condivisibile, almeno nella filosofia con cui vorrebbe essere attuato, mi trova però un po’ dubbioso su certi aspetti. Istituire una montagna sacra potrebbe essere controproducente, scatenando non tanto la volontà di percorrere con altri occhi i sentieri e le pareti ma generando una curiosità quasi morbosa, in particolare nelle fila di un certo tipo di escursionismo incline al turismo. Mi viene in mente la scena iniziale di “2001 Odissea nello Spazio”, quella con gli scimmioni che girano intorno alla stele guardandola con stupore e curiosità. Ecco, come prima cosa non vorrei che l’istituzione di una siffatta montagna portasse a un voyeurismo montano di bassa lega, che non solo si allontanerebbe da quello che vorrebbe essere lo spirito dell’iniziativa ma che anzi concorrerebbe solo a trasportare alle pendici di quel monte orde di vocianti turisti, poco o nulla interessati al simbolo e al risvolto filosofico della cosa ma solo propensi a portarsi a casa una foto della “Montagna Sacra”. Mi immagino già certi commenti da salotto: “Domenica sono stato a vedere la Montagna Sacra!!”. Diventerebbe una, credo non voluta, azzeccata operazione di marketing alpino. Qualcuno magari stamperà delle cartoline e qualcun altro aprirà un agriturismo o una birreria chiamandola “La Montagna Sacra”, di fatto svilendo quel simbolo.
Ma anche se le mie supposizione non si verificassero, trovo che in una siffatta istituzione ci sia un retrogusto di ipocrisia. Ma non da parte di Toni, che conoscendolo agisce in buona fede, ma dovuta al “sistema montagna”. Troverei disdicevole che amministratori, politicanti e gerarchie del CAI presenziassero alla cerimonia dell’istituzione del monte sacro, lodando l’iniziativa, propugnando il turismo ecosostenibile e la necessità di far rivivere la montagna in maniere dolce, riempiendosi la bocca con la wilderness quando poco discosto da quel paradiso, che è l’omonimo parco, viene permessa un’attività becera quale l’eliski! Alla faccia di tutte le “Montagne Sacre” si permetterebbe comunque a poche persone di continuare a lucrare su un modo di approcciarsi alla montagna inquinante e dannoso, appannaggio di pochi benestanti irrispettosi dell’ambiente e della fauna, disturbata e spaventata dalle rotazioni di un elicottero, e vittima della gretta mercificazione della montagna da parte di categorie che dovrebbero invece salvaguardarne i valori. Per questo trovo che se si vogliono affermare certi valori si dovrebbe farlo innanzitutto nella pratica, lottando e impuntandosi per far cessare tale pratica e non creare un mero simbolo che dall’elicottero apparirebbe ancora più intrigante ma del tutto inutile e che forse, anzi, verrebbe irriso. Ma il “sistema montagna” passa anche attraverso gli impianti di risalita, i rifugi superaffollati, attraverso quella che con brutta parola è la “fruizione” della montagna.
Tutti devono poterci andare e sempre in piena sicurezza, tutti devono poter dormire in una calda cuccetta ed essere serviti e riveriti in quelli che sono alberghi d’alta quota. Trasportare a duemila metri le comodità cittadine non è cultura ambientale, la cultura ambientale la si può vivere e raggiungere solo immergendosi nella natura selvaggia, in valloni lontani e scomodi che però sapranno farci dono di tutta la loro bellezza entrando in armonia con chi li percorre. Se si smantellassero gli impianti di risalita e i rifugi, degradandoli al limite a bivacchi, probabilmente la frequentazione diminuirebbe e in montagna andrebbero solo coloro che sono davvero appassionati e vogliosi di approcciarsi a un tal ambiente. Solo così si recupererebbe il rapporto vero con la natura, impossibile se si è in fila indiana su un ghiacciaio o accalcati in un refettorio di un rifugio strapieno all’inverosimile. Sono fermamente contrario ai numeri chiusi in montagna e ai divieti perché l’andar per monti è da sempre sinonimo di libertà: basterebbe, come detto, smantellare le comodità, non rendere tutto possibile a tutti. Questo “rendere tutto possibile a tutti “ è il vero problema, il messaggio sbagliato, la non cultura che non crea consapevolezza. Che non crea la consapevolezza dei propri limiti e di riflesso quella ambientale.
Per concludere dico solo che io sono un alpinista e le montagne chiaramente mi piace salirle e mi piace immaginare e scorgere tra le loro pieghe nuovi itinerari e nuove discese abbattendo, ne sono consapevole, il recinto della sacralità, dell’ignoto, della bellezza appagante solo alla vista. A prescindere non sono però contrario a una “Montagna Sacra”, a una montagna solo da immaginare attraverso le brume della pianura, lontana e inaccessibile, con le sue nevi perenni scintillanti al tramonto. Trovo però che sarebbe un simbolo di poca utilità, solo per far finta che qualcosa viene fatto quando intorno il “sistema montagna” prosegue come nulla fosse.
Conosco, quanto meno di fama, e stimo molto Toni Farina, di cui è noto l’impegno ambientalista, specie in seno al PNGP. Ho però già avuto occasione di dire che l’idea della vetta sacra è un “totem” che rischia di rivelarsi inutile se non addirittura un dannoso boomerang. Troppo distante dalla nostra cultura, che storicamente tende a piazzare Madonnine, croci o quanto meno ometti di pietra sulle vette, come testimonianza della “conquista” del territorio. Sarebbe quindi una forzatura che non è armonica con il pensiero comune. Inoltre un conto è una vetta sacra dalla notte dei tempi, come il Kangchenjunga o il Monte Olimpo, un altro (completamente diverso) è una vetta che, di punto in bianco, diventa off limits per decisione burocratica. Per chi volesse approfondire alcune mie riflessioni sul ruolo dei Parchi (in particolare del PNGP) nella nostra civiltà post-moderna, che però sta riscoprendo il lato green e slow dell’outdoor, segnalo il link di un articolo apparso nell’autunno scorso sul Gogna Blog (il tema PNGP è trattato verso il fondo):
https://gognablog.sherpa-gate.com/il-mistero-del-money/