Rischi in Natura — Un po’ di chiarezza

di Paolo Gallese 
(pubblicato su medium.com il 1° luglio 2018)

Quello di vivere la Natura, magari in modo solitario, accamparsi in luoghi deserti, naturalisticamente splendidi, godere dei silenzi, dei suoni, dei colori o delle notti, è il sogno di molti. Domanda: è pericoloso?

Non esiste una risposta univoca e, in ogni caso, è un discorso di elementi qualitativi, più che di pericoli intesi in modo statistico. Tendenzialmente potremmo rispondere sì, anche in quella che consideriamo la nostra “tranquilla” (naturalisticamente) Italia, tagliando la testa al toro. E questo per enfatizzare un elemento che spesso si tende a trascurare, cioè l’esperienza reale della persona che si vuole cimentare in Natura.

Esistono pericoli oggettivi e soggettivi. E per quanto riguarda i primi, la casistica è davvero numerosa, al punto di non poter essere esplicitata in un breve scritto. Potremmo dire, in modo generico, che dipende sempre dai luoghi in cui vogliamo andare, dalle loro caratteristiche ambientali, l’altitudine, la stagione, la morfologia, il clima locale, la vicinanza o meno da luoghi antropizzati. Oggettivamente ci sono sempre dei pericoli, più o meno concreti e specifici, che amplificano il loro potenziale problematico qualora si decida di affrontarli da soli. Ed è bene sapere che ogni specifico ambiente offre variegati i suoi grandi o piccoli pericoli. La Natura non va mai presa sottogamba per due motivi molto concreti, che si tende a dimenticare: è indifferente, quindi non ci aiuterà (semmai avremo la sensazione del contrario); è complessa, dunque nasconde decine di variabili, che spesso non si conoscono, ma che si impara a conoscere (a volte con brutte avventure).

La Natura va studiata, pian piano, imparando quel che c’è da sapere di utile per il nostro desiderio. E oltre ad essere studiata bisogna imparare ad osservarla, osservarla tanto, tantissimo. E poi parlarne con chi la conosce meglio di noi. Insomma è un percorso di conoscenza e acquisizione di conoscenza. Molto progressivo. Tenendo presente che potrà capitare, in alcuni momenti, di acquisire conoscenza trascorrendo dei gran brutti quarti d’ora.

Se non vi siate confrontati con qualcuno che conosce bene il luogo in cui volete andare e che vi può dire in anticipo cosa troverete e cosa potrebbe accadere, per favore, non andate da nessuna parte. Sto parlando di luoghi particolari, isolati, abbastanza vergini, per nulla o poco antropizzati. Sembra banale, suggerire di informarsi, ma spesso (sempre più oserei dire…) non accade. Si va sul Web… che vi offrirà pochissimo.

E qui passiamo alla dimensione soggettiva. Troppo spesso sopravvalutata, soprattutto ai tempi d’oggi, in cui in tanti vanno in palestra, corrono e dunque si sentono fisicamente pronti ad affrontare le fatiche di un ambiente incontaminato. Solo che non è una palestra, né un bel parco cittadino. E’ un luogo che chiederà al vostro corpo non tanto “prestazioni”, bensì “reazioni” molto diverse. Il problema in Natura non è solo la resistenza fisica (che potreste dover sperimentare), ma l’adattamento a situazioni in cui la resistenza fisica è solo un aspetto del problema. L’adattabilità, la resistenza prolungata a situazioni in cui sia necessario adattarsi, la buona conoscenza del nostro corpo in quelle situazioni (caldo, freddo, pioggia, non lavarsi, non mangiare e chi più ne ha più ne metta). Dimensioni concrete che metteranno alla prova la nostra dimensione psicologica. L’adattamento fisico può essere compensato da una grande determinazione psicologica, da una lucidità prolungata, da una consapevolezza precisa, o elastica, della situazione).

Le situazioni di “crisi” possono diventare estremamente problematiche se psicologicamente ci troveremo in difficoltà e con scarso spirito di adattamento e capacità di reazione adeguata. E sono cose che si imparano solo sul campo, in diversi, molti, anni.

Volevo scrivere questo articolo in modo un po’ buffo, parlando di marmotte e topolini di montagna. Ma ho deciso di non minimizzare troppo, per chi ha poca esperienza. Un banale temporale estivo può trasformarsi in un inferno biblico a un chilometro da un caldo rifugio attrezzato. Quindi meglio dirlo.

Quindi lasciate perdere?

Affatto! Semplicemente non partite in quarta da soli. Andate con chi ha esperienza, imparate facendo belle cose tranquille con chi sa già come farvele vivere, apprezzare e memorizzare. insomma, imparate un po’.

E ricordate che la prova più grande l’avrete superata quando, una notte senza luna, non cadrete in preda al panico quando un losco, insinuante e microscopico mostro peloso dagli occhi furbi, si metterà a rosicchiare la vostra tenda… sempre che non decida drammaticamente, ma teatralmente, di pisciarci anche sopra! (a me capitò nel 1981 e non ho mai capito che animale fosse. Era veloce, tenacissimo e stronzo).

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1 Comments

  1. says: Carlo Crovella

    Bell’articolo, l’ho trovato molto british: dice cose vere, serie e fondate, ma con un sottile humor. Molto istruttivo per chi è uso all’approccio oggi dominante, quello del “mordi e fuggi” prestazionale. Per imparare davvero cosa significhi stare in natura, occorre immergersi dentro: è più istruttiva una notte in tenda che 2.000 m di dislivello con passo gagliardo.

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