Shivling: sulla cima della montagna sacra

Shivling: sulla cima della montagna sacra
di Lorenzo Colombo
(pubblicato su Passo dopo passo, CAI Sottosezione di Ballabio)

In occasione del ventennale di fondazione (1977-1997), il CAI Ballabio decide di organizzare un evento speciale per commemorare il prestigioso traguardo. Tra le ipotesi prese in considerazione c’è anche quella di conquistare l’Everest, il tetto del mondo (8848 metri riportano gli atlanti, 8844,43 metri sostiene il Dipartimento cinese di cartografia dopo la spedizione datata luglio 2007). Obiettivo altisonante, che avrebbe avuto una duplice funzione: quella di festeggiare i vent’anni della Sottosezione e i 50 anni del coriaceo Bruno Lombardini, socio consigliere della Sottosezione nonché membro dei Ragni di Lecco. Alla fine l’ipotesi Everest viene accantonata e, come capita a volte, la scelta della meta avviene in modo singolare. In uno dei tanti venerdì sera, quando la sede CAI viene aperta a soci e simpatizzanti, fa ingresso Luigi Corti, che con i suoi modi risoluti e sbrigativi mostra ai presenti una foto dello Shivling e sbotta: «Che ghem de na! Al Shivling. Il Cervino dell’India… (Qui dobbiamo andare! Allo Shivling. Il Cervino dell’India)».

Il magnifico Shivling 6543 m ribattezzato il «Cervino dell’India».
Foto di rito: In piedi, da sinistra: Alberto Pirovano, Giuseppe Calumer Orlandi, Dario Locatela, Simone Bellani, l’ufficiale di collegamento, Andry Dell’Oro, Alberto Balossi, Michele Lancini, Giorgio Tessari, il capo dei portatori; inginocchiati, da sinistra: Sergio Montini, Luigi Corti, Bruno Lombardini, Gianmaria Smit Garetti, Ivan Zucchi.

Silenzio in sala e qualche sguardo smarrito. Si accende la discussione e dopo una serie di scambi di opinioni la Sottosezione approva la proposta di Corti. Non senza qualche perplessità viste le difficoltà dell’impresa, fino ad allora riuscita solo ai due altoatesini Hans Kammerlander e Christoph Heinz. Un’idea quella di Corti suggerita da Danilo Valsecchi, come ricorda nel recente libro autobiografico (1), dove scrive: «Mi trovo in Grignetta e incontro Danilo che mi chiede dove andiamo a festeggiare il 20° anniversario del CAI. Mi propone di organizzare una spedizione allo Shivling...».

Lo Shivling, appunto. Con i suoi 6543 metri è una delle più belle montagne himalayane del Gharwal indiano. Per gli indù è una montagna sacra, simbolo della fertilità di Shiva Lingam, dio della distruzione e della rinascita. Qui nasce il fiume Gange, che con le sue acque dispensa l’intera pianura indiana. Questi luoghi sono frequentati da alpinisti, ma anche da turisti e viaggiatori provenienti da tutto il mondo attratti dalla cultura e dalle tradizioni di questi luoghi dove la natura sembra favorire la dimensione spirituale. Tuttavia la proposta di Corti era stata approvata non solo per l’importanza della montagna, ma anche perché sposava appieno due condizioni che la Sottosezione aveva imposto prima scegliere la meta. La prima condizione era quella di coinvolgere giovani alpinisti; la seconda era dare la possibilità a chiunque volesse di prendere parte alla «gita» anche come semplice trekker. In questo caso, anziché accompagnare gli alpinisti fino al Campo Base per supportarli nell’impresa, l’opzione consentiva di effettuare un’escursione alternativa.

È per questo motivo che all’iniziativa aderiscono i trekker: Katia Conti, Alessandra Negri, Venanzio Maconi e Fabio De Rocchi, che scelgono il percorso alternativo. Mentre alla spedizione vera e propria prendono parte: Bruno Lombardini, Gianmaria Smit Goretti, Luigi Corti, Giuseppe Calumer Orlandi, Giorgio Tessari, Michele Lancini, Alberto Balossi, Sergio Montini, Simone Bellani, Alberto Pirovano, Andry Dell’Oro, Dario Metallica Spreafico e Ivan Zuffi.

Decisa la meta e nominato il Ragno Lombardini capo spedizione, sorgono due problemi: individuare il periodo di partenza e scegliere la persona che si sarebbe dovuta accollare l’onere dell’organizzazione, materiale a parte, perché questo incarico era stato assegnato direttamente a Lombardini.

Alla fine l’organizzazione viene affidata alle mani di due giovani intraprendenti, Andry Dell’Oro dei Gamma e Alberto Pirovano entrato da poco nel «club» dei Maglioni Rossi. Si stabilisce anche il periodo: partenza il 27 luglio e ritorno il 27 agosto 1997. Certo non il periodo migliore, anche se la stagione dei monsoni stava per finire, ma del resto era l’unico in cui nessuno dei protagonisti aveva problemi di lavoro.

I preparativi proseguono celermente, con casa Lombardini che pian piano diventa un vero e proprio magazzino, mentre il CAI si dà da fare per cercare di coinvolgere qualche sponsor.

Nel frattempo per conoscere meglio lo Shivling il gruppo riesce, tramite Bruno Gaddi titolare dell’agenzia cui la spedizione si stava appoggiando, a incontrare tre alpinisti svizzeri, gli stessi che nel mese di maggio del medesimo anno avevano tentato l’impresa lungo la via normale senza riuscirci.

II giorno della partenza, come da programma il 27 luglio, il gruppo decolla da Milano, scalo a Stoccolma e poi dritti alla volta di Nuova Delhi con l’intenzione di tentare l’ascesa lungo lo spigolo nord per poi ridiscendere al Campo Base dalla via normale.

Da sinistra: Bruno Lombardini, Gianmaria Smit Goretti, Sergio Montini e Luigi Corti.

La prima notte indiana viene trascorsa a Delhi. Il giorno successivo il gruppo si sposta a Rishikesh, 12 ore di viaggio e 450 km percorsi. Qui il gruppo passa la seconda notte, per poi proseguire e fare tappa a Uttarkaschi. Altra sosta prima di raggiungere Gangotri, non senza difficoltà. Infatti durante il tragitto, la carovana è costretta a fermarsi per colpa di un grosso masso che ostruisce la strada sterrata. Unica soluzione, spostarlo dalla carreggiata. Armati di bastoni e leverini quattro volenterosi nepalesi si mettono al lavoro ma dopo venti minuti e diversi tentativi il sasso non si è mosso di un centimetro. A quel punto il massiccio Simone Bellani decide di intervenire: prima si fa spazio tra i quattro nepalesi, poi li allontana, abbracciato il masso con una spinta poderosa lo sposta facendolo rotolare giù per la valle, ripristinando così la circolazione tra l’incredulità dei presenti.

Raggiunto Gangotri, altra sosta. La mattina seguente inizia l’avvicinamento vero e proprio. Zaini in spalla i lecchesi partono alla volta di Bojbhasa dove passano la notte in un campo militare dismesso a quota 3800 metri. Il giorno successivo, di buona lena, procedono verso Tapovan dove viene allestito il Campo Base 4240 m. Qui viene montato il tendone dotato di mensa, cucina, zona notte, che viene completamente illuminato grazie ai pannelli solari montati da Pirovano. Il pomeriggio del 5 agosto Calumer e Tessari raggiungono quota 5200 metri e scorgono un posto ideale dove poter piazzare il Campo 2 poi rientrano al Base, appena in tempo per evitare un forte temporale.

Il giorno successivo il gruppo si organizza in due squadre. Una composta da Tessari, Balossi, Lancini, Pirovano e Montini con l’incarico di individuare l’attacco dello spigolo nord e di portare del materiale. L’altra formata da Calumer, Lombardini, Bellani per tutti Mone con destinazione la via normale. Rientrati al Campo Base tutti si riuniscono per decidere come attaccare la parete.

Dal campo base si scruta la vetta.
Giuseppe Calumer Orlandi sulle pendici dello Shivling.

L’indomani, 7 agosto, Balossi, Tessari, Dell’Oro e Pirovano partono alla volta dello spigolo nord. Tutto sembrava andare per il meglio, ma i problemi non tardano a manifestarsi. Giunti sul posto, i quattro si accorgono che il canale è pieno di neve; inoltre nel tentativo di piazzare un campo avanzato, trovano anche delle corde fisse di una recente spedizione giapponese, così alla fine sono costretti a rientrare al Campo Base dove il brutto tempo li costringe a un giorno di riposo forzato. Intanto si valuta la possibilità di cambiare strategia. Il capospedizione decide che si passerà per la via normale, scelta che richiederà uno spostamento non indifferente alla base della montagna.

A passo lento e sicuro verso la cima.

Il 9 agosto il tempo volge al bello. Dell’Oro e Pirovano attaccano la via normale dove a quota 5150 metri, riescono a piazzare il Campo 1. All’alba, i due alpinisti lecchesi riprendono la scalata, individuando il luogo migliore per piazzare il Campo 2 a quota 5500 metri, poi ridiscendono al Campo 1. La mattina dopo Dell’Oro e Pirovano decidono di rimanere un giorno a riposo, mentre Spreafico, Montini e Zuffi li raggiungono e proseguono fino al Campo 2 dove preparano le piazzuole per le tende. Durante la notte il tempo riprende a fare le bizze causando il distacco di un gigantesco pezzo di ghiaccio dal seracco. La mattina del 12 Calumer si congeda con una battuta: «De Calumer ghe n’è vun sol» e torna al Campo Base, mentre Dell’Oro e Pirovano rimangono al Campo 1.

Il giorno 13 il tempo consente a Tessari di raggiungere il Campo 1 e di proseguire insieme a Dell’Oro fino a superare il Campo 2. La fatica però si fa sentire, così i due decidono di piazzare le tende al Campo 2 e di passare la notte.

Il 14 agosto riattaccano la parete e toccano il Campo 3, ma Tessari inizia ad accusare un malore. Intanto al Campo 2 sono arrivati Lombardini, Lancini, Pirovano e Balossi. Quando Dell’Oro e Tessari rientrano al Campo 2 Giorgio è costretto a dare forfait e a rientrare al Campo Base.

Alberto Pirovano scruta la via di salita, dietro di lui Andry Dell’Oro.

Il 15 agosto Lombardini, Dell’Oro, Pirovano, Lancini e Balossi raggiungono il Campo 3. Tutto procede per il meglio, fino a quando Lancini comincia a non stare bene. Le sue condizioni non gli permettono di proseguire obbligando uno dei quattro compagni a sacrificare l’impresa per accompagnarlo al Campo Base. Alla fine sarà Balossi a compiere il gesto, consentendo agli altri tre di riprendere la salita. Superati i primi due tiri senza fatica, il ghiaccio vivo rallenta la progressione, ma grinta e determinazione non manca ai tre forti alpinisti lecchesi che raggiungono la fine del seracco dove li aspetta uno strapiombo. Dopo veloce consultazione si decide di rispolverare l’artificiale. Andry e Pirovano superano l’ostacolo, invece Lombardini, dotato di ramponi in alluminio e piccozza leggera, da l’impressione di non potercela fare. Trascorrono 15 minuti di pura tensione. Lombardini urla ai ragazzi di andare avanti e di portare a termine l’impresa, ma i due giovani alpinisti non hanno la minima intenzione di abbandonare il loro capo. Così s’ingegnano e, con una manovra ardita, gli fanno pervenire una corda alla quale legarsi, poi piano piano lo issano fino al pianoro. Nemmeno il tempo di darsi una pacca sulle spalle e riprendere fiato che i tre alpinisti si trovano davanti agli occhi un duomo interminabile di neve e ghiaccio alto circa 600 metri. «Bagai ghem de fermas a bev» sbotta Lombardini. Una piccola sosta e poi si riprende a salire su pendenze davvero impegnative. La cima sembra non arrivare mai, ma a un tratto Dell’Oro davanti a tutti nota un brusco cambiamento di pendenza. Si ferma e grida «Ci siamo!». Poi aspetta Pirovano e Lombardini. Tutti assieme con una corsa liberatoria raggiungono la cima. Sono le 17.25 del 16 agosto 1997. La Sottosezione del CAI Ballabio ha conquistato anche lo Shivling. Il tempo per le rispettive congratulazioni, qualche lacrima, due foto e solo un attimo per ammirare la magnificenza dello spettacolo che si gode dalla cima dello Shivling, che è già tempo di scendere.

La via del ritorno lungo la normale non è la stessa di quella percorsa salendo. Dunque è necessario procedere con molta attenzione. Ormai è buio ma occorre raggiungere Campo 3. È necessario avanzare 100 metri alla volta: Pirovano viene calato e dove sosta pianta due chiodi in titanio e fissa le corde per consentire a Dell’Oro e Lombardini di scendere in corda doppia. La progressione è veloce e sicura fino al seracco. L’unico modo per superarlo è quello di tagliarlo orizzontalmente per circa 150 metri. Ma si tratta di un passaggio difficile e pericoloso. Il minimo errore sarebbe fatale. Con piccozza e ramponi Pirovano inizia il lungo traverso che lo tiene impegnato per quasi sei ore. Una volta superato l’ostacolo, per dare un minimo di sicurezza ai compagni non può far altro che piantare due piccozze una a fianco all’altra, legarle assieme e fissare la corda. «Venite avanti ma non appendetevi!» è il consiglio spassionato urlato ai due compagni. Superato a loro volta il seracco e osservato il modo creativo con cui sono stati assicurati Andry e Bruno non possono far altro che imprecare. Ma il Campo 3 ormai è vicino e infatti, poco dopo le 4.30 del mattino, al termine di 21 ore ininterrotte di scalata, i tre alpinisti sono riusciti a raggiungere la tendina dove godersi il meritato riposo. Nemmeno il tempo di chiudere gli occhi che alle 8.30 suona la sveglia che ha i volti di Calumer e Tessari. Per Lombardini, Dell’Oro e Pirovano rimettersi in cammino dopo così poche ore di sonno è un incubo. Ma devono farlo. Sarà un rientro faticoso ma tutti tornano al Campo Base. Provati, sfiniti, ma con un’altra impresa da incorniciare negli annali.

Il CAI Ballabio mette piede anche sullo Shivling. Da sinistra: Andry Dell’Oro (con la «V» di vittoria), Bruno Lombardini e Alberto Pirovano.

Recuperate le forze, il capo spedizione Lombardini raduna tutti sotto la tenda, scruta ogni singolo sguardo poi sbotta: «La spedizione finisce fra tre giorni. Questo è il momento giusto per dire tutto quello che secondo voi non è andato bene. Se ci sono panni sporchi da lavare lo facciamo qui, oggi, tutti assieme». Nessuno aprì bocca. Giunti in Italia ecco la sorpresa inaspettata: a Linate un nutrito gruppo di parenti e amici con a capo il sindaco Luigi Pontiggia accoglie la spedizione. Una volta a Ballabio i vincitori vengono accolti con una grande festa alla quale partecipa l’intero paese.

Nota
(1) I miei primi 70 anni stampato nell’aprile 2007.

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