La via della Pietra

di Bruno Telleschi

Sebbene soffocata spesso dal realismo della vita e dell’arte, la bellezza irrompe anche nei racconti e nelle cronache che alla rivelazione dei sentimenti preferiscono la denuncia sociale ed economica.

Per esempio in Michela Murgia, filosofa della liberazione femminile omosessuale (lbgt, eccetera) e perfino nazionale (perché la Sardegna sarebbe una nazione senza stato), sorprende la contemplazione della bellezza nel paesaggio sardo dove tutto è incantevole e suggestivo dalle coste alle campagne e alle città (Michela Murgia, Viaggio in Sardegna. Undici percorsi nell’isola che non si vede, Torino, Einaudi, 2008).

Cintura di menhir

Un viaggio in undici capitoli sui caratteri della Sardegna: l’identità etnica e culturale («Alterità»), la passione per la pietra («Pietra»), la vitalità dell’arte fra tradizione ed innovazione («Arte»), le coste del mare come separazione o integrazione («Confine»), la religione tra paganesimo e cristianesimo («Fede»), la musica popolare e la musica moderna («Suoni»), la storia tra autonomia politica e dipendenza coloniale («Indipedenza»), l’identità gastronomica («Cibo»), la ricchezza dei laghi e dei fiumi («Acqua»), realtà e pregiudizi nella descrizione delle città («Narrazioni»), l’emancipazione femminile («Femminilità»).

Capo Caccia

Evitando le devastazioni dell’industrializzazione moderna e del turismo barbarico sono possibili percorsi meravigliosi con il fascino delle città storiche e l’incanto del mare.  Una visita a Pranu Muteddu, per esempio, dove si trova «la più alta concentrazione di menhir in Sardegna… particolarmente suggestiva all’ora del tramonto» (pp.28-9) e poi percorrere una ideale strada della memoria, «una via della pietra» che «partendo da Oristano per risalire verso Sassari» conduce nel paradiso della pietra: «è possibile riconoscere i confini tra le antiche sub-regioni semplicemente osservando il materiale di cui sono fatte le abitazioni dei centri storici: mattoni di fango e paglia in Campidano, dove la fragile e dorata arenaria risulta troppo porosa per garantire contro l’umidità; il fascino della trachite a vista che tinge di tanti toni di rosso il paesaggio urbano nel Barigadu; i riflessi ferrosi del basalto vulcanico che si incontrano deviando nel Montiferru e la meraviglia delle vecchie abitazioni in tufo rosa della Planargia, fino a concludere, davanti alle facciate bicrome delle chiese romaniche del Meilogu e del Logudoro, la lenta ricerca di una Sardegna poco nota, con un eloquente cuore di pietra» (pp.30-1).

Pinnetta, casa pastorale nuragica

Oppure un percorso lungo i confini del mare: «L’itinerario più affascinate e panoramico di tutta la costa del Sinis è però quello che, partendo dalla grande torre aragonese che domina il piccolo insediamento di San Giovanni, percorre l’intero perimetro di Capo San Marco, penisola a goccia che chiude a nord il golfo di Oristano. Il percorso, fattibile solo a, piedi, dura circa due ore e comincia attraversando la sottile lingua di sabbia che collega il promontorio alla terra ferma. In quel punto preciso il mare si trova, miracolosamente, sia a / destra che sinistra di chi osserva, offrendo spesso lo spettacolo di un panorama schizofrenico, agitato da alte onde su un lato e calmissimo dall’altro; camminando lentamente si può godere a 360 gradi di incredibili scorci di mare cristallino, calette nascoste di sabbia sottile, rifugi di tartarughe e lepri selvatiche nella macchia mediterranea, l’incedere diffidente di un gruppo residenziale di capre al pascolo, la suggestione del grande taro all’estremo del promontorio e la visione dall’alto delle rovine archeologiche di Tharros, la città fenicio-punica la cui reale estensione ancora non è nota. Spingendo lo sguardo verso la terraferma ci si rende conto che questo territorio è completamente intessuto di specchi d’acqua anche nell’entroterra, generando di fatto l’esistenza di una costa interna non marina, sulle cui rive nidificano fenicotteri e decine di altre specie ornitologiche rare, un paradiso per gli amanti del bird watching, che vengono qui ogni anno nella stagione primaverile ad osservare il ritorno delle specie migratorie» (pp.61-2).

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