Cerro Torre – 11 – Un fatto nuovo

Cerro Torre – 11 – Un fatto nuovo
(pubblicato con altro titolo su GognaBlog il 15 febbraio 2015)

La vicenda di Cesare Maestri e il “suo” Cerro Torre è pressoché nota a tutti, ma costituisce uno dei più grandi rebus dell’intera storia dell’alpinismo. Rebus non ancora risolto, a dispetto dei numerosi tentativi. E noi siamo all’undicesima puntata! Per i meno informati possiamo riassumere la storia in poche righe, anche se la lettura di tutte le dieci puntate precedenti sarebbe il modo migliore per entrare nel cuore della questione.

Il Cerro Torre, con il suo caratteristico cappuccio di ghiaccio, è una delle più slanciate ed estetiche montagne della Patagonia, nota in tutto il mondo.
Cesare Maestri partecipò alla spedizione dei trentini, guidata da Bruno Detassis, nell’estate australe del 1957-58. Fallita questa, egli ritornò l’anno dopo, approfittando dell’entusiasmo e delle capacità organizzative del trentino Cesarino Fava che allora viveva in Argentina.
Maestri disse di essere giunto in vetta il 31 gennaio 1959, assieme al tirolese Toni Egger, grande rocciatore ma soprattutto esperto di ghiaccio, dopo aver attaccato dal versante est, per poi passare sulla parete nord dopo il passaggio per lo stretto intaglio del Colle della Conquista. Anche il trentino Cesarino Fava faceva parte del team, ma la volta decisiva non andò su con loro e rimase sul ghiacciaio sottostante, a supporto dei compagni. Fu proprio Fava a ritrovare, dopo sei giorni, il solo Maestri, in stato confusionale. Egger era morto cadendo durante la discesa, travolto da una slavina.
Quella salita era tanto avveniristica da essere ritenuta impossibile con i mezzi – in primo luogo le piccozze – di allora. Così tutti coloro che, nei decenni seguenti, sono saliti sul Torre hanno cercato, invano, le tracce che la confermassero. Intanto Maestri protestava la propria sincerità e tornava 11 anni dopo sulla montagna per aprirvi, provocatoriamente, una nuova via, chiamata la via del Compressore. Lo spregiudicato uso di un pesantissimo compressore per piantare i chiodi a pressione fu causa di altre polemiche, andate a sommarsi a quelle vecchie.

Il Cerro Torre visto da ovest. Foto: Rolando Garibotti

I primi dubbi espressi pubblicamente furono di Carlo Mauri, il noto alpinista di Lecco. In seguito il caso venne ripreso da Ken Wilson, l’editore di Mountain Magazine. Molto è stato scritto sull’inconsistenza del racconto di Maestri e di Fava e su ciò che può essere successo o non successo. Oltre agli eccellenti articoli di Wilson, tra le opere più importanti c’è il libro di Tom Dauer, Cerro Torre, mito della Patagonia; l’articolo di Rolando Garibotti A Mountain Unveiled, dapprima pubblicato nel libro di Dauer, poi ripreso dall’American Alpine Journal; il libro di Reinhold Messner’s Grido di Pietra; più recentemente il libro di Kelly Cordes The Tower: A Chronicle of Climbing and Controversy on Cerro Torre. Tutti coloro che hanno esaminato i fatti sono giunti alla stessa conclusione: il racconto di Maestri è una fandonia.

A questo punto interviene un nuovo fatto: Rolando Garibotti fa una scoperta che a suo avviso potrebbe gettare nuova luce sull’intera vicenda. Qui sotto riportiamo integralmente il suo articolo, tradotto dall’inglese. In fondo al post, chi ha ancora il coraggio di proseguire, può leggere alcune considerazioni di Alessandro Gogna.


Completando il puzzle: un fatto nuovo nella pretesa salita del Cerro Torre del 1959
di Rolando Garibotti con il contributo di Kelly Cordes
(originalmente postato su Alpinist.com, 3 febbraio 2015, ma prima ancora su pataclimb.com, 2 febbraio 2015)

Negli ultimi quarant’anni l’affermazione di Cesare Maestri di aver salito conToni Egger la vetta del Cerro Torre nel 1959 è stata largamente screditata.
Un’abbondanza di evidenze ha dimostrato che il punto più alto da loro raggiunto è solo a un quarto (circa 300 m) dell’intero percorso, il cosiddetto nevaio triangolare. Ciò che era rimasto un vero mistero riguarda ciò che Maestri ed Egger (aiutati da Cesarino Fava) avessero davvero fatto in quel lasso di tempo, in quei sei giorni da cui Egger non fece ritorno.

Maestri era senza dubbio un alpinista fenomenale e un pensatore indipendente e d’avanguardia, che certamente merita rispetto per tutto ciò che d’altro aveva fatto. Ma di certo questo giudizio non poteva precludere un’indagine su quanto lui affermava. Anche perché stiamo parlando dei fatti relativi alla prima ascensione di una delle più belle montagne conosciute al mondo. Ad oggi, nessuno ha mai costruito una difesa della salita di Maestri del 1959 basata sui fatti, a contrasto delle numerose contraddizioni, inconsistenze ed evidenze accumulate contro la sua versione.

Ma ora c’è una prova al riguardo di come e dove Maestri ed Egger abbiano passato quei sei giorni. I giorni precedenti, con l’intero team a trasportare il materiale, con i viaggi su e giù per il ghiacciaio sotto alla Est, con le corde fisse fino al nevaio triangolare, sono stati raccontati con dovizia di particolari, dal diario di Fava, nonché dai diari dei tre giovani studenti universitari che erano a supporto del team e naturalmente dal diario dello stesso Maestri.

Su una piccola cima situata subito a nord del Col Standhardt, Rolando Garibotti tiene in mano la foto tratta dal libro di Cesare Maestri Arrampicare è il mio mestiere: la didascalia è “Toni Egger sulle placche d’attacco della parete del Cerro Torre”. Invece ciò che si vede è (in primo piano il versante ovest del Perfil de Indio, in secondo il versante ovest dell’Aguja Bifida. Foto: Rolando Garibotti.

Nel libro Arrampicare è il mio mestiere (Garzanti, Milano, 1961) una foto a colori su una pagina fuori testo, adiacente a pag. 64, ripresa da Maestri mostra Toni Egger mentre sale apparentemente slegato su quelle che la didascalia definisce le placche d’attacco della parete del Cerro Torre.

Due anni fa Ermanno Salvaterra e io avevamo notato quella foto mentre lavoravamo a un libro che ancora oggi non è stato pubblicato: conoscevamo bene il terreno, ci accorgemmo che la foto non è stata fatta sul Cerro Torre. Ma non sapevamo dove invece fosse stata scattata. L’immagine è tagliata in modo tale da non rivelare molto dello sfondo. Circa un anno fa Kelly Cordes mi chiese di insistere in quest’indagine: e così feci un altro sforzo. Dopo molte ore di studi su migliaia di immagini dell’intera zona, con l’aiuto di Dorte Pietron, trovai qualcosa che somigliava molto alla foto in questione. Bingo!

La foto di Maestri è stata infatti presa sulla parete ovest del Perfil de Indio, una piccolo torre a nord del Col Standhardt, tra l’Aguja Standhardt e l’Aguja Bifida, sul versante ovest del massiccio, cioè quello opposto a quello sul quale loro stavano operando.

Che significa? Nei suoi molti racconti delle sue spedizioni del 1958 e 1959, Maestri non riferisce mai di alcuna ricognizione sul versante ovest del massiccio.
I sei giorni in cui Maestri dice di aver fatto con Egger l’attacco finale al Cerro Torre da est son quelli peggio raccontati. Cosa avvenne davvero?

Questa fotografia aggiunge un’altra evidenza, scattata in un luogo in cui andarono ma che mai Maestri menzionò. E questo luogo è abbastanza vicino a quello dove avrebbero dovuto essere, e certamente non è posto dove si possa andare senza intenzione di farlo. E poi dimenticarsene. Probabilmente, di fronte alle enormi difficoltà che si prospettavano nella continuazione della loro salita da est, i due presero in considerazione la parete ovest, dove Walter Bonatti e Carlo Mauri avevano trovato una linea di debolezza ed erano saliti fino a buon punto l’anno prima. Dal loro campo base sul versante est, l’unico modo per raggiungere la parete ovest del Cerro Torre è proprio quello di salire i pendii sotto al Col Standhardt, scavalcarlo e scendere a corda doppia a ovest (decadi dopo questo percorso è diventato uno dei modi più comuni per approcciare il versante ovest). Nella foto di Maestri, si vede Egger scalare sotto (ovest) e subito a nord del Col Standhardt, ovviamente mentre ritorna al versante est del massiccio. È una grande lezione d’intuito nel reperire una via. Nell’ultima decade le cordate che cercavano di raggiungere quello stesso colle dall’ovest si sono trovate a battagliare con terreno ripido e difficile su un itinerario più diretto. La linea scelta invece da Egger e Maestri è molto più facile (III). Dal Col Standhardt, i due riscesero poi i pendii ventosi e valangosi che li avrebbero portati alla parte superiore del ghiacciaio del Torre, dove I resti di Egger furono ritrovati nel 1974 (vedi foto più sotto).

L’approssimativa linea di salita che Egger e Maestri avrebbero seguito se fossero arrivati alla location della foto da ovest. Foto: Rolando Garibotti.

La morte di Egger rimane un mistero. Con queste nuove informazioni è possibile che sia stato vittima di un incidente scendendo dal Col Standhardt. L’unico a conoscere la verità rifiuta di parlare, lasciandoci tentare di mettere insieme i pezzi della verità. L’aspetto più controverso della versione di Maestri e Fava vede l’inaccurata informazione da loro data alla famiglia Egger sulla morte di Toni. Al loro ritorno, Maestri e Fava non riportarono indietro alcun indumento di Egger, e neppure materiale personale o appunti di diario (si sapeva che Toni era abituato a scrivere un diario preciso delle cose che faceva). La sorella di Toni è ancora viva, ha quasi novant’anni e vive nei dintorni di Lienz (Tirolo orientale, Austria). Sarebbe giusto che Maestri desse una spiegazione a lei (e al mondo) su ciò che avvenne in quei sei giorni del 1959.

L’ultima lezione dataci da Egger è il reperimento di quella via, astuta e ingegnosa. Speriamo che l’ultima di Maestri sia un ritorno alla verità, cristallina e una volta per tutte.

Ciò che prova la foto:
– che l’immagine che Maestri ha pubblicato nel suo libro non è stata scattata sul Cerro Tore come invece lui afferma;

– che Egger e Maestri visitarono il versante ovest del Cerro Torre, quello opposto all’orientale dove loro volevano salire, probabilmente per provare la salita da ovest (non si vede altra motivazione);

– che, dato che quei sei giorni sono i soli a non essere stati relazionati, fu proprio in quel periodo che loro andarono sul versante ovest, proprio in quei sei giorni in cui Maestri ha sempre detto di aver compiuto la salita della montagna da est e nord;

– che la macchina fotografica non andò perduta come Maestri afferma.

Hanno contribuito a questo articolo, originariamente pubblicato su pataclimb.com: Leo Dickinson, Colin Haley, Dorte Pietron ed Ermanno Salvaterra.

La risposta di Maestri
(Gazzetta dello Sport, cerca a pag. 26, 6 febbraio 2015)
L’articolo di Garibotti fa il giro del mondo in pochi minuti, ed ecco il giornalista Alessandro Filippini che telefona (più di una volta) all’ottantacinquenne Cesare Maestri per informarlo del fatto nuovo e avere eventuali chiarimenti.

Dopo un primo rifiuto del grande arrampicatore di interessarsi alla questione (mi avete rotto i coglioni, non sono mai stato sulla Ovest, dev’essere la foto di qualcun altro, l’editore avrà sbagliato didascalia) Filippini riesce a fargli ricordare che sì, una volta durante la spedizione del 1957/58 stette via “una decina di ore con Luciano Eccher, arrivando fino a un colle” per dare un occhio all’Ice Cap (lo Hielo Continental).

Filippini conclude che la fotografia non è stata scattata durante la contestata prima salita, bensì nella spedizione trentina dell’anno precedente, con ciò riportando a zero lo “scoop” di Garibotti: “ha solamente scoperto… un refuso!”. Confortato in questo giudizio, sulla stessa pagina, da una breve analisi di Reinhold Messner che giunge alle stesse conclusioni, parlando di prova per nulla definitiva.

Ovviamente Garibotti giudica “scontata, se non deplorevole” la risposta di Maestri (in Addendum, 7 febbraio 2015).
Aggiunge che i dettagli della spedizione 1957/58 sono stati minuziosamente relazionati da Bruno Detassis. Una spedizione che battezzò ogni piccola cima e colle raggiunti, includendo anche realtà geografiche del tutto insignificanti: ma che non nominò la salita al Col Standhardt, di sicuro una meta più importante di tante altre, un vero e proprio “blank on the map”.

Garibotti aggiunge che il libro di Maestri è stato rieditato quattro volte senza che fosse fatta alcuna correzione alla didascalia.
Il fatto che la foto sia stata fatta sul versante ovest suggerisce che i due volessero fare ben di più che dare uno sguardo allo Hielo Continental…
E conclude la sua prima appendice giudicando “assai triste che la sciarada continui a nascondere la verità a spese della famiglia di un uomo che non c’è più”.

In un secondo Addendum dell’9 febbraio 2015, Rolando Garibotti continua implacabile, riproducendo la pagina del Bollettino della SAT (1958,2) in cui è l’intera lista delle salite (dove appunto non figura il Col Standhardt), completa di chi e quando le fece, stilata dal “leggendario Bruno Detassis”.

Osserva che la salita a quel colle comporta mille metri di dislivello, un percorso complicato tra i ghiacci, un couloir a 60° e passaggi di V grado su roccia: una “gita” che difficilmente si può trascurare, specialmente se paragonata alle altre elencate. E aggiunge che ugualmente anche in altre pubblicazioni successive non se ne parla mai: American Alpine Journal, 1959, p. 317; Rivista Mensile del CAI, 1958/3-4, p. 112, p. 114; CAI-Alpinisti Italiani nel Mondo, 1972/2, p. 836; Lo Scarpone, 1957/23, p. 1; Lo Scarpone, 1958/1, p. 1; Lo Scarpone, 1958/2, p. 1; Lo Scarpone, 1958/5, p. 1; Lo Scarpone, 1958/21, p. 3; Bollettino SAT, 1959/3, p.13; Italiani sulle Montagne del Mondo, p. 273-274; Maestri C. (1961), Arrampicare è il mio mestiere, Garzanti, Milano, 1961 (p. 57-86); Maestri C. (1981), Il Ragno delle Dolomiti, Rizzoli, Milano.

Il massiccio del Torre visto da est. Foto: Rolando Garibotti.

Alcune considerazioni di Alessandro Gogna
Non sono mai intervenuto direttamente in questa annosissima questione, ho però letto con meticolosità tutto ciò che è stato scritto, e non solo in italiano. Ho ascoltato con interesse i pareri di centinaia di alpinisti. La vicenda della didascalia sbagliata ha innestato nuovi dubbi, che Garibotti ritiene possano essere prove.

Personalmente credo che né questa scoperta della didascalia erronea, né la salita di Garibotti, Salvaterra e Alessandro Beltrami, battezzata Arca de los vientos, che voleva ripercorre l’itinerario del 1959 ma che poi se ne distaccò sensibilmente al di sopra del Colle della Conquista, né altre considerazioni che qui sarebbe troppo lungo riportare, abbiano mai potuto scalfire più di tanto la versione di Maestri.

Riproduzione della foto originale di Maestri, a pagina 64 di Arrampicare è il mio mestiere.

C’è ancora la possibilità che il racconto di Maestri sia vero, perché le condizioni assai ghiacciate di quegli anni (le foto di allora lo provano e anche quella più moderna qui sotto di Rolando Garibotti potrebbe suggerirlo) potrebbero aver reso possibile una salita sotto e sopra al Colle della Conquista pressoché interamente su ghiaccio. Sfruttando i “cavolfiori” anche con le piccozze di allora non è detto che uno come Egger non potesse salire. Le numerose spedizioni che hanno tentato di ripetere questo itinerario, fino alla conclusiva di Garibotti, Salvaterra e Beltrami, non hanno trovato alcuna traccia? Su ghiaccio mi sembra normale. La quantità di materiale adoperata per raggiungere il nevaio triangolare stona con l’assoluta mancanza di tracce sul terreno superiore? La scelta del duo di salire dopo il Colle della Conquista per la parete nord in quello stile che in seguito sarebbe stato chiamato “alpino” potrebbe spiegare perché in basso tanto materiale e in alto nulla.

La recente apertura de la Directa de la Mentira conferma ancora una volta l’assenza delle prove di passaggio di Egger e Maestri.

A mio avviso c’è solo un modo per ridare a Maestri credibilità, certamente non completa. Dal racconto di Maestri sembrerebbe che la loro discesa in parete nord si sia svolta lungo quello che oggi è la parte finale del tentativo Burke-Proctor o del tentativo Ponholzer-Steiger. Maestri riporta che, dopo essere arrivati in cima e dopo essere scesi a lungo in parete nord, usando chiodi a espansione o chiodi da ghiaccio per costruire gli ancoraggi per le doppie, “circa 100-150 metri al di sopra del Colle della Conquista” decisero di traversare verso est, in modo da giungere dall’alto sul famoso nevaio triangolare, senza dover ripassare sulla lunga traversata che collega il nevaio al Colle della Conquista, da loro percorsa in salita. Maestri racconta di aver evitato di ripercorrere al contrario la traversata e di essere arrivato in doppia sul nevaio triangolare, dall’alto, dunque è su questo settore di parete immediatamente al di sopra del nevaio che dovrebbero concentrarsi le ricerche dei chiodi a espansione lasciati. Quello è un terreno più ripido della parete nord, dove certamente gli eventuali ancoraggi possono essere tutto meno che chiodi da ghiaccio: dunque reperibili! Ma nessuno ha mai ripercorso in discesa quel settore tra il gran diedro degli inglesi Phil Burke e Tom Proctor (1981) e il tentativo Ponholzer-Steiger con l’intento specifico di reperire eventuali chiodi a pressione su varie linee di discesa, anche illogiche.

Va notato che rimarrebbe comunque la possibilità, anche se dovessero essere lì ritrovati degli ancoraggi a espansione, che quella comunque non sia una prova definitiva, perché si potrebbe sempre obiettare che i due siano sì saliti per un pezzo sulla parete nord (quei 100-150 m o anche un po’ oltre) ma magari non fino alla vetta.

Nella foto qui sotto (di Rolando Garibotti) sono elencati gli attuali percorsi che solcano la parete nord del Cerro Torre. Da notare la Burke-Proctor (10) che proviene dal grande diedro strapiombante della parete est (qui non visibile). Vi si deve aggiungere il tracciato della Directa de la Mentira (Colin Haley e Marc-André Leclerc, 2-3 febbraio 2015), sei lunghezze di corda che raddrizzano Arca de los Vientos passando direttamente sullo spigolo nord. La presenza di ghiaccio in questa foto assai recente può suggerire che più di 50 anni fa lo spessore fosse maggiore.

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