Paul Güssfeldt

Questo scrittore, esploratore e scienziato tedesco fu uno degli alpinisti più importanti del XIX secolo: compì la prima scalata del vulcano Maipo e il primo tentativo all’Aconcagua nel marzo 1883.

Richard Paul Wilhelm Güssfeldt
di José Herminio Hernández
(pubblicato su culturademontania.org.ar)

Nacque il 14 ottobre 1840 a Berlino, in Germania, e fu un alpinista, geografo, professore, medico e ricercatore, che visse l’intero sviluppo del movimento alpinistico dal classico al moderno. Il suo cognome, scritto in tedesco, è così: Güßfeldt

Dopo aver frequentato il Collège Français nella sua città natale, studiò scienze naturali e matematica a Heidelberg, dove si unì al corpo studentesco Vandalia dal 1859 al 1865, e in seguito visse a Berlino, Giessen e Bonn.

Ritratto di Paul Güssfeldt, nato a Berlino nel 1840

Inoltre, quando si trattava di attività in montagna, riusciva sempre a trovarsi in compagnia delle migliori guide del suo tempo, come Alexander Burgener, Christian Klucker ed Émile Rey, tra gli altri, con i quali condivideva abilità ed esperienza.

Divenne uno degli alpinisti più importanti del XIX secolo, effettuando numerose ascensioni con il Kaiser Guglielmo II, con il quale strinse una strettissima amicizia. Determinato come lo stesso Whymper, raggiunse i suoi obiettivi assumendo i migliori del momento per i suoi tentativi e realizzazioni.


La sua carriera

All’età di ventiquattro anni esplorava già i ghiacci e le montagna innevate delle Alpi. Negli anni successivi, diverse vette alpine entrarono a far parte dell’elenco delle imprese di quest’uomo, tra cui il Monte Bianco, il Cervino e altre.

L’8 agosto 1868 Paul Güssfeldt salì il Cervino per la cresta dell’Hörnli, in cordata con Joseph Marie Lochmatter, Nicholas Knubel e Peter Knubel. Si trattò della prima cordata che scalò la cresta dell’Hörnli, tre anni dopo la tragedia di Edward Whymper e compagni.

LaPorta da Roseg 3518 m (chiamata anche Güssfeldtsattel) è l’intaglio tra il Piz Roseg e il Piz Scerscen: a nord presenta un ripido pendio ghiacciato che fu scalato per la prima volta da Güssfeldt, con le guide Hans Grass, Peter Jenny e Caspar Capat, il 13 settembre 1872.  Partecipò anche alla guerra franco-prussiana del 1870 e del 1871.

Scelto come capo di una spedizione sulla costa di Loango, intrapresa dalla Società Africana Tedesca (in tedesco,  Afrikanischen Gesellschaft), naufragò nei pressi di Freetown il 14 gennaio 1873 e perse tutte le sue provviste e attrezzature.

Una volta lì, fondò la stazione di Tchintchotcho e tentò più volte, sempre invano, di penetrare nell’entroterra del paese, per poi tornare in Germania nell’estate del 1875. Nel 1876 visitò l’Egitto e il deserto arabico, accompagnato da Georg August Schweinfurth.

Sulle Alpi, tornò ancora al Bernina: qui realizzò due prestigiose prime ascensioni: il Piz Scerscen, con Hans Grass e Caspar Capat, il 13 settembre 1877, lungo lo sperone nord-ovest, ovvero la via dell’Eisnase, e la traversata della Biancograt al Piz Bernina, nel 1878. Tra il 2 e il 3 luglio 1881 effettuò la prima traversata del Colle del Leone da Breuil a Tiefenmatten, in compagnia di Alexander Burgener. Nel Delfinato, nel 1881, insieme ad Alexander Burgener, aprì l’itinerario per la cresta nord-orientale della Barre des Écrins.

Nel 1882 Paul Güssfeldt, sempre in cordata con Alexander Burgener e Benedict Venetz, completò la cresta occidentale del Dom des Mischabels, che si erge sopra il Festi-Kin-Lücke e che era stata tentata per la prima volta nel 1879 da due cordate: quella della signora Margaret Anne Jackson (che si faceva chiamare Mrs. E.P. Jackson) con Aloys Pollinger, Peter Joseph Truffer e Franz Joseph Biner, e quello di Percy Thomas con Joseph Imboden e J. Langen. Queste due cordate avevano evitato la parte alta, attraversando la parete ovest per raggiungere il tratto finale della Festigrat.

Ritratto di Paul Güssfeldt

Scalate in Cile e Argentina
È difficile parlare della storia dell’alpinismo, soprattutto nel continente americano, senza menzionare i primi alpinisti anonimi, nativi di queste terre, e senza menzionare l’uomo che mosse i primi passi sul Colosso d’America, l’Aconcagua, e scoprì il labirintico percorso per raggiungerne la vetta, Paul Güssfeldt.

Ecco il nome con cui inizia la storia della grande avventura dell’Aconcagua; sua era la pietra miliare che segnava l’itinerario verso la conquista della montagna, all’epoca ancora vergine.

Era parecchio che aveva incominciato a prendere informazioni sulla geografia sudamericana, in particolare sull’Aconcagua, che scelse come obiettivo per gli anni 1882 e 1883.

Il 6 settembre 1882 si imbarcò a Liverpool sul piroscafo postale Araucanía , diretto alla costa occidentale del Sud America, insieme alla nota guida svizzera Alexander Burgener. Aveva con sé tutto il necessario per orientarsi sul terreno e misurare le altitudini delle montagne, strumenti moderni per quell’epoca e poco conosciuti soprattutto a quelle latitudini, fatta eccezione per quegli scienziati che avevano avuto modo di viaggiare e procurarsi questi importanti materiali per le loro misurazioni.

Portò con sé anche raccomandazioni e permessi speciali, ottenuti tramite l’ambasciata imperiale tedesca, per operare nel paese sudamericano.

Passando per lo Stretto di Magellano, l’Araucanía arrivò a Valparaíso il 15 ottobre 1882; fu lì che Güssfeldt ebbe il suo primo problema: la sua guida alpina svizzera, che aveva reclutato nel Vallese, disse al suo capo che dopo il lungo viaggio in mare sentiva nostalgia della sua terra natale e voleva tornarci, cioè lo lasciò e tornò sulla stessa nave.

Ciò gli causò diversi problemi, il primo dei quali fu l’impossibilità di scegliere in Cile una guida adatta per un’impresa così importante che lo accompagnasse, e così anche un compagno di cordata che lo aiutasse durante tutto il viaggio fino alla base della montagna, anche per la movimentazione dei mulattieri e dei loro carichi su per la montagna.

Ciò lo costrinse a entrare in contatto con gli immigrati tedeschi in Cile, che lo aiutarono a organizzare l’impresa andina, sia dal punto di vista logistico che da quello pratico. Gli procurarono i mulattieri cileni che lo accompagnarono in questa impresa, conoscitori della geografia con i suoi limiti e rispettosi della stessa, soprattutto per le sue credenze, le leggende e le superstizioni tanto diffuse a quel tempo.

Aconcagua 6970 m dalla rivista dei club alpini tedesco e austriaco, 1884. Foto: Paul Gussfeldt.


La sua prima incursione fu nella regione del vulcano Maipo, dovendo mediare con l’appoggio dei tedeschi cileni. In quell’occasione, aveva bisogno di loro per superare il rifiuto dell’azienda Gasco di consentire a terzi di entrare nei suoi terreni, nei quali rientrava anche il vulcano sopra menzionato.

Il dott. Evelio Echevarría Caselli ci ha raccontato le attività svolte da Güssfeldt al suo arrivo in Cile, nell’articolo intitolato Paul Güssfeldt e i suoi Huasos Andinistas:

Gli huasos accompagnarono il celebre alpinista tedesco Paul Güssfeldt nelle sue esplorazioni e nei suoi tentativi nelle Ande centrali del Cile e dell’Argentina nel 1883. Güssfeldt ci ha lasciato non solo un nome completo, Lorenzo Zamorano, ma anche i nomi di battesimo degli altri: Francisco, Filiberto, Vicente e Felipe. In più ha descritto il loro comportamento che rispecchiava le loro usanze dell’epoca.

Güssfeldt effettuò un viaggio di prova nella valle sopra il fiume Cipreses, Rancagua. La quota più alta da lui raggiunta fu di 3526 metri e in questa occasione dimostrò agli huasos di cosa è capace un alpinista; questi, a loro volta, lo stupirono con l’agilità dei loro cavalli e muli durante la salita.

Scoprì che, a causa dei forti venti, non era possibile utilizzare le tende e che gli accampamenti dovevano essere allestiti all’aperto, protetti solo dai muretti che i cileni sanno costruire con abilità.

L’alpinista prussiano diede il nome a diverse montagne entrando nella valle di Cachapoal e Cipreses. Ha registrato anche nomi già stabiliti da altri. Viste dalla località chiamata Agua de la Vida, le montagne da lui menzionate sono: Terrasenberg o Cerro Terrazas 3298 m, Bandberg o Cerro de las Fajas 3432 m, Cerro Colorado 4147 metri e Cerro Gran Onorado (?) 4516 m, tutti a destra. Sulla sinistra, Mettelhorn (nome alpino) 3176 m, Dent Blanche (nome alpino o Dente Bianco) 4168 m, Mono (chiamato così per il muro di pietra sulla sua cima) 3566 m, ed Erstling (Il Primo) 3417 m.

Ripartì da Cauquenes il 1° gennaio 1883 con tre huasos e 18 animali. Avanzò attraverso il Cajón de las Leñas e attraversò l’Atravieso de la Leña, alto 4107 m, dovendo tagliare gradini nella neve dura per far passare i cavalli. Attraversarono anche diversi campi innevati con formazioni di neve che Güssfeldt chiamò Kerzenfeld o Campo delle Candele, ma gli huasos gli dissero che venivano chiamati Penitentes. Attraversarono poi il passo Iglesia, a 3638 m, scesero ai fiumi Diamante e Yaucha in Argentina e tornarono in Cile attraverso il passo Cruz de Piedra, a 3780 m, e attraverso il passo Laguna, di nuovo in Argentina, dove raggiunsero la Laguna del Diamante e si accamparono a 3300 m, ai piedi del vulcano Maipo.

Fu deciso di scalare il Maipo e il 19 gennaio Güssfeldt partì alle 2.20 del mattino, accompagnato da Zamorano, 64 anni, e da un certo Francisco, 30 anni. Alle 6.00 del mattino raggiunsero l’altopiano sul versante occidentale del cratere, che aveva diversi nevai che arrivavano fino alla cima. Lì il vento li raggiunse con tutta la sua forza. Zamorano indicò la cima e disse: “Impossibile!” Francisco si rannicchiò dietro una roccia e Zamorano lo raggiunse.

Dopo aver trascorso un’ora a incoraggiarli a proseguire, Güssfeldt e il resto del gruppo proseguirono su pendii con un’inclinazione non superiore ai 20 gradi, interrotti qua e là da strati di lava.

Vista dell’Aconcagua dalla valle di Horcones. Foto: Edward Arthur FitzGerald, gennaio 1897

Consigliò loro di marciare lentamente ma con passo costante, senza fermarsi, e mise Zamorano in testa. Per un po’ andarono d’accordo, ma quando mostrarono la tendenza a fare pause frequenti, Güssfeldt prese il comando.

Le vette vicine cominciarono ad essere più basse di loro. Guardandosi indietro, Güssfeldt vide che Zamorano era molto indietro, con Francisco in mezzo a loro; un’altra volta guardò, e Zamorano si era fermato completamente, il che non sorprendeva, dato che aveva 64 anni… e il Cerro Overo 4765 m era alla loro stessa altezza.
Francisco continuò a salire la montagna, anche se era molto pallido e lamentava dolori alle gambe. Güssfeldt lo liberò dal suo fardello e proseguirono, ma alle 12.30 Francisco rinunciò del tutto.

Alle 13.30 Güssfeldt raggiunse la vetta senza difficoltà… Le cime principali che vedeva intorno a lui sembravano inaccessibili e paragonò il loro aspetto generale a quello che si può vedere da un tetto molto alto, coronato da forme piramidali. Alle 14.45 lasciò la cima del Maipo senza riuscire a trovare Francisco. Raggiunse Zamorano e insieme arrivarono all’accampamento alle 19.30.

Due ore dopo apparve anche Francisco: dopo essersi riposato, aveva continuato a salire e aveva raggiunto la seconda vetta, ma senza vedere Güssfeldt, che aveva già lasciato la vetta principale. Gli huasos furono contenti del regalo di dieci pesos che Güssfeldt diede a ciascuno di loro, che se lo meritavano ampiamente, visto che la loro prestazione era stata notevole.

È probabile che Francisco, quindi, abbia potuto raggiungere circa 5200 metri. Va detto che, fino ad allora, nella storia dell’alpinismo nessuno aveva mai scalato in solitaria tali altezze”.


La sfida dell’Aconcagua

La prima visione del grande colosso Güssfeldt la ebbe dalla valle di Longotomo e lo stesso viaggiatore ce l’ha raccontata: “Da un’altezza di 130 metri ho avuto la fortuna di avere una vista aperta sull’Aconcagua e, nonostante la distanza, diversi giorni di cammino, ho osservato che questa montagna si stagliava con la sua maestosa solitudine e che le catene da neve sulla sua destra sono circa 2000 metri più basse; si erge isolata come il Cervino visto da Zermatt, ma la sua mole è così colossale che da essa si potrebbero ricavare diverse grandi montagne delle Alpi.

Mappa della zona dell’Aconcagua per i soci del DAV (Club Andino Tedesco di Santiago)

Era uno spettacolo di estremo fascino, che diventava ancora più potente se si considerava la possibilità di scalarla. Logicamente la distanza impediva un esame efficace, poiché il profilo prospettico mostrava linee di cresta che forse non esistono nemmeno; proprio il percorso che all’epoca ritenevo migliore è quello che in seguito ho evitato. L’atmosfera era riempita da un’aria incomparabilmente trasparente, come di solito accade nel deserto quando si producono effetti magnifici; solo nelle vicinanze dell’Aconcagua erano visibili due piccole nuvole. Le menziono perché spesso nelle vicinanze di questa montagna gigantesca si formano delle formazioni nuvolose, anche quando in altre parti dell’atmosfera non c’è nebbia. L’aria povera di umidità del Cile meridionale si condensa comunque sulle sue grandi superfici ghiacciate. Uno di quei paesaggi che la memoria vorrebbe conservare per sempre e che sono impossibili da descrivere.

A Cauquenes scrissi il mio primo rapporto riassuntivo sulle mie attività fino a quel momento, che inviai all’Accademia prussiana, ma i miei pensieri erano più rivolti al futuro prossimo che al passato immediato. Della regione la cui esplorazione era stata completata nei miei piani iniziali, avevo messo piede solo nella parte meridionale e mi mancava ancora il Nord con il grande mistero dell’Aconcagua. Fui condotto lì da un’attrazione, un misto di ansia e preoccupazione.

Da quando ho messo piede sul suolo cileno, ho cercato di raccogliere fondi e di trovare un modo per viaggiare in quella zona. Ora penso a quanto semplici e chiari siano i miei ricordi, in contrapposizione a ciò che allora trovavo così confuso e velato. Ma il prezzo pagato mi costringe anche ad ammettere che la verità più semplice è difficile da trovare.

Nonostante tutto, non mi sono mancati né la collaborazione né la benevolenza, sia da parte di cileni influenti, sia da parte di rispettabili stranieri residenti lì.
Non solo c’era un’idea sbagliata su come affrontare la spedizione: ma mancava addirittura del tutto tale idea.

Come ho potuto constatare più avanti, durante il viaggio stesso, c’erano solo pochi “huasos” ignoranti e con scarse conoscenze del territorio, fatta eccezione per la zona vicina all’Aconcagua.

Non sono riuscito ad ottenere alcuna informazione da queste persone, né direttamente né tramite i miei amici. È vero che con la perseveranza si possono raggiungere tutti gli obiettivi, ma la perseveranza richiede tempo, e questo era la moneta che avevo meno, poiché gennaio stava già finendo, un mese di buona stagione e il breve periodo di magnifiche giornate in alta montagna, che apre all’uomo le aeree porte di quella regione generalmente chiusa.

Ho dato il massimo. Ho scritto lettera dopo lettera. Sono andato a Santiago, a Valparaíso, per prepararmi il prima possibile, ma il tempo passava incessantemente. Nel progetto di esplorare la catena montuosa il più lontano possibile, spiccava un obiettivo luminoso, alto quanto la montagna stessa: scalare l’Aconcagua. Si potrebbe discutere del mio diritto a farlo, ma consideravo tutto troppo importante per abbandonare il mio progetto senza provarci.

Come le volpi che considerano l’uva verde solo quando è irraggiungibile, gli uomini considerano la scalata delle vette più alte un’impresa altamente pericolosa e scientificamente irrilevante quando il Creatore non ha dato loro la capacità di farlo.

Vista dell’Aconcagua durante la salita al passo Espinacito. Foto: Paul Gussfeldt.

Quante volte, appoggiato a uno sperone roccioso e circondato dal ghiaccio, osservando per la prima volta un paesaggio, ho provato sensazioni che sicuramente non sarebbero mai nate sulla scrivania!

Sensazioni strane, estranee alla quotidianità, sono proprio il grande fascino del viaggio. Ho sperimentato questa sensazione in modo particolarmente intenso in montagna. Quante impressioni nascono nello spirito riflessivo quando sale per migliaia di metri, su un suolo vergine, fino a raggiungere i 7000 metri, dominando una regione montuosa indecifrabile!

La visibilità dell’Aconcagua da un lato e la sua verginità dall’altro, la mancanza di critica e la scarsa conoscenza alpina hanno favorito la creazione di favole che incutono timore.

I vari commenti negativi sull’Aconcagua affondano le loro radici in un’antica credenza indigena, secondo la quale la montagna trema incessantemente, rendendone impossibile la scalata.

Un’altra indicazione, che conteneva un fondo di verità, affermava che forse era possibile scalarlo, ma che non era possibile trovare l’itinerario, perché circondato da rocce che, come un labirinto, nascondevano il punto esatto del passaggio dietro il quale si apriva il sentiero per la vetta.

In generale, però, le idee erano molto vaghe. Si credeva anche che l’Aconcagua custodisse tesori di metalli preziosi. Questa circostanza è stata quella che mi ha favorito di più perché in fin dei conti è merito mio se ho trovato dei compagni.

Da quale parte e in quale direzione dovevamo attaccare? C’erano ghiacciai, barre rocciose? Il freddo, il vento, la fatica e il progressivo assottigliamento dell’aria indeboliranno il corpo fino all’esaurimento? Non sapevo niente di tutto questo… Un sacco di pettegolezzi senza fine, ma nessuno che mi desse consigli concreti; mi era compagna solo l’ignoranza e dietro a tanta malinconia non c’era alcuna qualità nascosta…”.

Era il febbraio del 1883, un mese ancora adatto per affrontare la sfida, quando la sua spedizione partì verso il mistero dell’imponente montagna americana, viaggiando in direzione opposta lungo il fiume Putaendo. Lo fece attraverso il versante occidentale, cioè quello cileno; è un itinerario che oggi gli alpinisti normalmente non ripetono.

Güssfeldt racconta: “Il 14 febbraio i muli furono caricati nella hacienda Vicuña e portati alla hacienda Ramos; e da lì la partenza ebbe luogo nelle prime ore del giorno 15.
La carovana era composta dal giovane Rafael Salazar e da me, 5 huasos e 15 animali. Quando il giovane cileno mi lasciò, mi ritrovai con 3 muli, il mio triste cavallo e 9 muli”.

Güssfeldt riprese il viaggio e si diresse verso l’Aconcagua. Risalendo la cordigliera verso il fiume Putaendo dal versante cileno, entrò poi in Argentina e penetrò attraverso il passo della Valle Hermoso, nella Valle de los Patos Sur, in territorio argentino.

Proseguì poi lungo il fiume Volcán, per giungere alla sua sorgente, a nord dell’Aconcagua, con tre huasos, che nomina nei suoi scritti: Felipe, Filiberto e Vicente. Da questo punto contemplò la maestosità dell’Aconcagua praticamente da solo, perché ormai i mulattieri lo stavano abbandonando, non solo per paura ma anche per disinteresse. Gli restavano solo i tre huasos , incoraggiati dalla possibilità di trovare ricchezze e tesori da qualche parte sulla montagna.

Era già vicino, in un accampamento a 3600 metri, ai piedi di un canalone che scendeva da una parete rocciosa che conduceva ai cumuli di neve e ai ghiaioni dell’Aconcagua Settentrionale.

Vicino al canalone trovarono uno scheletro, premuto contro le rocce, di un possibile cacciatore di tesori, contrabbandiere o mulattiere, forse morto assiderato, sorpreso da una tempesta fuori stagione.

Aconcagua, Valle del Penitente. Foto: Paul Gussfeldt.

Curioso è l’aneddoto che ci è giunto attraverso gli scritti di Güssfeldt, su questo incontro all’arrivo alle sorgenti del fiume Volcán: “Ci siamo imbattuti in uno scheletro umano, presumibilmente di un mulattiere o di un contrabbandiere, in uno strano atteggiamento di minaccia, vittima dell’azione del freddo, di una violenta tempesta che lo avrebbe sorpreso in quel luogo; Era seduto, con i vestiti a brandelli, ancora aggrappati alle ossa, il che testimoniava l’antichità della spaventosa presenza, e con un’espressione ironica, come se sorridesse, come se prevedesse che i tentativi di raggiungere la vetta non avrebbero mai avuto successoUn campanello d’allarme per ogni scalatore dell’Aconcagua”.

Güssfeldt sfilò altre otto volte davanti alla macabra sentinella finché non trovò il passaggio che lo avrebbe condotto a iniziare il suo tentativo, battezzandolo con il nome di Passo del Penitente.

Non smettiamo mai di stupirci di quanto fosse primitivo l’alpinismo a quei tempi. Güssfeldt, da un accampamento a 3600 metri, senza tenda, partì per tentare di raggiungere la vetta che aveva misurato tramite triangolazione a 6970 metri. Parte a metà giornata, sicuro di poter camminare per tutto il pomeriggio, tutta la notte e tutto il giorno dopo.

Equipaggiò i suoi compagni come meglio poté, con abiti di lana e flanella. Racconta la rivista The Alpine Journal: “Alle 4 del mattino, insieme agli huasos Filiberto e Vicente, Güssfeldt iniziò, al chiaro di luna, la salita del canalone. Giunsero a una sosta alle 22.30. Il passaggio attraverso i nevai, lunghi non più di 3 chilometri, creò loro qualche problema, ma all’1.50 del mattino erano già sulla montagna vera e propria, a un’altitudine di 5.000 metri e con ancora 1970 metri da scalare. La salita prosegue lungo pendii monotoni, camminando lentamente per risparmiare energie. Dopo aver scalato 400 metri, gli huasos cominciarono a lamentarsi e dissero che faceva freddo. Il freddo era davvero forte, 10 gradi sotto zero… Ma proseguirono lentamente. Alle ore 10.00 hanno raggiunto l’altitudine di 6200 metri. Qui Vicente si arrese completamente, lamentando dolori alle gambe. C’erano volute 8 ore per salire 1200 metri. Gli altri proseguirono lentamente lungo pendii monotoni e interminabili. Non c’erano difficoltà sul campo, ma le condizioni erano sempre peggiori. Güssfeldt dovette ricorrere al vomito per liberarsi e in seguito scoprì che si sentiva meglio se lo faceva con il viso vicino alla neve. Alle 11.30 Filiberto lamentò dolori alle gambe e volle tornare indietro, ma su insistenza di Güssfeldt, proseguirono. Alle 12.30 avevano raggiunto un’altitudine che stimavano essere di 6560 metri.

Qui fecero una lunga pausa. Ma le nuvole si erano radunate vicino alla cima; una tempesta di neve li sorprese durante la salita e dovettero abbandonare all’13.30. La discesa fu molto rapida… Raggiunsero il passo alle 19.00 e l’accampamento alle 21.00. 31 ore di moto continuo senza dormire.

Il 4 marzo Güssfeldt fece un altro tentativo, questa volta portandosi con gli huasos a 5300 metri. Alle 6.40 del mattino, Güssfeldt partì con Filiberto e Felipe: riuscirono a raggiungere i 6200 metri, dove furono sconfitti da un’altra tempesta”.
Güssfeldt si consolò dicendo che “almeno aveva sollevato il velo che copriva la montagna e aperto la via logica per salirvi”.

Il 4 marzo 1883, con il cielo limpido e l’aria calma, Güssfeldt lasciò il campo base e, con due uomini rimasti, dato che il terzo aveva già disertato, iniziò il nuovo tentativo, pensando di poterlo realizzare in due tappe, facendoli dormire, o meglio, sonnecchiare, sui pendii del massiccio andino.

Così, alla fine della giornata, raggiunsero un’altitudine di circa 5300 metri. Quando il giorno dopo il sole cominciò a scaldare e lui iniziò il suo nuovo tentativo sulla collina, fu attaccato da un dolore molare che calmò prendendo oppio; cominciava a nevicare, cosa che gli fece dubitare del suo progetto e del suo sacrificio infruttuoso. E non gli permise di superare il tentativo precedente dove si era interrotto.

In questi tentativi, in mezzo al dramma, Güssfeldt riusciva a notare non solo le variazioni del lento itinerario, ma anche le formazioni geologiche attraversate.

Tornò in Cile, dopo aver attraversato il confine in sei punti diversi  e aver disegnato la prima mappa delle alte montagne da Mercedario a Maipo. Così era andata: dopo tre tentativi era arrivato “solo” a 6560 metri, dove aveva lasciato come testimonianza un cumulo di pietre e un foglio o una scheda con i suoi dati, elementi che furono ritrovati quindici anni dopo dalla guida svizzera Matthias Zürbriggen della spedizione scientifico-sportiva inglese di Edward Fitz Gerald.

Passo del Penitente. Foto: Paul Gussfeldt.

La sua testimonianza scritta sull’Aconcagua
Sebbene non abbia raggiunto la vetta dell’Aconcagua, il celebre alpinista tedesco contribuì alla fama della montagna con i suoi scritti.
Tra gli scritti realizzati da questo alpinista menzioniamo quelli più notevoli riguardanti i suoi tentativi di scalata del colosso:
“A differenza delle alte montagne alpine, difficilmente accessibili, la scalata dell’Aconcagua non richiede l’esecuzione di tecniche complicate; piuttosto, l’attività dell’alpinista deve essere caratterizzata dalla sopportazione passiva delle sofferenze che derivano dall’altitudine. Se il tratto difficile e decisivo di una salita si trova nelle immediate vicinanze della vetta, se l’alpinista è costretto a tornare indietro, la salita non può essere considerata definitiva. Nella topografia dell’Aconcagua non esistono tratti così difficili e decisivi, dove sono richieste solo modeste capacità di arrampicata. La difficoltà di questa montagna è dovuta esclusivamente alla sua elevata altezza, che porta con sé i sintomi della malattia della puna. Per ogni zona, questa malattia dipende dalla pendenza e varia da persona a persona secondo la legge individuale.
Pertanto, si potrà parlare di superamento delle difficoltà e, di conseguenza, di ascesa riuscita solo quando si raggiunge il punto geometricamente più alto della vetta dell’Aconcagua.

Mappa della zona dell’Aconcagua secondo le fotografie di Paul Gussfeldt, 1882/1883.

Nonostante il freddo, il vento, il mal di montagna e la stanchezza siano predominanti, la fortuna è il fattore determinante. Nessuna forza umana è in grado di sconfiggere gli elementi quando si scatena una forte tempesta. “Se la stella fortunata non brilla, non raggiungerai mai il tuo obiettivo.”

Güssfeldt “rimase molto colpito dalla struttura a piramide a gradini (terrassenartig) della parete ovest-nord-ovest e dalla composizione litologica estremamente varia della cresta nord-ovest, che tentò di scalare.

A circa 5300 metri di altezza vide grandi rocce di conglomerato sabbioso grigio; più in alto, strati di arenaria, tra il grigio e il verdastro; poi, una formazione con calcari e gessi, sulla quale poggiano, a circa 6000 metri di altezza, alcuni strati di roccia rossa, dall’aspetto porfirico; ad altitudini più elevate, queste rocce sono sovrapposte ad altre di colore giallastro o biancastro. Ancora più in alto, alcuni massi bianchi emergono dai detriti grigi che evidentemente provengono da rocce affioranti a quote più elevate. Giunto ai piedi delle bianche banconate (6560 metri sul livello del mare), fu costretto a tornare indietro; ma da lì notò che la cima della montagna è composta da rocce rosse”.

Naturalmente, dopo aver visto che il fianco dell’Aconcagua assomiglia a una scalinata, composta da masse stratiformi approssimativamente orizzontali, dai colori vari e in parte vivaci, Güssfeldt pensò che l’Aconcagua non fosse un vulcano e lo rese noto in una nota apparsa nel settembre 1883 sulla rivista della Società geografica di Berlino.

Ma nel numero successivo della stessa rivista , uscito tre mesi dopo, si poteva leggere un articolo molto breve, intitolato Der Aconcagua – Ein Vulkan, in cui Güssfeldt rettificava la sua versione precedente, dicendo che alcuni campioni erano stati esaminati dal dottor Justus Roth, e che questi aveva dimostrato indiscutibilmente la loro natura vulcanica.

Da ciò Güssfeldt concluse che l’Aconcagua era un vulcano, anche se la sua forma non lo indicava e che le sue tre cime potevano essere tre punti del bordo di un grande cratere.

L’anno seguente, sullo Zeitschrift des Deutschen und Oesterreichischen Alpenvereins, la rivista dei club alpini austriaco e tedesco, Güssfeldt aggiunse che, non essendo riuscito a raggiungere la vetta, non aveva potuto verificare l’esistenza del cratere, ma che la natura vulcanica dell’Aconcagua era stata definitivamente dimostrata “da un’autorità di prim’ordine, l’accademico Justus Roth”.

Un’altra lezione appresa da questo tentativo di raggiungere la vetta è che la terza persona a raggiungere la cima del colosso, il medico svizzero Roberto Helbling, scrisse: “A Güssfeldt non mancavano la volontà, la perseveranza e la forza necessarie per un’impresa del genere. L’unica cosa che gli mancava era la determinazione di utilizzare i suoi compagni solo come facchini, dato che queste persone non sono pratiche in alta montagna, sebbene non si possa negare la loro volontà. Il suo errore consistette anche nel fermarsi a incoraggiare il personale e nel cercare di convincerli in una lingua a lui quasi sconosciuta, cosa che gli provocò una perdita di energie.
Così sacrificò inconsapevolmente un successo quasi certo: questo è un aspetto da tenere presente quando si parla di Güssfeldt”.  

Il libro di Paul Güssfeldt, Viaggio attraverso le Ande del Cile e dell’Argentina


Altri momenti della sua vita

Güssfeldt divenne professore di scienze naturali all’Università di Bonn. Fu invitato dall’imperatore tedesco Guglielmo II ad unirsi a lui nella sua crociera estiva annuale nel Mare del Nord, più specificamente nella spedizione in Norvegia, affidandogli anche la responsabilità di pianificarla, data l’amicizia e la conoscenza che aveva di lui. L’imperatore amava Güssfeldt e scrisse di lui nelle sue memorie.

Il 14 gennaio 1891 realizzò la prima ascensione invernale della Punta Croz delle Grandes Jorasses con Émile Rey, Laurent Croux, Fabien Croux e David Proment.
Nel 1892 divenne professore di geografia fisica presso il Seminario di Lingue Orientali di Berlino. 

Il 16 agosto 1892 la cordata composta da Paul Güssfeldt con Émile Rey, Laurent Croux e Michel Savoye effettuò la terza ascensione dello Sperone della Brenva, raggiungendo la vetta del Monte Bianco. Per compiere questa salita dovettero fare una deviazione e questa variante fu in seguito chiamata Güssfeldt. Questa variante si sviluppa interamente su neve e ghiaccio e raggiunge lo sperone all’inizio della cresta superiore: nell’insieme, questa soluzione è più ripida e più bella dell’itinerario Moore, ma essendo più esposto alle cadute di ghiaccio, sia dai seracchi del Col de la Brenva, sia dal pendio sottostante la cresta di ghiaccio, è un itinerario poco frequentato.

Tra il 14 e il 16 agosto 1893, Güssfeldt, assieme a Émile Rey, Christian Klucker e César Ollier, salì da est alla vetta dell’Aiguille Blanche de Peutérey (seconda ascensione); i quattro proseguirono in discesa per la via Henry Seymour King fino al Col Peutérey e poi ancora lungo la Cresta di Peutérey, bivaccando a 4400 metri. Risalendo un canalone sulla parete est dell’Aiguille Blanche, la comitiva di Paul Güssfeldt fu sicuramente fortunata perché subito o poco dopo il loro passaggio cadde una grande pioggia di pietre.

Ritratto di Paul Güssfeldt, realizzato da Adriana Scarso, professoressa dell’Università di Salvador.

Paul Güssfeldt aveva 53 anni quando compì questa scalata, che durò un totale di quattro giorni. Il 31 agosto 1894 Paul Güssfeldt scalò nuovamente l’Hörnli del Cervino, unendosi in cordata con Émile Rey e César Knubel.

Paul Güssfeldt fu autore di numerosi libri sull’alpinismo, tra cui: Die Loangoexpedition, in collaborazione con Julius Falkenstein ed Eduard Pechuël-Loesche  (1879 e segg.); Nelle Alpi, 1885; Reisen in den Anden von Chile und Argentinien, pubblicato a Berlino, 1888; Kaiser Wilhelms II. Reisen nach Norwegen in den Jahren 1889-92 (1892); In den Hochalpen. Erlebnisse aus den Jahren 1859-85 (3d ed. 1893); Monte Bianco, 1894.

Questo audace alpinista e scienziato morì il 28 gennaio 1920, all’età di quasi 80 anni, nella città di Berlino.

Litografia di Paul Güssfeldt 
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